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L’Europa al centro della Storia, così si alimenta l’ignoranza

di Angela Caporale, vociglobali, 13 Maggio 2016.

Ci si è mai chiesti se
il modo e il metodo con cui studiamo la Storia non abbia portato, più
o meno in maniera diretta, alla crescita di xenofobia e pregiudizi
nei confronti di migranti e rifugiati? Talmente abituati a
considerare l’Europa come orizzonte geografico e morale della
propria identità, diventa complesso anche semplicemente raccogliere
le informazioni e le conoscenze che abbiamo sul “resto del mondo”.

Eppure il resto
del mondo

non si può certo ridurre a una manciata di persone: come osserva
Lorenzo Ferrari in un
articolo apparso su Il Post
, “abbiamo
una
conoscenza
molto fragile e precaria dell’Asia e dell’Africa

(ma anche di certe zone dell’Europa e del Sudamerica). 

E usiamo
quelle poche cose che sappiamo per costruirci sopra un intero
immaginario: hai voglia a spiegare agli stranieri che l’Italia non
è solo pizza, pasta e mafia; facciamo la stessa cosa noi col loro
Paese. E siccome disponiamo solo di quei pochi elementi per
costruirci attorno un mondo, quelli finiscono per assumere un peso
spropositato nell’immaginario
.”



Se, da un lato, è
naturale utilizzare gli elementi a nostra disposizione per costruire
una rappresentazione complessa di persone che non conosciamo con cui
relazionarci, dall’altro questa tendenza non può che portare alla
cristallizzazione
di pregiudizi, stereotipi e interpretazioni

che contrastano non soltanto con la realtà del resto
del mondo
,
ma anche con la velocità del cambiamento che sta coinvolgendo
soprattutto l’Africa e l’Asia. 

Anche i reportage di Tiziano
Terzani e Ryszard Kapuscinski

a cui siamo affezionati appartengono ormai ad un
altro tempo

e poco rispondono alle molteplici realtà che animano il Sud del
mondo. Storia, usanze e tradizioni di Paesi come la Nigeria, il
Pakistan o il Cile diventano appannaggio di specialisti e tecnici,
appassionati di una singola nicchia che passa completamente
inosservata sui canali mainstream.






Una rappresentazione del
planisfero fedele all’effettiva proporzione territoriale tra gli
Stati. Fonte: CreativeReview.co.uk

Se si trattasse, poi,
semplicemente di una questione di interesse personale, non finirebbe
a rappresentare un problema reale e concreto. Tuttavia, quella che
può sembrare una visione semplicistica del diverso, si ripercuote
poi su
atteggiamenti
e politiche nel momento in cui una parte del
resto
del mondo

viene a contatto con l’Europa.

Ecco allora che le migrazioni da fenomeno naturale e innato si
trasformano in qualcosa di cui avere paura.

Jonathan Even Zohar,
membro dell’EUROCLIO
– European Association of History Educators
, intervenuto alla
UNITED
Conference “Moving Stories – Narrative of migration crossing
Europe”
, ha sottolineato come “
esclusi
gli uccelli, siamo la specie che più migra: siamo andati fin sulla
luna!

Ci piace muoverci.

Tuttavia, anche nei libri di Storia, siamo abituati a veder prevalere
il senso di orgoglio nazionale rispetto ai mutamenti e agli
spostamenti. 

Storia e attualità si limitano a presentare una
prospettiva fortemente eurocentrica, anche quando si parla di Paesi
lontani e storie esotiche sarà sempre il punto di vista
“occidentale” ad essere presentato attraverso pensatori e
studiosi appartenenti ad una determinata cultura e mai autoctoni. Sui
banchi di scuola si susseguono storie di eroi e conquiste, di
sofferenze subìte e riscatti in cui i protagonisti sono sempre gli
occidentali, mentre le
migrazioni vengono presentate soltanto sotto la lente della
tolleranza verso le minoranze o verso le differenti religioni.



In questo modo, la
metodologia di insegnamento della Storia anziché aiutare le nuove
generazioni a comprendere a fondo argomenti e motivazioni di retorica
e politica (che utilizza in maniera costante elementi storici),
rafforza un approccio eurocentrico.  

L’Europa
è diventata dipendente dalla sua stessa Storia
,
spiega Even Zohar, al punto che non ci occupiamo quasi per nulla
della Storia globale pur vivendo in un mondo globalizzato e
interconnesso. 

Da questo approccio derivano idee come la presunta
incompatibilità tra democrazia e Islam, l’esportazione dello stato
di diritto e della democrazia, la primazia dei valori
giudaico-cristiani.



In questo contesto in cui
la Storia viene costantemente utilizzata nella retorica politica
anti-immigrati, lo studio della disciplina storica e, più in
generale, la ricerca intellettuale e accademica assumono un ruolo
fondamentale per promuovere una narrazione differente. 

In
primo luogo

– osserva Even Zohar – è
importante sottolineare il fatto che
la
mobilità umana è un fattore costante nella nostra storia biologica
e culturale.
 

In secondo luogo, dobbiamo tenere sempre in considerazione che
esistono condizionamenti ambientali rilevanti e che dobbiamo andare a
scavare oltre il nazionalismo del 19esimo secolo, discutendo i
concetti che costruiscono l’identità e la memoria comune
“.



Oggi, in Europa, proprio
le Università possono diventare questo spazio comune di discussione
e comprensione reciproca
,
attraverso una lente storica e culturale, dell’altro. I primi passi
in questa direzione sono stati mossi proprio in Italia in questi
giorni: l’iniziativa U4Refugees
permetterà a studenti e ricercatori con un percorso già avviato nei
loro Paesi di avere un’accoglienza umanitaria ed educativa in
Europa. 

Si tratta del primo esperimento di “corridoi
educativi”

in Europa, dove la mobilitazione del mondo accademico per accogliere
richiedenti asilo e rifugiati è diffusa in maniera trasversale.



Thomas Piketty, Alain
Badiou, Frédéric Lordon insieme ad altri intellettuali francesi
hanno firmato un
appello
per promuovere una “nuova concezione dell’accoglienza”
che passi proprio dalle Università. Vi è una certezza fondante: “
la
lingua e la conoscenza sono i fondamenti della dignità e della
ricostruzione di sé
“. 

In questo modo diventa possibile ricreare uno spazio comune libero e
aperto che possa superare i pregiudizi e indebolire i residui di un
approccio storico fortemente eurocentrico a favore del dialogo, del
dubbio e della discussione, elementi – tra l’altro – fondanti
la democrazia.