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Georgia, l’omofobia sale in cattedra

di Monica Ellena, 07 Giugno 2016.

Giornata della famiglia, 17 maggio 2016 (foto M. Ellena)

Sulla carta la Georgia è tra i paesi più progressisti del Caucaso in
materia LGBT, nei fatti però sono evidenti le tensioni e divisioni tra
comunità gay, chiesa ortodossa e governo.

Migliaia di persone hanno risposto all’appello delle autorità
religiose a celebrare la giornata dedicata alla famiglia, annunciata dal
capo della Chiesa ortodossa georgiana Patriarca Ilia II nel 2013 e istituzionalizzata l’anno seguente.
Un lungo corteo si è snodato lungo le principali arterie della città
fino alla cattedrale della Santa Trinità – canti e sermoni
accompagnavano bandiere e cartelli inneggianti al “17 Maggio, giorno
della forza della famiglia.”

Family day accademizzato

Ad
allargare le fila si sono uniti simpatizzanti e oratori del Congresso
mondiale della famiglia che dal 15 al 18 maggio ha tenuto a Tbilisi il
proprio summit annuale. Il World Congress of Families
(WCF) è un’associazione ombrello che abbraccia organizzazioni
cristiano-conservatrici, anti-aborto e anti-gay, dagli Stati Uniti –
dove ha la sede – alla Russia passando per l’Europa fino all’Australia.

Riuniti i propri stati generali a Tbilisi, il family day
accademizzato ha visto psicologi, medici, avvocati, preti e
rappresentanti della società civile dagli Stati Uniti alla Russia,
passando per Europea e Australia discutere per quattro giorni di
“inverno demografico”, “rivoluzione sessuale e marxismo culturale,
“sfide della famiglia tradizionale”. Dall’Italia Silvio Dalla Valle
dell’Associazione per la Difesa dei valori cristiani ha parlato di lotta
contro la legge per le unioni civili recentemente approvata dal
Parlamento al quale ha fatto eco Luca Volont della Fondazione Novae
Terrae, reiterando la corruzione della democrazia con governi che aprono
la porta ai matrimoni omosessuali.

Il convegno ha avuto la
benedizione laica dell’ex presidente statunitense George W. Bush che ha
inviato una lettera a sostegno dell’evento in risposta a un premio
conferitogli dal WCF, e quella religiosa del Patriarca della Chiesa
ortodossa georgiana Ilia II che ha partecipato nonostante età avanzata e
salute fragile.

Cerimoniere del simposio è stato Levan Vasadze,
ricco finanziare che ha fatto fortuna in Russia e presidente della
Società demografica georgiana 21, un’associazione attiva contro
pianificazione familiare, educazione sessuale e diritti gay. In un
applaudito discorso alla presenza del Patriarca, Vasadze ha accusato
l’Occidente di “avvelenare” la gioventù georgiana con un liberalismo
aggressivo e ha etichettato il governo dell’ex presidente Mikheil
Saakashvili come “un regime sanguinario sostenuto da potenze
occidentali.”

Nell’ovazione della sala Vasadze ha affermato che la
priorità della politica estera statunitense è quella di “sostenere
l’omosessualità in tutto il mondo,” che è ora di “fermare questa follia,
[…] di smettere di interferire negli affari interni di questo paese
sovrano; smettere di finanziare gli attacchi contro la nostra Chiesa e
la famiglia tradizionale attraverso centinaia di ONG [finanziate
dall’Occidente].”

Le parole di Vasadze hanno sfondato una porta
aperta. L’omofobia è diventato il punto di convergenza per la destra
cristiano-radicale americana, europea e russa e strumento di soft power usato da Mosca nei paesi dell’ex orbita sovietica così come oltreoceano.

Il
WCF mantiene stretti legami con il Cremlino attraverso Konstantin
Malofeyev e Vladimir Yakunin, due conservatori oligarchi russi vicini al
presidente Vladimir Putin che finanziano iniziative di sostegno alla
Russia e alla chiesa ortodossa. La moglie di Yakunin, Natalia Yakunina, è
a capo della Sacralità della Maternità, una delle associazioni parte
del WCF e ha partecipato al congresso come oratrice.

