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Ferhadija, un messaggio di speranza


Rodolfo Toè, balcanicaucaso, 11 Maggio 2016.

Dopo oltre venti anni,
il 7 maggio scorso è stata riaperta ufficialmente la moschea di
Banja Luka, meglio nota come Ferhadija, distrutta dalle truppe
serbo-bosniache nel 1993.


Migliaia di persone sono
giunte a Banja Luka da tutta la Bosnia Erzegovina sabato 7 maggio per
assistere a un momento atteso da più di vent’anni: la riapertura
ufficiale della moschea di Ferhad-Pasha, nota ai più semplicemente
come Ferhadija, che le truppe serbo-bosniache fecero saltare in aria
nello stesso giorno del 1993.



Tra le seimila e le
ottomila persone (tra le quali moltissimi anziani), alcune fin dalla
sera precedente, si sono radunate nel parco antistante la rinnovata
moschea, secondo i dati forniti dal ministero dell’Interno della
Republika Srpska Dragan Lukač alla fine della cerimonia. 

In
prevalenza bosgnacchi-musulmani, ma non esclusivamente, visto che
l’evento è stato seguito anche da numerosi residenti.


Ferhadija interno (foto R. Toè)

L’atmosfera, sabato
mattina, era distante anni luce da quella del
7 maggio 2001
, quando il tentativo di dare inizio alla
ricostruzione dell’edificio (una delle sedici moschee distrutte nella
città durante la guerra, la quindicesima a essere rimessa in piedi
visto che a oggi l’unica a non essere stata riedificata è quella di
Arnaudija) era stato interrotto da violente proteste da parte dei
nazionalisti locali, che causarono un morto: a caratterizzare la
giornata, stavolta, non è stato alcun momento di tensione –
complice anche l’imponente apparato di sicurezza messo in piedi dalle
autorità dell’entità in vista dell’arrivo di molte personalità
pubbliche, tra le quali spiccava il primo ministro turco
dimissionario
Ahmet Davutoğlu
.

“La riapertura di
questa moschea è un messaggio di pace per tutti i popoli di Bosnia
Erzegovina e del resto del mondo”, ha detto Davutoğlu durante
la cerimonia, aggiungendo che “non ci sono molti posti dove
edifici religiosi di differenti confessioni si trovano così vicini”. 

Il suo intervento è stato di gran lunga il più acclamato da parte
dei musulmani presenti, il che palesa il ruolo di particolare
influenza, quanto meno sotto il profilo culturale, che la Turchia sta
pian piano ricavandosi nel Paese. 

“Sono venuto fin qui a
rappresentare 78 milioni di turchi… i quali saranno sempre al
fianco della Bosnia Erzegovina, nei tempi felici e in quelli duri”,
ha ribadito Davutoğlu.


La
ricostruzione


In effetti, la Turchia è
stata tra i principali contributori alla ricostruzione della moschea
di Ferhadija: la TIKA, l’agenzia di cooperazione di Ankara, ha
versato più di un milione di euro per sostenerne il costo totale,
che è stato di circa cinque milioni. 

Tra gli altri donatori figurano
in particolare il governo della Bosnia Erzegovina e quello della
Federazione, il governo di Republika Srpska e del Qatar. 

Tanti,
inoltre, sono stati i contributi da parte della comunità islamica
del Paese e di quelle degli altri stati europei dove si è
concentrata la diaspora bosniaca negli anni del conflitto.



La distruzione della
moschea di Ferhadija è rimasta impressa nella memoria collettiva
come uno degli attacchi più efferati compiuti contro il patrimonio
culturale della Bosnia Erzegovina durante il conflitto, un atto
paragonabile alla distruzione del ponte vecchio di Mostar e a quella
della biblioteca di Sarajevo. L’edificio, costruito nel 1579, era
considerato uno dei più importanti esempi dell’architettura ottomana
nella regione e faceva parte del patrimonio UNESCO. Della sua
distruzione, tra gli altri capi d’accusa, venne giudicato colpevole e
condannato a 32 anni di reclusione dal Tribunale Penale
Internazionale Radoslav Brdjanin, all’epoca dei fatti Presidente del
comitato di crisi della regione autonoma della Kraijna bosniaca
(comprendente Banja Luka).



