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Notte in piedi, o il risveglio francese

di Fabrizio Bajec, leparoleelecose, 7 Aprile 2016

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Ore tredici e
quarantacinque, Parigi, giovedì 31 marzo. 

A Place d’Italie una
folla aspetta sotto una pioggia dura e persistente il segnale di
partenza per la quarta manifestazione nazionale contro il progetto
di
riforma del codice del lavoro annunciato dal governo a
inizio mese.
Sotto gli ombrelli centinaia di studenti, lavoratori
e sindacalisti raggruppati secondo la loro scuola o organizzazione di
appartenenza. 

I camion dei sindacati con i loro palloni aerostatici
variopinti diffondono musica a tutto volume.
Il maltempo è certo
un inconveniente per tutti coloro che avevano scommesso su
un’affluenza superiore al numero di manifestanti scesi in strada
per lo stesso motivo il 9 marzo. Ma già qualcuno fatica a trovare
spazio per uscire dalla stazione della metro. 

E i partecipanti
saranno il doppio del previsto.
Il corteo si mette in moto un’ora
più tardi.

La pioggia continua a scrosciare, gelida,
infiltrandosi nelle maniche delle giacche e nelle scarpe, senza
scoraggiare le diverse migliaia di persone che avanzano verso Place
de la Nation. Ai lati delle strade, i partiti di estrema sinistra
distribuiscono giornali, volantini e adesivi presto ridotti in
poltiglia dall’acqua.

Arrivato a destinazione, dopo due ore di
marcia, il corteo rompe le righe e non rimane che un furgone con
alcuni dee-jay decisi a trattenere i più giovani con la musica
elettronica.

Alle 18 dello stesso giorno,
dall’altro lato della città, verso Place de la République – da
un anno una specie di santuario alle vittime degli attentati
terroristici – iniziano a confluire i curiosi, ma stavolta lontano
dalla statua centrale, sotto un telone verde, montato per
l’occasione, straziato dal vento.
Lì dei moderatori si
rivolgono a una trentina di cittadini. 

Una libera espressione di
parola, a cui si reagisce con altrettanta libertà: assentendo,
dissentendo, votando, bloccando la discussione.
Sembra un gioco
per intrattenere il pubblico, nell’attesa di una proiezione
cinematografica prevista a seguire, in piazza; il gioco della
democrazia. Molti si prestano, sfogano le loro delusioni politiche e
dicono quello che cambierebbero, se ne avessero il potere. 

Strane
idee si mettono a circolare
:
come vivere a Parigi con pochi soldi e senza lavoro, l’invenzione
di una moneta interna, la proposta di porre fine al sistema elettivo;
come rovesciare il governo, come ridurre le disuguaglianze, come
lottare contro il razzismo, accogliere i migranti, liberarsi del
capitalismo.
Altri giovani montano tendoni: una zona per mangiare,
un’infermeria; uno spazio per passare la notte ottenuto con una o
due tende e alcune casse di legno.
Il furgone di prima fa la sua
comparsa teatrale spuntando da una via, con le bandiere sindacali e
la musica al massimo. 

La folla radunata applaude l’incursione
imprevista. 

Il veicolo sosta sulla piazza e diventa un palco per i
gruppi musicali che si daranno il cambio per tutta la serata.
Nel
frattempo, una fanfara gira in tondo suonando il tema del film
documentario più acclamato del momento,
Merci
patron
! di François
Ruffin
, un’opera alla
Michael Moore, in cui l’autore-giornalista riesce con una grande
beffa a risarcire una coppia di operai disoccupati da anni a seguito
di un licenziamento massiccio in una delle fabbriche possedute da un
magnate dell’industria. 

All’uscita del film, a inizio marzo, una
riunione aveva avuto luogo; c’è chi aveva pensato di usare la
pellicola come uno strumento politico. 

http://parisdiarybylaure.com/wp-content/uploads/2016/02/Affiche_merci-patron_lardonsA4.jpg
Locandina Merci Patron!

«Cosa accadrebbe, per
esempio, se il 31 decidessimo di non tornare a casa, dopo la
manifestazione, e occupassimo una piazza per proiettare il film e
passare lì la notte?»

