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Le molte facce dei jihadisti europei.

di Farhad Khosrokhavar, lemonde,
07 Aprile 2016

(Traduzione di Federico Ferrone)


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Il jihadismo in Europa sembra
costantemente in vantaggio rispetto ai servizi di sicurezza che
continuano a operare al livello nazionale, nonostante un’accresciuta
cooperazione. Paradossalmente il terrorismo unifica l’Europa
rafforzando il sentimento di un’identità comune tra cittadini, che
vivono gli attentati di Parigi e di Bruxelles come se fossero
avvenuti nel loro paese. 

Era già parzialmente vero dopo gli
attentati in Spagna nel 2004 e nel Regno Unito nel 2005. Da allora il
panorama del terrorismo europeo ha vissuto molti cambiamenti, dei
quali dobbiamo tenere conto se vogliamo combatterlo in modo più
efficace.




Bisogna notare innanzitutto
l’esistenza di “sottospazi” terroristici che si sono formati
indipendentemente dalle frontiere nazionali, ma che restano
circoscritti ad alcuni paesi o zone specifiche. Il primo sottospazio
è quello franco-belga. 

I terroristi belgi che hanno preparato gli
attentati del 13 novembre 2015 a Parigi sono stati spinti anche da un
sentimento antifrancese che risale alla storia dei paesi d’origine
delle loro famiglie, cioè ex colonie francesi quali il Marocco e
l’Algeria.



La seconda caratteristica dei
jihadisti dopo il 2013 è il loro rapido aumento: circa cinquemila
giovani sono partiti in Siria per unirsi principalmente al gruppo
Stato islamico (Is), lo “stato” che ambisce a ricreare il
califfato in Siria e Iraq. 

Sarebbero tra i 1.200 e i 1.500, e forse
più, ad aver lasciato la Francia. 

Nel decennio precedente il numero
di jihadisti francesi non raggiungeva le duecento persone. Tra coloro
che hanno ricevuto un addestramento in Siria o in Iraq, alcuni sono
più abili a maneggiare gli esplosivi rispetto ai goffi “terroristi
casalinghi” degli anni duemila, la cui formazione avveniva via
internet.



La terza caratteristica è l’aumento
di reclute provenienti dalla classe media

Prima la maggior parte dei
jihadisti erano giovani frustrati e rabbiosi, provenienti spesso
dalle periferie. Oggi tra di loro ci sono giovani più benestanti,
dotati di maggiori risorse intellettuali e culturali. Non si possono
facilmente definire degli esclusi poiché non hanno né i modi né il
linguaggio del corpo delle periferie. 

Inoltre non sono schedati dai
servizi d’informazione, perché non hanno precedenti penali.

Possono disporre di risorse economiche più ingenti e la loro
adesione all’Is assicura a questo gruppo dei mezzi finanziari di
cui Al Qaeda non disponeva.




Il ruolo dei fratelli.



Tra i jihadisti ci sono sempre più
convertiti. Il loro numero è notevolmente aumentato dal 2013, fino
ad arrivare a circa un quarto del totale. 

Non si convertono
semplicemente per vendicare la loro condizione sociale svantaggiata
(come accade per i “piccoli bianchi” che si comportano un po’
come i giovani di periferia), ma anche per una sorta di “militanza
umanitaria”, che prevede il ricorso alla violenza per difendere
delle vittime.



La miscela di classi medie e gioventù
di periferia
, o anche dei quartieri poveri della Siria, può
rivelarsi esplosiva poiché ciascuna componente fornisce all’altra
ciò di cui è priva, ovvero il capitale culturale o la sete di
vendetta. […]


La collaborazione tra i due gruppi può portare ad azioni
eclatanti come quelle del 13 novembre 2015 a Parigi, proprio perché
si lega all’ampio armamentario ideologico fornito dall’Is: ci si
sente destinati a una missione che è anche una vocazione. 

L’intento
è “punire” una società di miscredenti che si oppongono alla
volontà divina.

Questi giovani sono animati da una visione euforica
della loro vita e del loro avvenire dopo la morte, in quanto martiri
ed eletti. Quello che li spinge non è affatto, come sosteneva André
Glucksman, il nichilismo, ma una molteplicità di motivazioni.



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L’adesione al’Is appare ai
giovanissimi un modo di accedere più rapidamente all’età adulta.