La ricostruzione è stata
fatta rispettando “al millimetro” l’edificio originale,
come ha assicurato ai media bosniaci il capo del cantiere
responsabile dei lavori, Armin Džindo. 

Per quanto è stato
possibile, ha spiegato, l’edificio è stato realizzato utilizzando i
materiali originali, che è stato possibile recuperare dal letto del
fiume Vrbas o dalle discariche dove erano stati gettati dopo la
demolizione.


Un
“passo avanti” verso la riconciliazione?


Tutti i leader religiosi
e politici invitati all’inaugurazione della rinnovata Ferhadija (tra
i quali figurava anche il Presidente della Republika Srpska Milorad
Dodik, il quale però ha prudentemente deciso di non tenere un
discorso, accusando anzi Davutoğlu e la Turchia di promuovere una
politica estera “neo-ottomana” in Bosnia Erzegovina) hanno
voluto rimarcare come la giornata di sabato scorso rappresenti un
passo importante per la riconciliazione e il superamento delle
divisioni rimaste a vent’anni dalla fine della guerra.


Ferhadija  (foto R. Toè)

“La Bosnia
Erzegovina e la città di Banja Luka, con la giornata di oggi, hanno
fatto capire che lo sforzo di costruire una pace comune in seno
all’Europa ha un futuro. L’odio lasci il passo alla fiducia e alla
riconciliazione “, ha dichiarato il capo della comunità
islamica bosniaca, il Reis Husein Kavazović, cui hanno fatto eco gli
interventi del Presidente della Conferenza Episcopale Franjo
Komarica, del Presidente della Comunità Ebraica Jakob Finci e del
vescovo ortodosso di Banja Luka Jefrem Milutinović.

Parole simili, ma con una
connotazione politica più netta, sono giunte anche da Bakir
Izetbegović, il leader del principale partito bosgnacco del Paese
(SDA) e membro bosgnacco della Presidenza del Paese. 

“Questo
giorno servirà da lezione per coloro che hanno distrutto la moschea
di Ferhadija … il loro obiettivo era di distruggere secoli di
coesistenza e di tolleranza in Bosnia Erzegovina, uno scopo che non
hanno raggiunto e non raggiungeranno mai”, ha dichiarato
Izetbegović durante il proprio intervento, notando che “riaccettando
la moschea di Ferhadija, i cittadini di Banja Luka hanno fatto capire
di essere disposti ad accettare anche il ritorno dei loro vicini
bosgnacchi [cacciati dalla pulizia etnica degli anni novanta, ndr].”



Si tratta però di un
entusiasmo che lascia spazio anche a molte perplessità, come ha
sintetizzato Aleksandar Trifunović caporedattore di
Buka,
giornale che ha sede a Banja Luka: “Ero di fronte alle rovine
della moschea di Ferhadija [durante gli incidenti del 2001, ndr]…
mi piacerebbe, e spero che un tale odio sia sparito, che tutte queste
misure di sicurezza e tutti questi poliziotti fossero non necessari.
Ma dall’altra parte, mi dà fastidio constatare che quasi tutti
quelli che promuovono un clima di odio costante si siano trovati in
prima fila durante la cerimonia. La moschea di Ferhadija è tornata
al proprio posto e i cittadini di Banja Luka devono esserne felici.
Questa giornata non è una festa e un trionfo della politica, perché
la politica non ha niente a che vedere con questo importante
avvenimento. Questa è la festa di tutte quelle persone per bene che
hanno ancora la forza di credere in un futuro migliore per tutta la
nostra gente… ce ne sono poche, sempre meno, ma dobbiamo mantenere
la fiducia che avvenimenti di questo tipo contribuiscano ad
accrescere il numero di persone che scelgono di stare dalla parte
dell’amore e del rispetto”, ha scritto Trifunović.