Ma nessuno poteva immaginare, un mese
prima, che quella piazza si sarebbe riempita così tanto, e non
grazie all’evento cinematografico
en
plein air
, bensì per quegli
esercizi di democrazia virale che avrebbero attratto i passanti e
spinto i più audaci a prendere la parola davanti a un megafono.

Un intellettuale, l’economista
e filosofo Frédéric Lordon
,
viene quasi spinto sul palco per prendere la parola. 

Dopo qualche
convenevole inizia un breve ma memorabile discorso nel quale
ringrazia il governo che andando così in là con l’offensiva
antisociale ci ha permesso di svegliarci e organizzare la catastrofe
(‘rovesciamento’, secondo l’etimologia greca).
Potrebbe
sembrare l’ennesima omelia populista, ma le parole fendono l’aria
e rispondono alle aspettative delle persone radunate nella piazza. 

Si
tratta di ricostruire tutto. 

Senza attendere troppo, la piccola
assemblea generale si allarga, si compongono altre assemblee minori,
poi dei comitati. 

La gente si siede per terra, sul bagnato, sui
cartoni o sui teloni di fortuna. 

La faccenda si fa più seria. 
Cominciano ad arrivare discretamente i giornalisti. 
«Cosa sta
succedendo?». 

In un clima benevole e tollerante le risposte sono
laconiche : «Vediamo come procede, come va a finire. E’ possibile
che stia accadendo qualcosa».

Nel frattempo la proiezione di
Merci Patron
ha effettivamente luogo, su un telo pericolante, a causa del forte
vento.
Viene distribuito un giornale satirico, parodia di un
giornalino gratuito distribuito nelle stazione della metro. Si arriva
così alla scelta del nome dell’evento:
Nuit
debout
– una notte
trascorsa in piedi, in piedi a pensare, non a riposarsi; il segno di
un risveglio.
Si distribuiscono volantini coi nomi di avvocati da
contattare in caso di arresto, programmi da scaricare per non essere
rintracciati sul web. 

Una cinquantina di persone rimangono
effettivamente a dormire, le altre centinaia si dileguano. La
polizia sgombrerà civilmente gli ultimi rimasti alle 5 del
mattino.
Tutto dovrà essere smontato.

Il giorno seguente, ribattezzato il 32
marzo
, i giovani organizzatori (studenti, sindacalisti, attori)
rimontano i teloni e i banchi. 

Nel pomeriggio ha inizio la prima
assemblea. 

Gli orari rimarranno sempre quelli: ore 15 per le riunioni
dei comitati (logistica, comunicazione, ristorazione, economia,
azione), ore 18 per l’assemblea generale.
Con i soldi racimolati
la sera prima ci si procura microfoni, casse, quaderni, penne;
compare un bar improvvisato; si parla di rimontare gli accampamenti,
di portare qualche pianta. 

La folla si riforma una seconda volta. 
Gente di ogni orizzonte, di diversa origine etnica; la media è
sempre sulla trentina, ma arrivano anche dei pensionati e degli
adolescenti, per finire con gli studenti delle università in
lotta. 

Nel bel mezzo dell’assemblea, uno spagnolo prende la
parola e ricorda come si organizzavano e si rispettavano gli
interventi altrui in Spagna; ha fatto parte degli
Indignados
e indica ai suoi coetanei francesi alcune regole per la
gestione dei dibattiti.

Su alcune testate nazionali sono usciti
nel frattempo i primi articoli che parlano dell’evento come di una
specie di 
Occupy francese. 
Un tentativo del genere fallì qualche anno prima, nel quartiere
finanziario: un centinaio di persone furono allontanate dalla polizia
in pieno giorno. Ora la musica cambia. 

I permessi in comune sono
stati accettati; la gente radunata formula proposte, sembra volersi
sfogare dopo la paura degli attentati, i controlli, e  dopo una
lunga e forse obbligata distanza dalla politica.
Nulla di concreto
ancora. I giornalisti tornano a chiedere legittimamente : «Chi
siete? Cosa volete? Perché vi fermate in questo luogo?»

Eppure
la presenza di migliaia di persone che continua a sfidare il maltempo
è una vittoria in sé. Non ha bisogno di giustificarsi.

Anche la seconda notte i più
irriducibili saranno cacciati all’alba dalle forze dell’ordine. 

