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La “luchadora” morta per salvare la natura

di Laura Carbonetti, 24 Maggio 2016.

Hanno un volto e un nome i
presunti killer di Berta Caceres
, l’ambientalista
honduregna coordinatrice e co-fondatrice del Consiglio delle
organizzazioni popolari e indigene, uccisa nella notte tra il 2 e il
3 marzo scorso, mentre dormiva in casa, con tre colpi di pistola
nella pancia. 

Gli arrestati sono Douglas Geovanny Bustillo, Mariano
Diaz Chavez, Sergio Rodriguez Orellana e Edilson Duarte Meza. 

Tre di
loro farebbero parte della Desa, la società elettrica ai cui
progetti idroelettrici la leader ecologista si opponeva, il quarto,
invece, è un militare. Dopo due mesi lo Stato dell’Honduras sembra
volere mettere la parola fine a questa storia scomoda, ma c’è chi
sospetta che questa cattura arrivi troppo “puntuale”, a pochi
giorni dalla richiesta di un’indagine indipendente da parte della
comunità internazionale.



Noi tutti sappiamo che è
morta per via delle sue battaglie”
,
raccontava la madre poche ore dopo l’omicidio, smentendo con
determinazione le voci che volevano fare credere che la donna fosse
scomparsa per una rapina finita male, una delle tante che si
verificano nelle periferie honduregne.



Tre proiettili hanno fatto
tacere per sempre la giovane “luchadora”

– come lei stessa amava definirsi –, che da anni combatteva per
difendere i diritti delle popolazioni indigene d ell’ambiente.
Berta aiutava la comunità di Rio Blanco a impedire la realizzazione
del complesso idroelettrico Agua Zarca, nel bacino del fiume
Gualcarque. Un progetto che avrebbe stravolto per sempre gli
equilibri naturali della regione, compromettendo l’approvvigionamento
idrico di circa 600 famiglie. 

Era stato approvato dal governo, senza
preoccuparsi degli indigeni del territorio.



Quello di Berta Caceres non è
un caso isolato.
 

Secondo
l’Organizzazione non-governativa Global Witness negli ultimi anni
il Paese centroamericano dell’Honduras è diventato il più
pericoloso al mondo per i militanti ecologisti, con 101 omicidi
registrati nel periodo tra il 2010 e il 2014. Delitti rimasti
impuniti, perché lo Stato sembra voltare le spalle alle vittime di
questi crimini. Uno
schiaffo
ai valori di giustizia, libertà e pace sociale che tanto desiderava
Berta.



Chi la conosceva sapeva che da
anni era oggetto di minacce di morte
,
“avvertimenti” pesanti come macigni, e non ha creduto per un solo
momento che la donna sia morta per caso. Perfino poche ore prima che
fosse uccisa, gli amici raccontano che, nei pressi della diga, c’era
chi si vantava che avrebbe compiuto quel delitto. La famosa attivista
era un obiettivo quasi scontato, quindi, tanto che la Commissione
interamericana dei Diritti umani era intervenuta per chiedere la
protezione delle forze dell’ordine. Ma Berta non è stata difesa.
Le sue numerose denunce sono rimaste inascoltate.



La donna aveva più volte
raccontato le condizioni nelle quali era costretta a vivere
,
insieme ad altri impegnati come lei nella difesa delle popolazioni
indigene, anche in numerose interviste, come nell’ultima rilasciata
alla rete televisiva statunitense Cnn: “Lo Stato honduregno sta
mettendo in atto una politica di criminalizzazione. Lo si vede dalle
leggi che sono state approvate. Hanno criminalizzato il diritto umano
a difendere il bene comune e l’ambiente, dando alle multinazionali
il privilegio incredibile di operare in Honduras in assoluta
impunità”.



Proprio perché sapeva di
essere in pericolo
, la
leader degli indigeni viveva in un bungalow nei pressi di La
Speranza, e aveva sacrificato la sua vita familiare, rinunciando ad
avere con sé i figli, che aveva mandato in Argentina pochi giorni
prima del suo omicidio. Il giorno prima della sua barbara uccisione,
aveva salutato la figlia Laura all’aeroporto con queste parole: “Se
succede qualcosa a me, non aver paura”.



Stiamo affrontando grandi
mostri.
Non è facile, ma
non è nemmeno impossibile. Abbiamo delle responsabilità storiche, e
tra queste c’è far sapere a tutti che siamo un popolo fiero, che
ha resistito in ogni modo”, raccontava Berta in un intervista a
L’Internazionale, circa 10 anni fa. La lotta del popolo honduregno,
in difesa delle comunità indigene e dell’ambiente, assicurano
coloro che le erano vicini di affetto o di ideali, continuerà, e
forse con ancora più vigore, proprio grazie alla fierezza
testimoniata dalla vita – e dalla morte – di questa coraggiosa
lottatrice del bene.





FONTE: Interris