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Le donne curde e la società dello spettacolo.

di Daniele Barbieri, labottegadelbarbieri, 01 Aprile 2016.

La società dello spettacolo mercifica e banalizza tutto (o almeno ci prova) ma con le donne curde non sembra tanto facile…

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Donne curde durante la liberazione di Kobane

Chi avesse incautamente
seguito la trasmissione «Alle falde del Kilimangiaro» (e qui
verrebbe spontaneo un bel “paraponziponzipò”) del 6 marzo
avrebbe potuto assistere a una incredibile messa in scena, un’opera
di mistificazione, un concentrato di banalità e luoghi comuni degni
del peggior monoblocco mentale (definizione popolare del “pensiero
unico”
) mai concepito dalla Società dello Spettacolo.

Debordianamente, quella
in cui “il vero è un momento del falso”.

La conduttrice Camilla
Raznovich presentava il libro dell’economista Loretta Napoleoni
sulle donne nell’Isis. Maldestramente però associava questo
argomento a foto e immagini dell’attività’ di difesa, di
territori e popolazioni, da parte delle donne curde combattenti in
Rojava
proprio contro le milizie del Daesh.


Confondendo temi e
contenuti (e anche, in un certo senso, vittime e carnefici) e
disinformando in merito al reale svolgimento delle azioni perseguite
da più di due anni dalle combattenti curde dell’ Ypj (unita’ di
difesa delle donne)
in Rojava.

Sia il montaggio
fotografico che il contenuto dell’intervista evidenziano una totale
impreparazione (escludiamo pure la malafede) nel trattare
l’argomento. 

Confondere il terrorismo con la difesa delle
popolazioni
da parte delle donne curde Ypj (arrivando a dire: «la
donna combattente rappresenta l’altra faccia della stessa medaglia
del terrorismo» mentre contemporaneamente andavano in
sovrimpressione le fotografie delle donne combattenti curde)
costituisce un esempio di disinformazione assoluta e una mancanza di
rispetto, oltre che per le donne curde, per gli utenti del servizio
pubblico.

Parlare di «sciattezza
intellettuale ed errata informazione» è stato da parte di UIKI
(Ufficio d’Informazione del Kurdistan in Italia) solamente un
educato e moderato eufemismo. 

Si sarebbe potuto dire molto, ma molto,
di peggio.


Come se non bastasse, si
rasentava l’infamia evocando il “ratto delle sabine”
(presentate come donne sedotte e non vittime di stupro) per parlare
delle donne rapite, violentate, in molti casi ammazzate, dai fascisti
di Daesh.

Un velo pietoso poi sulla
congenita abitudine eurocentrica di trattare i popoli del resto del
mondo come “arretrati” e parlare di emancipazione femminile e
lotta per l’uguaglianza come prerogativa dell’Occidente,
cancellando di colpo la democrazia paritaria e l’uguaglianza di
genere in atto da oltre un decennio tra i curdi (sia in Rojava che
nel sud-est della Turchia).

Daria Bignardi (direzione
di RAI3) si è già scusata pubblicamente, a nome del programma, con
i rappresentanti curdi e avrebbe richiesto una “relazione
approfondita” sull’autogol televisivo, ma l’episodio rimane
comunque un fatto gravissimo e va stigmatizzato.

«Tutta
la vita delle società nelle quali predominano le condizioni moderne
di produzione si presenta come un’immensa accumulazione di
spettacoli. Tutto ciò che era direttamente vissuto si è allontanato
in una rappresentazione»
Guy Debord.