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Le ragioni per dire Stop TTIP

di cospe, 04 Maggio 2016.

A Roma, il prossimo 7 maggio,
la società civile italiana prenderà parola

con l’obiettivo di rompere il muro di omertà istituzionale che
circonda il negoziato
TTIP,
il trattato transatlantico di liberalizzazione commerciale tra Stati
Uniti e Unione Europea

che ha come ambizione primaria quella di azzerare i dazi (pochi)
rimasti e di falciare molte delle regolamentazioni e degli standard
che governano i mercati, le cosiddette “barriere non tariffarie”.
Il tutto per assicurare, secondo fonti ufficiali, un aumento dello
0,48% di prodotto interno lordo (medio, quindi con un contributo
molto variabile dai vari comparti economici) a partire dal 2027,
quindi dopo un’implementazione di 10 anni, non da subito,
considerando la conclusione dei negoziati e la ratifica del trattato
al 2017, e solo nelle condizioni ottimali  che prevedono il 100%
di tariffe tagliate e il 25% delle barriere non tariffarie eliminate.

Dati allarmanti, aggravati dalla
recente pubblicazione da parte di Greenpeace Olanda di 248 pagine
relative al dodicesimo e penultimo round negoziale tra Unione Europea
e Stati Uniti. Il documento mette a nudo la posizione
estremamente aggressiva delle pretese degli USA, e delle resistenze
avanzate dalla controparte. 

Per la prima volta, i cittadini delle due
superpotenze, 
oltre
800 milioni di persone

per
circa il 46% del PIL
mondiale,
hanno accesso a
queste informazioni. 

Ma non tutti ne sono stati tenuti
all’oscuro: le
grandi
multinazionali

vengono infatti citate più volte come soggetti interpellati a
tutela dei loro interessi. 

Interessi e diritti che passano
invece in secondo piano per i cittadini, come dimostrano le pressioni
statunitensi per
 l’abbandono
del principio di precauzione

inglobato nel Trattato UE, a favore di un approccio “basato
sui rischi”. Le lacune, i dubbi e le domande sono però molte:
nessun accenno all’
Accordo sul
clima di Parigi
e
all’impegno a mantenere l’aumento delle temperature sotto 1,5
gradi; nessuna traccia della
“General
Exceptions”,
la regola
internazionale sopravvissuta per ben 70 anni e compresa nei GATT
(General Agreement on Tariffs and Trade), che permetteva agli
Stati di difendere la priorità della conservazione delle
risorse naturali esauribili e soprattutto della vita e della
salute umana, animale o delle piante sul profitto.
 

Appare evidente
come l’approvazione del TTIP rappresenterebbe dunque il colpo
finale alla nostra già debole democrazia, che in questo modo si
piegherebbe definitivamente alla logica del profitto.


In verità le conseguenze
della conclusione del trattato sarebbero molte e contraddittorie
,
come il fenomeno già analizzato (ma mai dichiarato) della  
trade
diversion
, cioè del
riorientamento dei flussi commerciali a trattato concluso: che
porteranno a un rafforzamento degli scambi transatlantici, a tutto
svantaggio di quelli intraeuropei con punte di diminuzione del -29%
tra Italia e Germania. Per non parlare degli effetti di depressione
che si avranno nei Paesi limitrofi, come nell’area del Maghreb, che
vedranno una contrazione dei flussi commerciali e del loro reddito
pro capite, come ha avuto modo di dimostrare un’interessante
ricerca (dichiaratamente pro TTIP) della Bertelsmann Foundation.



Ma impatti pesanti si
prevedono anche per la nostra agricoltura
:
un
nuovo
report

redatto da Friend
of the Earth Europe con il contributo dell’organizzazione
italiana Fairwatch mostra come il TTIP possa essere una vera e
propria minaccia per l’agricoltura europea. 

Lo studio, lanciato il
28 aprile, rivela come mentre il contributo dell’agricoltura
europea potrebbe diminuire dello 0,8%, con conseguente perdita di
posti di lavoro, quello statunitense aumenterebbe dell’1,9%. 

Una
vera e propria ristrutturazione del mercato che avrebbe effetti anche
sulla gestione del territorio e sulle caratteristiche del tessuto
produttivo agricolo europeo e italiano.