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L’emigrazione che cambia il volto delle città.

di Elena Paparelli, vociglobali , 07 Aprile 2016

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Dopo l’accordo stretto il 18 marzo a
Bruxelles dai leader dei

28 Stati dell’Ue
e dal
primo ministro turco
Ahmet
Davutoğlu
– e
fortemente caldeggiato dalla Germania – per molti migranti
“illegali” è iniziato l’incubo.

Nel testo
dell’accordo
 è scritto:
“tutti
i nuovi migranti irregolari che hanno compiuto la traversata dalla
Turchia alle isole greche
a
decorrere dal
20
marzo 2016
saranno
rimpatriati in Turchia

mentre “
per ogni siriano
rimpatriato in Turchia dalle isole greche un altro siriano sarà
reinsediato dalla Turchia all’UE tenendo conto dei criteri di
vulnerabilità delle Nazioni Unite
“.

Come tutto questo verrà materialmente
gestito e come si garantirà il rispetto dei diritti umani dei
profughi, è ancora da vedere.

Rotta chiusa, questo è un vero e
proprio “
muro
anti-migranti
“, in
cambio del ricollocamento dalla Turchia in Europa. Cifra prevista
:
72mila siriani

Davvero
pochi, rispetto all’entità complessiva dei flussi nell’ultimo
anno.
Si tratta dell’ultima, estrema mossa di un’Europa da
sempre incapace di gestire l’”emergenza migrazione”, mentre un
efficace sistema dei ricollocamenti dei richiedenti asilo ha
continuato a zoppicare.

Ci si interroga naturalmente sul
destino dell’area di
libera circolazione di Schengen
,
ma intanto l’organizzazione umanitaria Medici
senza frontiere
ha ritenuto più dignitoso sospendere le proprie
attività nell’hotspot di Moria (isola greca di Lesbo) perché –
come dichiarato
dal capo progetto dell’ONG sull’isola,
Michele
Telaro
“continuare
a lavorare nel Centro ci renderebbe complici di un sistema che
consideriamo sia iniquo che disumano”. […]




Medici senza frontiere  aveva già
denunciato
a inizio d’anno
“il
catastrofico fallimento dell’Unione Europea nel rispondere ai
bisogni umanitari di rifugiati, richiedenti asilo e migranti nel
2015″
, sollecitando le
autorità competenti a muoversi in una precisa direzione attraverso
la costituzione di canali legali e sicuri per i richiedenti asilo
(anche tramite la possibilità di chiedere asilo alle frontiere di
terra e il ricorso facilitato a misure di riunificazioni familiari,
visti umanitari e ricollocamenti); percorsi di migrazione legali per
ridurre viaggi pericolosi e reti di trafficanti; un meccanismo
ambizioso di ricerca e soccorso in mare, da effettuare vicino alle
coste di partenza e con luoghi di sbarco predefiniti che garantiscano
condizioni umane e assistenza medica; investimenti nell’accoglienza
invece che nella deterrenza; schemi di ricollocamento più ambiziosi;
l’eliminazione di violenze e abusi da parte delle autorità.

Dopo l’accordo “di convenienza”
UE-Turchia cresce però lo scetticismo su una gestione lungimirante e
inclusiva del fenomeno migratorio, che costituirà un nodo critico
non soltanto in questo 2016, ma negli anni a venire: secondo
l’Organizzazione
internazionale per le migrazioni
tale
fenomeno
non
si fermerà prima del 2050.

In questo scenario di fondo
 un’approfondita riflessione viene suggerita dall’ultimo
World
Migration Report 2015

a cura dell’
International
Organization for Migration

(IOM) che ha per tema
“Migranti
e città: nuove partnership per gestire la mobilità”
.

In che modo migrazioni e
migranti stanno trasformando le città?
Come
incide la vita dei migranti su organizzazioni e regole di un nucleo
urbano?

Mentre la maggior parte
dell’attuale dibattito internazionale sui trends e le politiche
migratorie è a livello nazionale

– ha specificato June Lee, che si è occupata della redazione
dell’indagine –
il
rapporto sposta il riferimento del dibattito sulla migrazione verso
la città
”.
Il primo dato da tenere in
considerazione: la mobilità, soprattutto urbana, è in crescita ma
sono soltanto 20 le grandi
città su cui si concentra circa 1 su 5 dei migranti nel mondo.

E, contrariamente a quanto si potrebbe pensare,
molti
dei flussi migratori riguardano anche le città del Sud globale
.
Se questo è, una governance urbana
inclusiva va chiesta per tutte le città del mondo, e non soltanto
per quelle europee, in uno scenario in cui dagli attuali 3,9 miliardi
di popolazione urbana si arriverà a circa

6,4 miliardi entro il 2050.

Secondo il World Migration Report,
sono
232 milioni i
migranti nel mondo,
con
un
incremento del 41%
dall’inizio del secolo

Fra le mete in testa alla classifica l’Europa (dove risiedono 76
milioni di migranti)
,
l’Asia
(75 milioni) e
l’
America del Nord
(54 milioni).

I migranti più giovani sono
gli africani
(28 e 29
anni l’età media) in un quadro in cui l’età media si attesta
invece sui 39 anni.

Ma va registrato anche che il numero
più alto riguarda i migranti interni: 740 milioni.

Come ha sottolineato Gian
Carlo Blangiardo
sul Sole
24 Ore del 14 marzo scorso, “
osservando
la dinamica degli ultimi 15 anni si nota come il popolo dei migranti
si sia accresciuto di ben 71 milioni di unità

(sviluppandosi ad un tasso medio annuo del 2,3%, ndr)”. Il dato più
interessante, e che dovrebbe farci aprire gli occhi rispetto alle
politiche “emergenziali” che riguardano il fenomeno migratorio, è
il fatto che la causa della mobilità, come sottolinea Blangiardo
non è dovuta solo a eventi
eccezionali ma anche e soprattutto dal persistere di profonde
diseguaglianze di cui le stesse vittime sono sempre più consapevoli
e sempre più propense a mettersi in gioco per uscirne”
.

Circa il 50%
dei migranti internazionali risiede in dieci tra le aree più
industrializzate e ad alto reddito

del mondo: Australia, Canada e Stati Uniti in testa. Per quanto
riguarda l’Europa: Francia, Germania, Spagna e Regno Unito. 

Un’alta
percentuale di migranti internazionali sono poi in Russia, Arabia
Saudita e Emirati Arabi. Concentrati nelle gradi città di questi
Paesi.

La provenienza di due terzi dei
migranti del mondo è data da Paesi “a medio reddito”, e soltanto
il 10% dei migranti proverrebbe da Paesi “a basso reddito”
(specie quelli nell’Africa sub-sahariana). Ma il numero di chi
emigra da condizioni insostenibili è destinato ad arrivare 842
milioni fra dieci anni soltanto.

Valutando la componente anagrafica del
Vecchio Continente con quella dei Paesi “a basso reddito” e in
assoluto più giovani del pianeta, è facile prevedere un mutamento
profondo nel volto delle città di domani fra appena un decennio.

E non c’è muro che potrà arrestare
il naturale cambiamento delle cose.