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La travagliata storia del Mein Kampf in Italia

di Tommaso Naccari, Vice, 22 Aprile 2016.


La figura di Hitler e tutto ciò che le fa da contorno è quantomeno
controversa. 

Ancora oggi, a settant’anni dalla sua morte (e a 127 anni
esatti dalla sua nascita), continuano a emergere nuovi dettagli e
aneddoti che lo riguardano. E come la sua storia, non poteva che essere
controversa anche quella del saggio che racchiude il suo pensiero: il Mein Kampf.

A gennaio di quest’anno, infatti, sono scaduti i diritti d’autore sul
testo ed è stato possibile ripubblicarlo in Germania, dove fino a quel
momento la Baviera—che controllava i diritti in quanto erede della casa
editrice centrale del Partito Nazista—aveva impedito la ristampa per
contrastare l’uso del Mein Kampf nella propaganda neonazista.

Con l’avvicinarsi della scadenza del copyright, la questione principale
al centro del dibattito è stata quella della legittimità di una
ristampa dell’originale. 

Secondo chi vi si oppone—in primis la comunità ebraica tedesca e alcuni sopravvissuti all’Olocausto—ripubblicare il testo integrale del Mein Kampf non avrebbe alcun valore storico, ma sarebbe solo un atto politico. 
I curatori della nuova edizione tedesca, invece, sostengono
che, vista la già ampia disponibilità del testo su internet e in
versioni in lingue straniere, pubblicare un’edizione commentata del
saggio nazista non possa far altro che contestualizzare e depotenziare
il testo.

L’8 gennaio scorso, infine, questa nuova edizione tedesca è
arrivata in libreria. Si tratta di una versione curata dall’Istituto
Tedesco di Storia Contemporanea e realizzata
con il preciso scopo di “svuotare la propaganda hitleriana del suo
fascino, pezzo per pezzo.” 

A quanto pare, le 4000 copie della prima
tiratura sarebbero andate esaurite nel primo giorno di vendite, dimostrando l’interesse tuttora esercitato dal testo a prescindere dai dibattiti in materia.

In Italia le cose sono andate molto diversamente, e il dibattito intorno al Mein Kampf non
ha mai riguardato direttamente la possibilità di diffonderlo, fatto
peraltro testimoniato dalla grande varietà di edizioni e di parti
politiche coinvolte nella sua diffusione dal 1934 ai giorni nostri. Ma è
proprio questo aspetto, unito alle circostanze della sua prima
traduzione in Italia con l’intervento di Mussolini, a essere
relativamente sconosciuto e sicuramente interessante. 

Per provare a ricostruire le prime fasi della storia editoriale del
testo che lo stesso Mussolini aveva definito “un libro di cui tutti
parlano ma che nessuno ha letto” ho quindi contattato Giorgio Fabre—che
ne Il Contratto analizza il rapporto tra Mussolini e la pubblicazione del Mein Kampf.

Secondo Fabre, “in Italia il libro in quanto tale non ebbe mai un
grande successo,” arrivando da noi più che altro per la precisa volontà
politica di Mussolini. 

La prima, parziale, edizione italiana del Main Kampf
(risalente al 1934) fu di fatto il prodotto di una lunga trattativa tra
i nazisti e Mussolini, che si risolse con un finanziamento di
quest’ultimo a Hitler. 

Pur vedendo nel secondo un concorrente sul piano
ideologico, infatti, il Duce protesse la “Bibbia” dell’estrema destra
europea fino alla pubblicazione.

In pratica, secondo Fabre, il testo sarebbe stato pubblicato in Italia
“solo come giustificazione di un supporto” e la sua pubblicazione fu un
tentativo di finanziare e allo stesso tempo condizionare Hitler in un
momento cruciale della storia europea. 

Inoltre, “essendo il libro di un
capo di stato come Hitler, di destra e vicino alle posizioni del
fascismo, oltre che da esse ispirato, come tematiche era vicino
all’Italia.”


Sempre secondo la ricostruzione di Fabre, Mondadori si rifiutò di
pubblicare il testo perché aveva molti autori ebrei di punta e non
voleva condizionare il rapporto con loro per un libro dal futuro incerto
in termini di vendite. 

Bompiani invece accettò, intravedendo la
possibilità di un rapporto diretto con il capo del governo. L’edizione
Bompiani è stata ristampata nel 1943 e poi per circa 30 anni il testo
non è stato più toccato.

