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Alti muri e grandi muraglie, la paura del diverso ed i miti identitari

di Piotr, 24 giugno 2016.



In fondo anche il viaggio, nella sua
essenza più profonda, è una questione indentitaria visto che chi viaggia
non è più quello che ha lasciato ma non è nemmeno quello che ha
trovato. Il viaggio è un limbo, esattamente come è un
limbo il periodo storico in cui viviamo, dove la mancanza di narrazioni
rende incomprensibile il presente, non vedendo i profondissimi processi
identitari in corso che il terrorismo, islamico o meno, ha solo estremamente velocizzato. Viviamo in un’epoca di confusione, rinchiudere e rinchiudersi diviene norma.

Procediamo con ordine. In principio fu il consumatore, figura creata per illudere le masse
con il benessere disgregando i legami sociali in nome del mito del
possesso, ma erano tempi di vacche grasse. Con la crisi il consumatore è
diventato un atomo sociale, legato (fino a che dura) al posto di lavoro per il benessere
della società (ma la società composta da chi?). A collegare questi
atomi forse solo la paura, sentimento grazie al quale lo schiavo
salariato addirittura invoca l’intervento di chi lo ha messo in catene: rendimi povero ma proteggimi! Manca sempre più un sentimento identitario positivo che unisca questi atomi sociali in lotta.


Il grande successo del terrorismo è proprio questo, distruggere i sentimenti identitari che
accomunano per gettare il nemico in una guerra di tutti contro tutti,
per l’esigenza di fare fronte le società buttano fuori i diversi, coloro
dei quali non ci si può completamente fidare; ma in un contesto disgregato
non esiste in realtà nulla che accomuni gli autoproclamati “normali”.
Solo un’allenza basata sulla paura e sul sospetto reciproco mentre,
sempre in campo identitario, il terrorismo affascina gli esclusi, coloro
che non trovano risposte in una società, la nostra, basata sulla competizione e sul successo a tutti i costi.


Il caso della strage di Orlando
è esemplare, loro (le vittime) erano i diversi per eccellenza, coloro
che non procreano ossia non forniscono nuovi soldati per la guerra in
corso. Un gay è molto più di un nemico, è un disertore, la guerra esige
combattenti. Per i morti di Orlando il silenzio, loro
non meritano l’orgasmo dei media che invece è stato devastante con i
morti del Bataclan. Il locale di Orlando è una sodoma da nascondere,
come se nei cessi del Bataclan, e di qualunque locale
dove si divertono i “normali”, si recitasse il rosario. Per una volta
l’ISIS non è stato così nemico, giusto per una volta. Forse nemmeno è
stato l’ISIS…


Di fronte a tutto questo, di fronte alla mancanza di ideali
che uniscono bisogna difendersi ed ecco i muri, questo grande mito che
esiste da sempre. Ma i muri nascono per tenere fuori i loro o per tenere
dentro i nostri? I muri servono davvero a qualcosa, sono mai serviti
a qualcosa? Sono davvero una prova di forza o, piuttosto, un segno di
debolezza? Tutte domande per la cui risposta non si che può andare ad
investigare la storia del muro più famoso del mondo: la Grande Muraglia cinese. Una costruzione, questa, che fa letteralmente parte del mito identitario della nazione cinese, nel bene e nel male.


Un libro molto interessante, La Grande Muraglia. Dalla storia al mito (disponibile in inglese) di Arthur Waldron
è davvero illuminante, mostrando come in realtà non esista la Grande
Muraglia che conosciamo, una costruzione accompagnata da lotte tra
fazioni con diverse visioni del potere. Secondo alcuni i
barbari andavano integrati nel sistema cinese, dando prova di forza
eliminando i motivi – spesso commerciali – di scontro, secondo altri non
si poteva permettere che si creasse una società mista che mescolasse popolazioni così diverse. Un dibattito che ricorda molto quanto avviene ai giorni nostri.


Waldron insegna poi come
la visione della Grande Muraglia sia in continuo equilibrio tra
positivo e negativo, una visione che cambia a seconda del momento
storico. Nelle ballate popolari cinesi spesso la Grande Muraglia viene
ritenuta una maledizione che ha ucciso un numero infinito
di contadini, secondo le fonti ufficiali cinesi è stata invece un’opera
nata dallo sforzo supremo di tutte le genti che compongono la Cina,
basta recarsi al museo che si trova a Jiayuguan, nel Gansu, per rendersene conto. I muri possono sempre essere visti in due modi: un impedimento all’accesso, ma anche un ostacolo alla fuga.


Una Grande Muraglia, quindi, figlia di una sorta di impasse,
riscoperta solo in tempi abbastanza recenti e secondo visioni altrui,
come mostra l’autore confrontando fonti cinesi ed occidentali. L’altro
quindi come elemento fondamentale nella propria costruzione
identitaria nel momento in cui questa si rivela debole, proprio come
successo in Cina durante l’assalto delle potenze occidentali alla “terra
di mezzo”. Nella nostra società è il pensiero unico -teocratico
o meno che sia – che assalta le differenze culturali, con risposte
scomposte e confuse, creando una molteplicità di linee di frattura.


Ai nostri giorni tutti invocano muri,
ogni gruppo sociale esige il suo isolamento che crede protettivo, ma
prima o poi i muri crollano e si rimane schiacchiati dal peso della
propria diffidenza. Proprio quello che i terroristi vogliono, forse
quello che vogliono anche coloro che i terroristi
dicono di combattere, per il nostro bene. Tutto sembra maledettamente
difficile, ma la scelta non può limitarsi alla scelta del lato del muro,
oggi più che mai si devono cercare altre strade che
non separino, ma che includano, come i mercati in cui barbari e cinesi
commerciavano, con qualche imbroglio ma commerciavano; faccia a faccia.


FONTE: Farfalle e trincee