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Quando la Siria ospitava i rifugiati europei

di Evan
Taparata e Kuang Keng Kuek Ser
, 23 Maggio 2016



Nei primi anni
’40, Aleppo (così come Nuseirat in Palestina e diverse località in
Egitto) ha accolto migliaia di europei in fuga dagli orrori e dalle
tragedie della seconda guerra mondiale.



Da quando cinque anni fa è scoppiata
la guerra civile in Siria, milioni di rifugiati hanno cercato porto
sicuro in Europa via terra e via mare, attraverso la Turchia e il
Mediterraneo.


Anche 70 anni fa dei rifugiati hanno
attraversato queste stesse rotte. Ma non erano siriani e hanno
viaggiato nella direzione opposta. Al culmine della seconda guerra
mondiale, il Middle East Relief and Refugee Administration (MERRA) ha
gestito campi in Siria, Egitto e Palestina, dove hanno cercato
rifugio decine di migliaia di persone provenienti da tutta Europa.



Il Merra faceva parte di una rete
crescente di campi profughi di tutto il mondo gestiti da uno sforzo
collaborativo di governi nazionali, ufficiali militari ed
organizzazioni umanitarie nazionali e internazionali. Vari gruppi di
assistenza sociale – tra cui il Servizio Internazionale per le
Migrazioni, la Croce Rossa, la Fondazione Vicino Oriente e Save the
Children Fund – si sono inseriti in questa attività di supporto al
Merra. Successivamente i campi sono stati gestiti dalle Nazioni
Unite.



Gli
archivi forniscono informazioni limitate sulla demografia dei campi
profughi della seconda guerra mondiale in Medio Oriente. Le
informazioni che sono disponibili mostrano tuttavia che, secondo le
previsioni dei funzionari del campo, quest’ultimo sarebbe stato in
grado di ospitare altri profughi nel corso del tempo. Le informazioni
geografiche sulla posizione dei campi provengono da registrazioni
dell’archivio del ramo statunitense del Servizio Sociale
Internazionale, situati presso il Social Welfare History Archives
dell’Università del Minnesota.



Nel marzo 1944 i funzionari che hanno
lavorato per il Merra e il Servizio migrazione internazionale (in
seguito chiamato Servizio Sociale Internazionale) hanno pubblicato
relazioni su tali campi profughi nel tentativo di migliorarvi le
condizioni di vita. Le relazioni offrono una finestra nella vita
quotidiana dei cittadini europei – in gran parte dalla Bulgaria,
dalla Croazia, dalla Grecia, dalla Turchia e dalla Jugoslavia – che
si sono dovuti adattare alla vita all’interno di campi profughi in
Medio Oriente durante Seconda guerra mondiale. 

Le condizioni di vita
riecheggiano quelle affrontate dai profughi oggi.

Tende in un campo profughi a Nuseirat, Palestina, durante la II Guerra Mondiale

All’arrivo
in uno dei numerosi campi in Egitto, Palestina e Siria, i rifugiati
venivano registrati dai funzionari del campo, che distribuivano carte
d’identità rilasciate dal campo. 

Questi documenti – che dovevano
portare con sé in ogni momento – comprendevano informazioni quali
il nome del rifugiato, il numero di identificazione del campo,
informazioni sulla istruzione e sulla loro storia lavorativa e le
abilità speciali che possedevano.

I funzionari del campo hanno mantenuto
un registro con i vari dati delle persone: numero di identificazione,
nome completo, sesso, stato civile, professione, numero di
passaporto, commenti, la data di arrivo e, infine, la data di
partenza.


Una volta registrati, gli ultimi
arrivati si sottoponevano a un esame medico approfondito. 

I rifugiati
si dirigevano quindi verso ciò che erano spesso strutture
ospedaliere di fortuna – di solito tende, ma a volte edifici vuoti
riutilizzati come centri medici – dove si spogliavano di vestiti e
scarpe per poi essere lavati a fondo fino a quando i funzionari li
dichiaravano sufficientemente disinfettati.



Alcuni rifugiati – come i greci che
sono arrivati nel campo di Aleppo dalle isole del Dodecanneso nel
1944 – potevano aspettarsi che i controlli medici sarebbero
diventati parte della propria routine quotidiana.


Dopo che i funzionari medici,
soddisfatti, li dichiaravano sufficientemente sani da unirsi al resto
del campo, i rifugiati venivano smistati nei vari settori abitativi:
per famiglie, per bambini non accompagnati, per uomini soli e donne
sole. Una volta assegnati ad una particolare sezione del campo, i
rifugiati godevano di ben poche opportunità di uscire fuori. Di
tanto in tanto veniva loro concesso di andare in giro sotto la
supervisione dei funzionari del campo.



Il generale Gullion e Fred  Hoehler, direttore
dello “United Nation’s Division of Displaced Persons”, segnano i potenziali movimenti dei rifugiati europei.

Percorrendo
diversi chilometri per andare in città, ad esempio, i rifugiati nel
campo di Aleppo potevano recarsi ai negozi per comprare beni di prima
necessità, guardare un film al cinema o semplicemente trovare un po’
di distrazione dalla monotonia della vita del campo. E se anche il
campo di Moses Wells, situato su oltre 100 acri di deserto, non aveva
città nelle vicinanze, ai rifugiati veniva permesso di passare un
po’ di tempo ogni giorno a fare il bagno nel vicino Mar Rosso.



