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La “normalità” di Gaza. Intervista con Shareef Sarhan

di Nicoletta de Vita, 19 Maggio 2016,

Macerie, spiagge, donne tra le case
bombardate, pescatori e poi sorrisi. 

Volti di bambini che giocano tra
la polvere di un edificio crollato e una
normalità
senza filtri. 

Sono i
principali soggetti degli scatti del fotografo e artista palestinese
Shareef
Sarhan
.



Le immagini con cui Shareef racconta
la striscia di Gaza sono emblematiche e ritraggono ogni giorno un
pezzo di quotidianità, soprattutto quella dei più piccoli. 

Da
alcuni anni è impegnato all’interno del collettivo “
Windows
from Gaza
”, di cui
è fondatore e membro con altri artisti palestinesi. Shareef si è
diplomato negli Stati Uniti all’Accademia delle Belle Arti, ha
esposto i suoi lavori sia in Medio Oriente che in Europa e Stati
Uniti e ora insegna a Gaza all‘Università
Al-Azhar
. 

Nel
2014, anno dell’ennesima offensiva israeliana a Gaza,
le
sue foto hanno fatto il giro del mondo quando iniziò a pubblicare
sui principali social

Non solo foto che mostravano la città imbruttita dalle bombe ma
anche semplici scatti con selfie tra i bambini.



Un
bambino sorride felice della sua bicicletta tra le macerie di Gaza.

Shareef iniziò in quel periodo ad
insegnare arte tra i ragazzini dei rifugi organizzati dall’Onu
sperimentando e interagendo con i più piccoli per dare forma alla
loro creatività.  

Gli occhi dei bambini di Gaza
nelle sue foto sembrerebbero fuori contesto per la cornice e lo
sfondo, invece rappresentano proprio la speranza del popolo
palestinese che nonostante tutto non smette di sorridere e
rimboccarsi le maniche per andare avanti.

Che cosa è il progetto
“Windows from Gaza”?



Windows from Gaza è un lavoro in
collaborazione con molti
artisti palestinesi
 in particolare sulla città di Gaza:
mostre individuali o di gruppi di artisti locali o anche provenienti
dai Paesi vicini. All’interno di questo progetto abbiamo inserito
anche workshop con artisti giovanissimi e bambini volti a riconoscere
e migliorare le loro capacità artistiche. 

Da mesi siamo a lavoro per
realizzare una galleria in grado di ospitare esposizioni tutto
l’anno, aprendo i nostri studi al pubblico e per far conoscere il
mondo dell’arte anche al popolo martoriato di Gaza, grazie
all’aiuto di artisti e studenti di arte moderna.


Donne
dalle finestre di case sventrate dalle bombe a Gaza, in Palestina.




Nelle tue foto spesso
descrivi la quotidianità di Gaza attraverso gli occhi dei bambini.
Quanto è importante secondo te, la creatività tra i bambini e
ragazzi?

Negli ultimi tempi i giovani stanno
creando un grande cambiamento, mostrando foto e la loro creatività
al mondo intero, cosa molto importante per combattere gli stereotipi
su Gaza da cui le persone all’estero sono sempre state storicamente
influenzate. 

Ritengo che questa sia anche la mia missione: cambiare
tali stereotipi mostrando foto di Gaza inaspettate e poco note.
Questo non significa che Gaza sia perfetta, anzi. 

Viviamo una
situazione di emergenza umanitaria, soprattutto dopo tre anni di
guerra e dieci di vita sotto assedio, in cui questo luogo è
diventato la più grande prigione del mondo.



Dall’inizio della guerra
hai scattato delle immagini che, in particolare, ritieni
emblematiche?

Durante la guerra, ho lavorato in due
modi differenti e in due visioni completamente opposte. 

La prima è
stata quella dei reportage fotografici per la stampa che riflettevano
i fatti come accadevano al momento. 

Questa modalità mi consente di
andare avanti ma di tanto in tanto ho cercato di lavorare anche sulla
parte artistica per esprimere e raccontare la vita che abbiamo
vissuto durante i 51 giorni di guerra e sulle sensazioni provate qui
a Gaza. 

In alcune di queste foto ho utilizzato dei selfie con bambini
che vivono all’interno dei rifugi dell’UNRWA
(l’Agenzia delle Nazioni Unite che si occupa del soccorso e
dell’occupazione dei rifugiati) e ho iniziato a pubblicarle online. 

Nelle foto ci mostriamo sorridenti, nonostante ci fossero
bombardamenti a pochi metri. 

In questo modo, tutti insieme,
riducevamo le sensazioni di paura e spavento. 

Queste foto ci hanno
regalato piccoli attimi di spensieratezza e ci siamo sentiti al
sicuro, anche se per poco.


Bambini
che corrono tra le case bombardate di Gaza.

Quanto è difficile oggi
lavorare nel campo dell’arte e soprattutto diffonderla in una zona
costantemente in guerra?

Di certo è difficile in una zona in
assedio e in guerra come Gaza, in cui siamo isolati dal mondo intero,
se non fosse per le email e i social network. Un artista per lavorare
in queste condizioni deve raddoppiare gli sforzi. Ma nonostante le
circostanze difficili in Palestina riusciamo a fare arte e a
raggiungere il mondo intero con lo scopo di cambiare – come dicevo
– gli stereotipi sul popolo palestinese. Andiamo avanti fino
all’ultimo respiro e l’arte è il nostro unico strumento per
diffondere la cultura di amore, pace e tolleranza tra i popoli.


[Tutte
le foto pubblicate sono di Shareef Sarhan. Gentilmente concesse
dall’autore
]


FONTE: Voci Globali