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Perché sottovalutiamo le notizie positive

di Annamaria Testa, Internazionale,
19 Aprile 2016.



Noi leggiamo le notizie per farci
un’idea del mondo. 

È noto e ovvio che quest’idea del mondo,
però, è mediata dallo sguardo, dalle opinioni, dalle conoscenze e
perfino dallo stile di chi scopre, sceglie, interpreta e confeziona
le notizie. 

Si tratta per forza di cose di un’idea parziale: non
corrisponde certo all’intero universo dei fatti che succedono, così
come succedono.



Se sentiamo il bisogno di renderla
meno parziale, ci diamo da fare e mettiamo a confronto diversi
sguardi e opinioni, consultando fonti differenti. Se siamo molto
scrupolosi, verifichiamo anche l’affidabilità e l’autorevolezza
delle fonti. E cerchiamo di non farci intrappolare dai pregiudizi.




Ci sono, però, alcuni elementi un po’
meno noti che, nonostante le nostre buone intenzioni, complicano il
processo di farci un’idea del mondo sensata, equilibrata e utile. 

Tutti noi da una parte tendiamo a sovrastimare l’importanza e il
peso di ciò che ricordiamo più facilmente, nella misura in cui ne
leggiamo o sentiamo parlare spesso, o con toni accesi e urgenti.



Dall’altra, tendiamo a cercare fonti
che confermano le nostre sensazioni e opinioni pregresse, e a
fidarcene di più. Dall’altra ancora, se siamo esposti a due fatti
di rilievo paragonabile, uno positivo e uno negativo, restiamo più
colpiti dal fatto negativo.




Il cortocircuito delle
convinzioni


Siamo portati a compiere, insomma,
degli errori di
giudizio
, i cui meccanismi sono stati ampiamente indagati. Questi
errori di giudizio sono frutto di euristiche e bias cognitivi
,
cioè di modi o sbrigativi o distorti di interpretare le informazioni
di cui disponiamo.



Nello specifico, è il bias
di conferma
(confirmation
bias)
che ci porta a
privilegiare informazioni che concordano con le nostre attese. È
l’euristica della disponibilità
(availability
heuristic
)
a farci sovrastimare la probabilità che si verifichino fatti le cui
coordinate sono vividamente impresse nella nostra memoria.



Ma le buone notizie sono davvero
poche, o invece ci sembrano sempre poche?



È, infine, il bias della negatività
(negativity
bias
)
a far sì che gli
elementi negativi catturino la nostra attenzione in modo più
prepotente: questo, tra l’altro, vuol anche dire che li ricorderemo
di più, e più a lungo, cortocircuitando negatività, disponibilità,
conferme.
 
Ed eccoci al punto.

Il punto è, letteralmente, il punto
di Paolo Pagliaro che, qualche giorno fa, all’interno della
trasmissione
Otto e mezzo
ha mandato in onda un breve servizio televisivo con cinque buone
notizie, trasmesse con l’esplicita intenzione di “mettere da
parte l’acredine e l’insoddisfazione per quel che ci manca,
allietandoci per ciò che abbiamo”. 

Qui potete
leggere il testo
.




Ma le buone notizie sono davvero
poche, o invece
ci sembrano
sempre poche?



Vorrei scriverlo tutto in maiuscolo,
ma temo che il rigoroso manuale di stile di Internazionale possa
impedirmelo. 

Be’, fate conto che sia scritto in maiuscolo: questo
non è un articolo buonista o filogovernativo.




In realtà, le notizie positive ci
sarebbero. 

Ma è come se, nella percezione collettiva, fosse valido
non solo il noto detto “nessuna nuova, buona nuova”, ma anche il
suo contrario, “buona nuova, nessuna nuova”. 

Dovremmo però
tutti, e anche i mezzi d’informazione, ricordare che non è così,
provando a contrastare il bias della negatività. Ehi, è un bias!
Una fallacia. Un errore di giudizio.




Sarebbe giusto e utile trovare un po’
più spesso sui mezzi d’informazione notizie buone, non solo per
sentirci meno insoddisfatti, ma anche per farci un’idea più
equilibrata del mondo, rompendo il cortocircuito: attenzione alle
cattive notizie/ricordo esclusivo di cattive notizie/previsione di
ulteriori cattive notizie/attenzione alle cattive notizie…




Ho in mente due esempi di notizie
positive e invisibili. 

Uno è recente: il sindaco di Riace, per la
sua capacità di integrare i migranti, è stato inserito da Fortune
nella lista delle personalità che stanno cambiando il pianeta. 

In
Italia la sua attività è passata per anni sotto
totale silenzio
: a Riace arrivano Wim Wenders, Bbc e Fortune,
prima che la Rai. Ma perché?



L’altro caso risale a qualche tempo
fa e riguarda due fatti inediti in Italia. Vi ricordate la terribile,
spaventosa, strage al tribunale di Milano, quando un uomo superò i
metal detector armato di pistola e sparò uccidendo tre persone, tra
cui il suo giudice? Immagino di sì.




Steven Pinker ci ricorda che stiamo
vivendo nell’era più pacifica dell’evoluzione umana, ma non ce
ne accorgiamo.


Vi ricordate che nel medesimo giorno
fu data la notizia del primo
trapianto di rene da donatore vivente
samaritano (cioè senza
nessun legame con il ricevente)? 

E, soprattutto, vi ricordate che
questa prima donazione samaritana ha salvato sei vite, innescando,
attraverso un meccanismo di scambi incrociati, altre cinque
donazioni?



In sostanza, come in un domino
chirurgico, i parenti disposti a donare un rene, ma incompatibili con
il loro congiunto, mettono il loro organo a disposizione di altri, i
cui congiunti fanno altrettanto. 

Tutto questo succede in una manciata
di ore e coinvolge quattro diversi ospedali, in due diverse regioni,
da Pavia a Siena, a Milano, di nuovo a Siena, Pisa e Milano, in una
corsa contro il tempo e il destino.




È una storia che integra scienza,
tecnologia, medicina, pathos, generosità, umanità, speranza,
futuro. Immagino che non ve ne ricordiate: se oggi digito “strage
tribunale Milano” trovo quasi 500mila risultati. 

Se digito
“trapianto rene samaritana” ne trovo meno di cinquemila.




Nel 2011 Steven Pinker pubblica The
better angels of our nature,

tradotto in italiano con il titolo
Il
declino della violenza

La tesi, sostenuta da un’enorme quantità di dati, è che stiamo
vivendo nell’era più pacifica di tutta l’evoluzione umana,
grazie al consolidarsi dei commerci e dei governi. 

Ma non ce ne
accorgiamo. 

Presentando il libro, Pinker ha scritto sul Wall
Street Journal
proprio questo: “Tendiamo a stimare la
probabilità di un evento secondo la facilità con cui possiamo
ricordarne degliesempi – ed è molto più probabile che siano
trasmesse in tv e incise nella nostra memoria scene di massacro
invece di riprese di persone che muoino di vecchiaia. Ci saranno
sempre scene di violenza sufficienti per riempire il notiziario della
sera e così le percezioni degli orrori continueranno a essere
sconnesse dalla loro reale probabilità”.


Vogliamo
cominciare a parlare di tutto questo? 

Non so se per voi è una buona
notizia, ma prometto che tornerò sull’argomento a breve.