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L’amnistia di Togliatti, 70 anni fa

di 27 giugno 2016.



Voluta
dall’allora leader del Partito Comunista, portò alla liberazione di
migliaia di ex criminali fascisti subito dopo la guerra.


Il 22 giugno del 1946, 70 anni fa, entrò in vigore la
cosiddetta “amnistia di Togliatti”, che portò alla cancellazione di
tutti i reati commessi fino al 18 giugno di quell’anno tranne quelli più
gravi. Migliaia di ex membri del partito fascista e loro collaboratori
furono liberati dalle carceri o furono esonerati dai loro processi.
L’amnistia aveva preso il nome dal leader del Partito Comunista
Italiano, Palmiro Togliatti, all’epoca ministro della Giustizia. Lo
storico Mimmo Franzinelli, nel suo libro “L’amnistia di Togliatti“, ha calcolato che circa 10 mila fascisti furono liberati.



Tra loro c’erano anche personaggi di primo piano del regime, i
cosiddetti gerarchi che costituivano il cerchio ristretto di Benito
Mussolini: alcuni, come Dino Grandi e Luigi Federzoni, erano rimasti
fedeli a Mussolini soltanto fino al 1943, quando nella notte tra il 24 e
il 25 luglio il Gran Consiglio del Fascismo sfiduciò Mussolini. Altri, come Renato Ricci e Junio Valerio Borghese, avevano combattuto nelle fila della Repubblica di Salò accanto
all’esercito tedesco che all’epoca occupava il nord Italia. Ma
l’amnistia riguardò anche centinaia e centinaia di funzionari minori del
regime, agenti della polizia segreta, informatori e capi del partito
locale.



Ci furono proteste e insurrezioni in diverse città quando i tribunali
liberarono personaggi locali particolarmente odiati. A Casale, un
gruppo di ex fascisti rischiò di essere linciato e il governo inviò
l’esercito e 12 carri armati per mantenere la situazione sotto
controllo. Negli archivi personali di Togliatti si trovano decine di
lettere e petizioni con cui ex partigiani e membri del partito
protestavano contro l’amnistia e minacciavano addirittura di fare
propaganda contro il partito se l’amnistia non fosse stata ritirata.
L’aspetto più curioso, infatti, fu che l’amnistia fu scritta e promossa
proprio dal leader del partito che più di tutti era stato perseguitato
dal fascismo e che più duramente aveva lottato contro il regime. In
tutte le fasi della Resistenza, i partigiani comunisti non furono mai
meno della metà del totale dei combattenti: furono loro e i loro leader a
catturare e fucilare Benito Mussolini, e lo fecero in maniera
sbrigativa (ancora oggi gli storici discutono su chi esattamente diede
l’ordine di uccidere l’ex dittatore, catturato vivo mentre cercava di
fuggire in Svizzera).


La decisione di approvare un’amnistia fu presa all’unanimità dal
governo di allora, presieduto dal democristiano Alcide De Gasperi, ma
Togliatti, scrive Franzinelli nel suo libro, scrisse il testo dell’amnistia
quasi da solo. La legge prevedeva che venisse escluso dal provvedimento
chi aveva commesso reati particolarmente efferati, ma era scritta in
modo tale da permettere moltissime eccezioni. Pochi giorni dopo la
pubblicazione della legge, per esempio, furono liberati quattro membri
della banda Koch, un gruppo di torturatori fascisti che per mesi a Roma
aveva fatto praticamente quello che voleva.


Negli anni successivi Togliatti si giustificò dicendo che furono i
magistrati ad aver applicato l’amnistia in modo troppo permissivo. In
parte aveva ragione: numerosi magistrati erano rimasti al loro posto
nonostante fossero compromessi con il fascismo (nella Suprema corte di
cassazione sedevano magistrati che pochi anni prima facevano parte del
Tribunale per la difesa della razza). Ma il fatto che la magistratura
non fosse stata “de-fascistizzata” e che la legge fosse piena di buchi e
scappatoie sono entrambe responsabilità di Togliatti. Storici come
Franzinelli e Sergio Luzzatto hanno scritto in anni recenti che
l’amnistia faceva parte di una precisa strategia di Togliatti e di parte
della leadership comunista: il partito voleva accreditarsi come una
forza popolare, inserita nell’arco costituzionale e moderata, con cui
era possibile dialogare e che sarebbe potuta rimanere al governo per un
tempo indefinito, e quindi desiderosa di mettersi alle spalle gli anni
della guerra e iniziare un percorso di riconciliazione nazionale.


Non era facile però per il PCI convincere gli Stati Uniti, le forze
alleate e il resto del governo, che nel Partito Comunista vedevano
ancora una forza sovversiva in grado di provocare un’insurrezione da un
momento all’altro. 

Per quanto questi timori fossero in gran parte
esagerati, il partito aveva davvero una struttura “parallela”,
organizzata in maniera paramilitare, con depositi segreti di armi. 

Con
l’amnistia da un lato Togliatti protesse i suoi stessi militanti da
eventuali processi – c’erano state parecchie uccisioni sommarie anche da
parte dei partigiani nelle settimane dopo la fine della guerra – dall’altro rafforzò la sua immagine di uomo politico
responsabile, lontano dagli estremismi e pronto a trovare compromessi. 

Fu una strategia che funzionò solo a breve termine. Poco più di un anno
dopo, nell’autunno del 1947, De Gasperi espulse i comunisti dal governo:
non sarebbero più tornati.

 

FONTE: Il Post