General

Grecia, Alekos Panagulis 40 anni dopo

di David Marceddu, ilfattoquotidiano, 04 Maggio 2016.

Nel 1976 moriva in un
incidente stradale il patriota Alessandro Panagulis: aveva tentato di
uccidere il dittatore Papadopulos e conobbe la durezza del carcere
del regime dei Colonnelli. Per lui Oriana Fallaci, sua compagna,
scrisse “Un uomo”.


Ilfatto.it ha
intervistato il fratello Stathis, deputato che ha lasciato Syriza in
dissenso contro chi ha votato l’ennesimo pacchetto di sacrifici per
il popolo greco: “Se Alessandro fosse vivo non saremmo ridotti
così. E il dramma è che tutto succede con un governo che si dice di
sinistra”







Bastava che la bomba
fosse scoppiata un secondo prima e il dittatore
Papadopulos
sarebbe morto.
Alessandro
e tutti noi ne eravamo convinti: il
regime
dei colonnelli

sarebbe finito allora”. 

Non ha dubbi, né pentimenti Stathis
Panagulis
,
oggi deputato del parlamento greco eletto con
Syriza.
Da sei mesi, in dissenso dal premier 
Alexis
Tsipras
,
è
uscito
dalla maggioranza
:
“Un governo di sinistra, ma che con la sinistra non ha nulla a che
fare. Il cambiamento di politica da parte di Tsipras è stato
terribile”. 

Suo fratello Alessandro Panagulis è stato uno degli
eroi
moderni della Grecia

Per un soffio nel 1968 non fece saltare in aria l’auto del capo
della giunta militare e per questo passò sei anni
sepolto
vivo

in una cella, torturato e con una condanna a morte sulla testa.
Domenica, primo maggio, saranno 40 anni esatti dalla morte
di Alekos. Lo conoscono tutti così ad Atene e nel mondo.
Pochi anni dopo la sua liberazione e la fine della dittatura, nel
1976 uno

strano incidente

automobilistico lo uccise sul colpo. 

Secondo alcuni periti
italiani fu speronato da due auto. 

“Non si sa. Erano in tanti a
dire che
lo
avevano ammazzato
,
ma non abbiamo mai avuto le prove. Aveva iniziato a pubblicare su un
giornale i nomi di
collaboratori
della giunta

fino ad allora sconosciuti e aveva in mano pure altri documenti”,
ci spiega al telefono Panagulis con il suo ottimo italiano, imparato
in tanti anni di esilio. 

“Alekos era un uomo che il sistema non
voleva, per questo forse l’hanno fatto fuori”.



Nel 1979, tre anni dopo
la morte, 
Oriana
Fallaci

scriverà per lui, il “compagno della sua vita”, il suo più bel
romanzo,
Un
uomo
:
“Loro due erano molto vicini. Oriana per Alekos è stata una vera
amica. Lo ha aiutato molto quando espatriò in Italia dopo il
carcere. Quando poi, dopo la caduta della giunta, Alessandro tornò
in Grecia come deputato, lei veniva ad Atene e lui andava da lei a
Firenze”.



I Panagulis sono una
famiglia ateniese di tradizione militare e dai forti
ideali
democratici
.
Papà Basilio e mamma Athinà la passione politica la pagheranno
sulla loro pelle e su quella dei loro figli. Quando il 21 aprile 1967
i colonnelli instaurano una dittatura, il maggiore dei fratelli,
Giorgio, tenente dell’esercito, diserta e fugge. 

Impossibile per
lui servire un governo fascista. 

Arrestato dalla polizia in Israele e
imbarcato su una nave diretta al Pireo, sparisce misteriosamente. Non
se ne saprà più niente. 

Il secondogenito Alessandro, 28 anni,
diserta anche lui. Fugge a Cipro, poi a Roma. Anche Stathis,
ventiduenne, è a Roma e milita nel gruppo fondato dal fratello,
Resistenza
greca
.
Nell’estate del 1968 Alekos torna in patria e il 13 agosto fa
saltare in aria la strada dove abitualmente passa l’automobile del
dittatore Giorgio Papadopulos. 

“Alessandro ci aveva telefonato il
giorno prima dell’azione. Aveva chiesto a noi di dare, dall’estero,
notizia dell’attentato. E così facemmo, da Parigi. Ad Atene il
regime la tenne inizialmente nascosta”.