Naturalmente, il cibo era una parte
essenziale della vita quotidiana dei rifugiati. In genere, durante la
seconda guerra mondiale, i rifugiati nei campi Merra ricevevano ogni
giorno metà delle razioni dell’esercito. I funzionari concedevano
che, quando possibile, le razioni venissero integrate con gli
alimenti che riflettevano le usanze nazionali e religiose dei
rifugiati.



Coloro che avevano la fortuna di avere
i soldi avrebbero potuto comprare fagioli, olive, olio, frutta, tè,
caffè e altre merci nel campo o durante le visite occasionali ai
negozi locali, dove oltre al cibo potevano comprare sapone, lame di
rasoio, matite, carta, francobolli e altri oggetti. I campi in cui i
residenti non erano stipati erano in grado di fornire degli spazi per
permettere ai rifugiati di preparare i pasti. Ad Aleppo, per esempio,
nel settore femminile veniva riservata una camera per preparare i
maccheroni con la farina ricevuta dai funzionari del campo.



In alcuni campi, ma non in tutti, i
profughi erano tenuti a lavorare. Ad Aleppo i rifugiati venivano
incoraggiati, ma non obbligati, a lavorare come cuochi, come addetti
alle pulizie e come calzolai. Il lavoro non era obbligatorio neanche
a Nuseirat, ma i funzionari del campo cercavano di offrire ai
rifugiati l’opportunità di utilizzare le proprie abilità nella
falegnameria, nella pittura, nella realizzazione di scarpe e nella
filatura della lana in modo da poter rimanere occupati e guadagnare
un po’ di soldi dagli altri rifugiati che si potevano permettere i
loro servizi.



Rifugiati greci in un campo profughi a
Moses Wells, in Egitto, si riuniscono con i parenti nell’isola patria
di Samo.

Nel
campo di Moses Wells, invece, venivano impiegate in qualche attività
tutti coloro che erano fisicamente in forma e in grado di lavorare.
La maggior parte lavorava come commerciante, addetto alle pulizie,
sarto, apprendista, muratore, carpentiere e idraulico. 

Le “persone
estremamente qualificate” venivano invece impiegate come maestri di
scuola o capomastri. Le donne eseguivano ulteriori lavori domestici
quali il cucito, la lavanderia e la preparazione del cibo, tra gli
altri.



Addirittura alcuni campi offrivano ai
rifugiati la possibilità di ricevere formazione professionale. Nei
campi di El Shatt e Moses Wells il personale ospedaliero era così
striminzito che furono raddoppiati i programmi di formazione
infermieristica per i rifugiati jugoslavi e greci.
In un articolo per l’American
Journal of Nursing, così come in diversi rapporti rilasciati al
Servizio migrazione internazionale, un’infermiera di spicco di nome
Margaret G. Arnstein ha notato che agli studenti del programma sono
state insegnate nozioni di infermieristica, di anatomia, di
fisiologia, di primo soccorso, di ostetricia, di pediatria, così
come delle norme e dei regolamenti militari che governavano i campi.
Poiché la maggior parte dei rifugiati non aveva ricevuto
un’istruzione formale oltre alla scuola di grammatica, Arnstein ha
notato che il programma di cura è stato insegnato “in termini
semplici”, ponendo enfasi sull’esperienza pratica rispetto alla
teoria e alla ricerca terminologica.

Le infermiere capo del programma di
formazione speravano potessero ricevere l’accreditamento formale in
modo che chiunque che completasse il programma potesse essere
autorizzato a lavorare da infermiere una volta uscito dal campo. Ma
all’epoca gli studenti di infermieristica nei campi profughi
venivano abilitati a trattare pazienti soltanto perché erano
“infermieri di emergenza” che operavano per necessità in tempo
di guerra.



I funzionari del Merra concordavano
sul fatto che per i bambini dei campi profughi era meglio avere una
routine regolare. L’istruzione era una parte cruciale di quella
routine. Le aule dei campi profughi del Medio Oriente hanno avuto,
nella maggior parte dei casi, troppi pochi insegnanti e troppi
studenti, strutture inadeguate e sovraffollate. Eppure non tutti i
campi erano così. A Nuseirat, per esempio, un rifugiato artista ha
realizzato molti dipinti e li ha appesi sulle pareti di una scuola
materna all’interno del campo, rendendo le aule “luminose e
allegre”. Locali volenterosi hanno donato giocattoli, giochi e
bambole per l’asilo, portando un funzionario del campo a far notare
che “non aveva nulla da invidiare a molti asili negli Stati Uniti”.



Bambini in
un campo profughi di Tolumbat, Egitto, scrivono nella sabbia “naša
škola”, “la nostra scuola”. È il 1945. 



Quando non lavoravano e non andavano a
scuola, i rifugiati prendevano parte a varie attività di svago. Gli
uomini giocavano a pallamano e a calcio e socializzavano trattando
sigarette – di tanto in tanto anche birra e vino, se disponibili –
nelle mense all’interno del campo. 

Alcuni campi avevano terreni da
gioco con scivoli e altalene dove i bambini potevano intrattenersi, e
dove i funzionari del campo, le truppe locali e gli operatori della
Croce Rossa organizzavano balli per i residenti del campo.

 

Proprio
come i rifugiati di oggi, gli europei che si trovavano nei campi
profughi del Medio Oriente cercavano di tornare alla vita normale. Le
persone che gestivano i campi volevano lo stesso. Secondo l’Agenzia
delle Nazioni Unite per i rifugiati, oggi ci sono quasi 500.000
siriani registrati nei campi come rifugiati. 

Quasi 5 milioni di
persone sono state sfollate a causa del conflitto.




FONTE: Frontierenews

Foto: United
Nations Archives and Records Management Section
 e Muhammad
Hamed/Reuters)