La polizia interviene sempre tardi; la piazza è accerchiata in modo
strategico ma discreto.
Il terzo giorno, 33 marzo, è
caratterizzato dai dibattiti – e da qualche scontro : il movimento
è accusato di essere borghese e prevalentemente bianco. Arriva
anche un gruppo di estrema destra a fine serata, deciso a mandare
tutto all’aria. 

Ma la polizia neutralizzerà facilmente gli ospiti
indesiderati.

I networks impazziscono: ottantamila
osservatori spiano poche migliaia di partecipanti. Nella piazza
le proposte restano astratte.

http://ep01.epimg.net/politica/imagenes/2011/06/19/actualidad/1308505423_439426_1308506167_noticia_normal.jpg

Cosa
c’è di politico, eccetto la forma delle concertazioni?
 
Giustizia
sociale, uguaglianza, ritiro della famosa riforma, mobilitazione dei
colleghi negli uffici; portare lì altra gente, diversificare le
competenze. 

Occupare la zona e farne una fattoria a cielo aperto.
Insomma resistere.
Le assemblee si moltiplicano in piccoli gruppi
che daranno conto delle decisioni votate. 

Ne derivano degli eventi in
città, azioni mirate per sensibilizzare la popolazione. Ridipingere
le banche, attaccare la pubblicità. 

C’è chi appunta sui quaderni
le lamentele dei viaggiatori dei trasporti pubblici.

In un altro
quartiere, una delegazione della piazza interviene per interrompere
un colloquio sulla democrazia tra un famoso giornalista,
Edwy
Plénel
, e il sindaco della
capitale,
Anne Hidalgo.  
«Voi non sapete cos’è la democrazia! Venite a vedere a Place de la
République! Ma perché lasciate che la polizia ci faccia evacuare,
quando abbiamo ottenuto un permesso di 4 giorni?»

Il sindaco
parlerà di «privatizzazione di una piazza».

L’informazione –
ma non i telegiornali nazionali, tranne qualche eccezione – torna
alla carica con le telecamere. Alcuni giornalisti vengono respinti o
fatti pazientare; i media non sono una priorità per
Nuit
debout
. Si parla di
ribellione, di disobbedienza civile, di una nuova primavera francese,
nel contesto di una ondata di occupazione dei licei e università in
ogni regione, accompagnate da dure repressioni poliziesche.
Ma è
la replica in altre città di movimenti simili, con lo stesso nome, a
preoccupare il governo. Questi raduni pacifici non vengono infatti
minimamente commentati dall’Eliseo. 

Nessuno di Nuit
debout
è invitato ad
intervenire in uno studio televisivo – perché non si riesce a
trovare un leader o un rappresentante degno di questo nome, oppure
perché nessuno si azzarda a prendersene la responsabilità. I
filosofi tacciono. 

I partecipanti stessi non sembrano avere
intenzione di gettare le basi di un programma o di dare una direzione
precisa ai dibattiti.

Il quarto giorno, il trentaquattresimo
del mese di marzo
, nel primo pomeriggio piovono le prime
dichiarazioni pubbliche davanti a una folla di circa duemila persone
sedute a gambe incrociate.
Ora i microfoni sono di ottima qualità,
l’amplificazione ineccepibile, un nuovo podio – e sotto, una
donna traduce per i sordo-muti. 

Le donazioni sono state
abbondanti da parte di chi non poteva recarsi fisicamente sul posto.
Arrivano i resoconti delle varie commissioni: cultura,
comunicazione, azione, logistica. 

C’è anche spazio per i
laboratori (sociologia, scrittura, difesa personale in caso di
attacchi della polizia).
Si tratta di far cadere la riforma di
legge sul lavoro, naturalmente, suscitando uno sciopero
generale; aggregare sulla piazza lavoratori di diversi ambiti
(agricoltori, tassisti, personale dei treni). 

Ma anche di andare
oltre, rompere con l’economia capitalista, riscrivendo la
costituzione di una Repubblica davvero sociale

Gli applausi
scrosciano dopo ogni presa di parola dei rappresentanti di
comissione. 

« Il sindaco è un cittadino comune un altro. Nessuno
deve darci il permesso di riunirci da qualche parte »