Per i decenni successivi, in Italia così come nel resto d’Europa, il
testo è stato circondato da un’aura di mostruosità e pericolosità che ne
ha impedito quasi ogni forma di divulgazione, facendo sì che si venisse
a creare un grande interesse frustrato nel confronti dell’opera
letteraria di Hitler.


Negli anni Settanta, l’editore Roberto Napoleone—definito dal Corriere della Sera
“cossuttiano” e “un comunista tutt’altro che pentito, le cui idee hanno
retto al crollo dei Muri e dell’URSS”—decise di ripubblicare il testo
con lo scopo di “esibire il mostro in tutta la sua stupidità.” 

Un’opinione condivisa anche da Indro Montanelli, che disse, “La lettura del Mein Kampf
io la renderei, per legge, obbligatoria. Fuori dal contesto in cui fu
concepito e scritto, quel libro non è che un caciucco di coglionerie.”

L’edizione pubblicata da Napoleone fu ovviamente accolta tra le polemiche, ma andò esaurita in 15 giorni. 
Da quel momento la riedizione del Mein Kampf
fu definitivamente sdoganata e il testo venne poi ripubblicato in
Italia diverse altre volte, sia da destra che da sinistra. 

Tra le
versioni più recenti figurano quella del 2009 delle Edizioni di Ar, casa editrice fondata e diretta dall’ex terrorista neofascista Franco Freda e dotata di un’intera collana dedicata ai fascismi, e quella pubblicata nel 2002 da Kaos Edizioni, curata da Giorgio Galli e dal sottotitolo assai eloquente, Le radici della barbarie nazista.

Quest’ultimo caso rappresenta una specie di eccezione, poiché più che
della riproposizione dell’opera completa si tratta di una rivisitazione. 

Come si può leggere in quarta di copertina,
per Kaos e Galli la riedizione “ha un triplice significato: il rifiuto
etico-intellettuale di ogni tabù e di qualunque forma di censura, la
storicizzazione di un testo la cui lettura deve rappresentare un
imperituro monito, la denuncia di rimozioni e mistificazioni.”

Uno degli scopi è quello di “rompere l’aura ‘leggendaria’ del Mein Kampf
alimentata dalla proibizione, sfatare una ‘mitologia’ fomentata dalla
censura.

“Per fare questo, il testo si presenta accompagnato da
un’introduzione antirazzista e da un’appendice contenente delle
fotografie dei lager nazisti presentate senza commento

Nonostante questo, però, dopo l’uscita, l’ambasciata tedesca a Roma scrisse
agli autori affermando di riconoscere e condividere lo scopo del loro
lavoro, contestando comunque la pubblicazione integrale del testo;
qualche tempo dopo, l’edizione è stata dunque ristampata sopprimendo
alcuni brani per venire incontro a questa richiesta.


Nonostante quella che sembra essere una quantomeno sostanziosa
diffusione del saggio nel nostro paese, però, secondo Fabre l’opera
letteraria di Hitler non ha alcuna importanza o rilevanza nella cultura
italiana. 

L’influenza del Mein Kampf sul fascismo, infatti, è
più ridotta di quella che abbia esercitato il fascismo sulla persona di
Hitler. “Hitler saggista,” mi ha detto Fabre, “non ha alcuna importanza
nella cultura italiana, gli stessi ideali fascisti influenzano il libro
solo in minima parte. Piuttosto, il fascismo ha influenzato Hitler come
persona portandolo a vedere in Mussolini il suo modello politico da
seguire.”

Oggi, dentro e fuori dall’Italia, il principale argomento di discussione sul Mein Kampf
riguarda più il piano morale che quello contenutistico, a
riprova del fatto che anche nel terzo millennio sono più le persone che ne
parlano di quelle che l’hanno effettivamente letto. Secondo Galli, però,
sarebbe meglio che il
Mein Kampf
venisse letto di più, perché la sua lettura, quando è “assistita
da tutte le riflessioni necessarie per comprenderne gli assunti senza
esserne intossicati” funziona come una sorta di “vaccinazione della
conoscenza.”

Insomma, conoscere diventa ogni giorno più necessario come
lezione sul passato e il futuro. 

E per fare questo bisogna far vedere
che, fuori dal contesto storico a cui appartiene, il Mein Kampf è solo un libro brutto. Per citare sempre Galli: “la gente deve conoscere quanto assurdo e stupido sia questo libro.”