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Amore e “rock-chaabi” nel nuovo album dei Temenik Electric

di Anna Toro, 20 Maggio 2016.

Si
chiama “Inch’Allah Baby” il secondo lavoro dei Temenic Electric, band
dalle origini algerine e marsigliesi, che mischia i suoni del deserto
con un pop rock futurista occidentale. 

Abbiamo intervistato il leader
della band Mehdi Haddjeri.




Il disco è uscito il 20 novembre, appena una settimana dopo gli
attentati terroristici di Parigi. Con il cosiddetto “mondo arabo” nel
mirino dei media e la Francia blindata, per i Temenik non è stato facile
tener fede alla tabella di marcia.


Ma non si sono arresi, in quanto musicisti innanzitutto (ricordiamo
che uno degli attacchi più sanguinosi è avvenuto proprio durante un
concerto rock, presso la sala del Bataclan), e in quanto da sempre
portatori di un messaggio di unità e condivisione:


“Pochi giorni dopo gli attentati eravamo già nella capitale
per una session promozionale –
racconta a Osservatorio Iraq il leader e
vocalist della band, Mehdi Haddjeri –. In questo particolare clima,
tutti i nostri interlocutori, dai media, ai professionisti, ai fan, ci
hanno incoraggiato a difendere il nostro progetto, che ora ha acquistato
ancora più senso. Sul palco, il nostro slogan è diventato: ci
incontriamo, ci riuniamo e resistiamo”
.



Nessun passo indietro neppure nella scelta del titolo: “C’era già
Achtung Baby, c’era Hasta la Vista Baby… Ci siamo detti che l’anello
mancante al giorno d’oggi non poteva che essere Inch’Allah Baby! Battute
a parte, si tratta di un titolo che riassume la doppia influenza del
gruppo e la vocazione internazionale della nostra musica”.



Già balzati all’attenzione europea con il primo album – intitolato Ouesh Hada?Inch’Allah Baby
è un ulteriore tassello verso il loro sogno di “arrivare al più vasto
pubblico possibile”. Questo nonostante i testi di nove tracce su dieci
siano in arabo, e la scelta è voluta.


“Semplicemente, l’arabo si sposa molto bene con il rock. Come
l’inglese, è una lingua che non bisogna necessariamente capire, ma che
ha una bella musicalità”
spiega Mehdi, che non ha mai nascosto di essere
cresciuto con la passione per musicisti come gli U2, Dylan e Harper.



Mentre la riscoperta delle sue origini algerine è avvenuta piuttosto tardi, grazie ad un viaggio a Beni-Abbes nel 2010.

Il contatto con la terra dei suoi genitori è stata come una seconda
folgorazione, che ha infine portato a quella fusione di rock elettronico
e percussioni ancestrali, quel mix tra Chaabi (la musica popolare
nordafricana) e pop moderno, che è un po’ il marchio di fabbrica della
band.


E quindi capita che le darbouke facciano da sfondo alle chitarre
distorte, che cori e ipnotici assoli di ney (il flauto arabo) si fondano
con il suono del sintetizzatore, in un’armonia tra antico e moderno che
in questo secondo lavoro si fa più matura.



Niente di strano che dietro ci sia lo zampino di Tim Oliver e
di Justin Adams, quest’ultimo chitarrista e collaboratore di Robert
Plant, con il pallino per la musica del Nord Africa, che ha portato
all’attenzione internazionale gruppi come i pluripremiati Tinariwen e il loro folk-blues dall’anima berbera.


Il mixaggio dell’album, avvenuto in Inghilterra nel prestigioso
studio Real World di Peter Gabriel, ha contribuito a “rendere il suono
più efficace e coerente”, senza alterarne il cuore pulsante.
Il risultato è un disco in cui i riff del rock e la trance
elettronica collidono nella musica popolare araba del Maghreb che, “tra
emozioni e incanti, richiama l’urgenza di un invito alla danza”. 

Nonostante i tempi cupi, una doppia radice che per loro continua ad
essere un arricchimento e mai un fardello.



“Inch’Allah Baby parla solo d’amore, ma oggi è il contesto che trasforma la nostra musica in una causa” spiegano.

Come nel video del loro primo singolo – intitolato “Denia, denia” –
in cui i simboli e i doppi riferimenti alla cultura occidentale e
orientale si rincorrono e ammiccano dallo schermo: da “Fast and Fissa” a
“Stairway to Hammam” fino a “Moudjahidine Circus”, sono solo alcuni
degli insoliti accostamenti presenti nel clip. 

Una critica ad entrambe
le società?



“Al contrario, è la prova di un linguaggio comune – si affretta a
chiarire Mehdi
– Denia significa Il Mondo, e nel video la combinazione
di quelle parole crea la speranza di un moderno Esperanto, così come di
un collegamento tra il Nord e il Sud. Riflettono il mondo in cui
viviamo: la sua oppressione, le sue contraddizioni, la sua complessità”.



Caratteristiche che gli immigrati di seconda, terza generazione in
Francia e in Europa – come Mehdi e la sua band – conoscono bene.


Sanno che molti giovani oggi vivono in un clima di risentimento verso
un paese che finge di integrarli, tra scelte geopolitiche discutibili e
confini che si chiudono; sperimentano in prima persona che ad ogni
tragedia la sfiducia reciproca tra cittadini di una stessa nazione ma di
origini diverse si allarga, così come i venti di razzismo, nelle
istituzioni, in rete e tra la gente.



“Effettivamente c’è una recrudescenza di questo odio
efferato, specie con l’arrivo dei migranti in Europa, quell’Europa che
in materia di accoglienza e integrazione riproduce gli stessi errori del
passato”
commenta ancora Mehdi, che però non si dà per vinto: “Oggi più
che mai, la cultura, l’istruzione e la trasmissione dei valori
diventano ancora più essenziali per aumentare la consapevolezza e per
vivere insieme”.


Banco di prova è proprio la sua Marsiglia: “La città ha un posto
speciale in Francia e in Europa. Attraverso la sua storia di migrazione è
diventata un punto di congiunzione, una sorta di città-laboratorio
dell’incontro tra Oriente e Occidente. Qui, quando si parla di identità,
è spesso una nozione al plurale”.



Così, in questo quadro a tinte chiaro-scure, la musica può fungere da
antidoto, per Mehdi, così come per i suoi compagni Djamel Taouacht
(batteria), Hassan Tighidet (chitarre), Jérôme Bernaudon (basso) e
Mathieu Hours (samples). 

Ogni componente dei Temenik Electric ci mette
del suo.



“Siamo nati dalla musica popolare araba e siamo cresciuti
come adolescenti con il rock e il pop britannico. Tanto nella musica
rock che in quella del Maghreb, ritroviamo questa sensazione di urgenza e
la dimensione popolare che rivendichiamo nei Temenik Electric”
spiegano.“Vorremmo che il nostro nuovo disco toccasse un pubblico che di suo
non s’interesserebbe ad un disco di rock arabo. Inch’Allah Baby è un
album che s’iscrive nel genere pop internazionale (nel senso migliore
del termine), e vorremmo fosse in grado di andare in radio così come sul
palco e dappertutto. Inch’Allah, baby”.


Album: Inch’Allah Baby
Artista: Temenik Electric  (temenikelectric.com)
Label:  BLUE LINE / PIAS Digital