La bomba però scoppia un
secondo

dopo il passaggio del dittatore, che rimane illeso, e Alessandro
viene catturato. Torturato in maniera brutale, fino quasi a rimanere
ucciso, non parla agli aguzzini dell’Esa (una sorta di Gestapo
ellenica), non tradisce i compagni né svela i retroscena
dell’attentato. 

Nel novembre 1968, prima di essere condannato
a morte, Alekos pronuncia davanti alla corte, invece che una difesa,
un
atto
d’accusa

contro ogni
tirannia:
“Ho messo io gli esplosivi … E mi dolgo soltanto di non essere
riuscito a ucciderlo”. Alekos difende la violenza come arma,
estrema, di lotta alla dittatura: “Non amo la violenza. La odio.
Non mi piace nemmeno l’assassinio politico … quando avviene in un
paese dove esiste un libero parlamento e ai cittadini è data la
libertà di esprimersi, di opporsi”. 

Trattenuto a fatica dai
secondini, scaglia la sua apologia contro la giunta: “Ma quando un
governo si impone con la violenza … con la violenza impedisce ai
cittadini di esprimersi … e addirittura di pensare, allora
ricorrere alla violenza è una necessità”.



Pnagulis e Oriana Fallaci

Pochi giorni dopo, quando
è tutto pronto per la sua
fucilazione,
una mobilitazione internazionale riesce a fermare il plotone. È
Stathis, instancabile, a guidarla. 

La politica italiana si muove in
blocco:
Pci,
Psi,
Dc,
persino
Paolo
VI
.
“Tutti popoli del mondo, i paesi socialisti, quelli dell’Africa,
dell’Asia. 

Tutti mandarono telegrammi a Papadopoulos”, ricorda
Stathis. Nonostante Alessandro rifiuti di firmare la domanda di
grazia, l’esecuzione salta. 

Panagulis rimane in carcere per altri
cinque anni, tra sevizie e

tentativi di evasione

Furono così tanti i tentativi che per Alekos, pericolo numero uno
per il regime, al penitenziario militare di Boiati costruirono
una
prigione apposita
,
seminterrata. 

“Per tutto quel tempo non poté mai vedere il sole,
né i suoi avvocati o sua madre, che incontrò tre volte in cinque
anni”, ricorda suo fratello.
 

Le
poesie del prigioniero
,
intanto, uscite clandestinamente su bigliettini
scritti
col suo stesso sangue
,
cominciano a essere pubblicate in tutto il mondo.


Anche Stathis
continua la sua battaglia. 

“Dopo l’arresto di Alessandro tornai
clandestinamente in Grecia ben 13 volte. Resistenza Greca continuava
a stampare giornali, a informare gli studenti, a mettere qualche
bombetta qua e là per far vedere al mondo che la Grecia resisteva”. 

Ma nell’agosto 1972 anche il più giovane dei
Panagulis conosce la galera e le torture della tirannia: “Mi
arrestarono e rimasi in carcere fino alla caduta della giunta, nel
1974. Per un anno fui imprigionato nello stesso penitenziario di mio
fratello, ma non ci permisero mai di vederci”.



Dopo l’amnistia del
1973 Alekos esce dalla sua “tomba” di Boiati e rivede la luce del
sole. Poi l’incontro con la Fallaci in occasione di un’intervista
per l’Europeo e la nascita di un legame che durerà fino alla
morte. 

Assieme alla giornalista Alekos lascia il paese ancora sotto
dittatura e va a Roma. 

Lega con un altro che aveva conosciuto la
prigione fascista:
Sandro
Pertini
.
“Il Psi diede un ufficio in via del Corso a Resistenza Greca.
Ad Alekos piacevano
Pietro
Nenni
,
Francesco De Martino, Riccardo Lombardi. Era amico con Bettino Craxi
e Giacomo Mancini. Tutti ci avevano aiutato”.



Caduta la giunta, nel
1974 Alekos entra in parlamento e comincia il suo lavoro per
smascherare
i collaborazionisti

della dittatura che si erano poi riciclati nel nuovo regime
democratico. Fino a quel primo maggio 1976, quando poco
prima di una nuova pubblicazione di documenti scottanti, la sua auto
si schianta ad Atene. 

Un milione di persone, forse più,
accompagneranno la sua bara il giorno dei funerali. “Panagulis Zi”,
“Panagulis Vive”, gridava la folla. “Non so se con Alessandro
vivo la Grecia sarebbe ridotta così ora. E il dramma è che tutto
succede con un governo che si dice di sinistra”.