Attivisti zittiti e isolati

La scelta della data e del luogo per il simposio non è stata casuale. Il 17 maggio 2013
un raduno di attivisti gay, georgiani e stranieri, a Tbilisi fu
attaccato da gruppi cristiani radicali, guidati da diversi preti
ortodossi. La polizia dovette intervenire e scortare il piccolo gruppo
in un autobus mentre una folla inferocita accerchiava il mezzo urlando
“A morte! Non lasciateli andare via vivi.”

Da allora il 17 maggio è
una data delicata. Dopo il silenzio del 2014, lo scorso anno la
giornata è stata segnata con piccoli raduni in varie zone della città,
ma tenuti segreti fino all’ultimo e di breve durata, sotto pesante
controllo della polizia.

Il 2016 non è andato meglio. La
municipalità ha rifiutato la richiesta di un gruppo di attivisti LGBT
per una manifestazione nel centro della capitale giustificando con il
fatto che l’area era già stata prenotata dal Family Day e dieci
attivisti sono stati arrestati, rilasciati e andranno a giudizio
venerdì 20 maggio per aver tentato di dipingere “All love is equal”
sotto forma di graffiti. Un grande sgabello colorato posto sul
marciapiede di fronte all’hotel dove si svolgeva il congresso è stato
presto rimosso dalla polizia – il taburetka (sgabello) è
diventato un simbolo omofobo dopo che nel 2013 un prete lo aveva usato
nel tentativo di frantumare un finestrino dell’autobus che evacuava gli
attivisti LGBT.

Diritti garantiti, sulla carta

Sulla
carta la Georgia è tra i paesi più progressisti dell’area. Nel maggio
del 2014 il parlamento ha approvato all’unanimità la legge
anti-discriminazione, uno dei requisiti richiesti dall’Unione europea
per la firma dell’Accordo di associazione. Risultato di un compromesso,
la legge ha però attirato critiche da ogni parte – dalla Chiesa, che
aveva chiesto di rimuovere i riferimenti all’orientamento sessuale e
identità di genere, e dalla società civile, che la ritiene annacquata e
priva dei necessari meccanismi di punizione per chi discrimina. Lo
scorso settembre il tribunale di Tbilisi ha assolto quattro persone,
inclusi due clerici, dall’accusa di aver organizzato una caccia all’uomo
durante gli scontri del 17 maggio 2013.

In una dichiarazione
congiunta rappresentanti della società civile hanno denunciato il fatto
che “la mancanza di un’effettiva politica statale contro la
discriminazione lascia la comunità LGBT senza difese di fronte alla
violenza.” Per Ucha Nanuashvili, il difensore pubblico, gli
“atteggiamenti omofobici nella società rappresentano una minaccia per
l’esercizio dei diritti costituzionali.”

Gruppi radicali hanno
cavalcato l’onda omofoba nel paese e spinto per inserire la definizione
del matrimonio come l’unione tra uomo e donna, per combattere il
pericolo del matrimonio gay nel paese. Per Natia Gvinashvili, attivista
gay e direttrice del Gruppo per iniziative di supporto alle donne, si
tratta di “una discussione creata ad hoc per metter sotto accusa la
comunità omosessuale che non ha nessuna intenzione di spingere per le
unioni gay”.

Il presidente georgiano Giorgi Marghvelashvili, da
mesi in contrasto con la coalizione Georgian Dream, lo ha definito una
chiara mossa politica. “E’ un problema inventato, che crea un’inutile
tempesta in un bicchiere. La risposta è semplice: per non parlare di
disoccupazione, di istruzione, di cultura, e dei territori occupati
[Abkhazia e Ossezia del sud].”

Problema reale o fittizio,
personaggi come Vasadze sono stati capaci di manipolare la diffusa
omofobia e farla diventare oggetto di discussione in grado di influenza
l’ago della bilancia politica.

“Il congresso è stato una sorta di coming out
politico per Vasadze,” spiega a condizione di anonimato un osservatore.
“Per i gruppi radicali il 17 maggio è stato un successo che lascia loro
spazio per pesare sul voto parlamentare di ottobre.”

FONTE: Balcani Caucaso