Occorre inoltre sottolineare la
presenza massiccia di donne (circa seicento su cinquemila aspiranti
jihadisti in Siria), che contrasta con il loro numero estremamente
ridotto prima del 2013. Questo contingente femminile introduce una
nuova dimensione nel jihadismo. Le giovani donne si sentono delle
compagne in grado di dare a quest’avventura un senso
“neocomunitario” o “neoummatico”
(la umma è la comunità dei
fedeli musulmani), ovvero creatore di una nuova comunità musulmana.
Quando sono incinte mettono al mondo, nonostante il martirio del loro
compagno, un figlio che sarà a sua volta martire. 

Uomini e donne si
mettono al servizio di una umma che assume un ruolo fondamentale e
che s’incarna nel califfato, depositario del sacro. La giovane
donna, se lo vuole, può anche unirsi alla brigata Al Khansa, dove le
viene insegnato come maneggiare le armi. 

Può, qualora ne sia in
grado, diventare una jihadista a pieno titolo, tornando in Europa
oppure rimanendo sul posto, dove richiama all’ordine le donne
riluttanti a sottomettersi alle regole dello “stato” califfale.




Oltre a quella femminile, un’altra
presenza rilevante è quella degli adolescenti.
 

L’adesione all’Is
appare ai giovanissimi un modo di accedere più rapidamente all’età
adulta. L’esercizio della violenza diventa un rito di passaggio, di
cui i ragazzi si servono per mettere fine all’interminabile periodo
di postadolescenza delle società europee, dove il momento
dell’emancipazione diventa sempre più tardivo a causa della
mancanza di lavoro. 

L’Is offre la prospettiva di interrompere
questa adolescenza che non finisce mai, in un’Europa dove manca
qualsiasi visione politica che potrebbe dare un senso alla vita dei
giovani.



Le periferie o i quartieri ghetto,
infine, continuano a fornire aspiranti jihadisti. 

Il jihad offre un
modo di canalizzare il proprio odio verso la società, colpevole
della marginalizzazione e della stigmatizzazione di cui sono vittime
i giovani che vi abitano.




La sete di vendetta.



L’Is promette inoltre un vantaggio
supplementare: senza di esso, il giovane jihadista sarebbe costretto
a rivolgersi ad Al Qaeda e al suo discorso teologicamente astruso e
noioso contro un nemico lontano. Con il neocaliffato hanno invece
accesso a un eroismo immortalato in filmati video, all’esotismo
(partire lontano per vivere più intensamente) e al romanticismo
(diventare grandi eroi in un mondo che vede rinascere il califfato
scomparso nel 1924 e il cui prestigio è paragonabile, per questi
giovani entusiasti, a quello del primo stato comunista apparso nel
1917).




Sotto il vessillo dell’Is convivono
due tipi di jihadisti, che si differenziano nelle loro motivazioni
interiori.
Ci sono quelli che soffrono e cercano di infliggere questa
sofferenza alle società ritenute responsabili dei loro problemi. 

Ma
ci sono anche quelli che si annoiano e cercano in una vita più
intensa, in una guerra senza pietà, la gioia di una vita
elettrizzante, che trova nella morte il suo apice glorioso. 

È questo
il motivo per cui alcuni giovani vivono la guerra in Siria come
un’euforia ininterrotta, dove l’uccidere e il farsi uccidere sono
parte di questa glorificazione di un’esistenza trasgressiva, in una
festa senza fine.




La molteplicità dei profili dei
jihadisti mostra che le società europee non si trovano di fronte a
un tipo preciso di giovani (siano essi di periferia o dei quartieri
poveri del Regno Unito o del Belgio), ma a una diversità che include
ormai un numero significativo di giovani delusi da un’Europa senza
più alcuna utopia politica e in cerca di una vitalità e di una
esaltazione violente.




La ricerca di soluzioni per
contrastare la radicalizzazione dei giovani deve tenere conto di
questa diversità
. L’assenza di utopie politiche rende più
delicato il compito in un mondo dove la dimensione interiore (il
disincanto dei giovani) e quella esteriore (la nascita dell’Is) si
fondono in una miscela esplosiva che è frutto di una globalizzazione
delle idee che lo stato-nazione europeo fatica a controllare. 

Quest’ultimo, dal canto suo, stenta ad aprirsi a una vera
dimensione europea, nonostante i recenti attentati abbiano mostrato
l’inefficacia di una dimensione nazionale dei servizi
d’intelligence all’interno dell’Europa senza frontiere dello
spazio Schengen.