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Guida pratica alla creazione di un mostro. Islamofobia e scontro di civiltà

di Emmanuele Quarta,
eastjournal,
16 Aprile 2016.

All’indomani degli
attentati all’aeroporto e alla metropolitana di
Bruxelles
,
il Giornale
pubblicava un
articolo di Alessandro Sallusti
intitolato “Cacciamo l’Islam
da casa nostra”. Si tratta di qualche paragrafo – scritto
probabilmente “a caldo” – ma che rappresenta un buon esempio
del messaggio d’allarme
che le penne più reazionarie del panorama giornalistico italiano,
con sempre maggiore insistenza, si premurano di diffondere:
l’assoluta
incompatibilità tra Islam e civilizzazione occidentale

Sallusti, per capirci, scomoda la battaglia di Lepanto del 1571 per
tracciare un parallelo con l’Europa del 2016: “siamo in guerra”,
dice. E, cosa ancor più importante, rinsalda il nesso – centrale
nella narrazione dell’Islam della testata da lui diretta – tra
fede islamica, terrorismo internazionale e immigrazione clandestina
.

Questa narrazione dello
“scontro tra civiltà” – che ricicla il titolo e (grossomodo)
le teorie del noto saggio di Samuel P. Huntington
– non rappresenta in sé una novità, ma ha conosciuto un
nuovo slancio
dopo gli
attentati di gennaio 2015 contro la redazione di Charlie Hebdo, a
Parigi, e con la comparsa del gruppo terroristico ISIS sul panorama
internazionale. L’ineluttabilità dello scontro tra due civiltà –
tra Islam e mondo occidentale – è un’immagine
dal potere di seduzione enorme
,
perché offre una chiave di lettura semplice di una situazione
complessa, riassumibile in una formula lapidaria del tipo “è così
perché non potrebbe essere diversamente”. 

E, per questo motivo, è
particolarmente pericolosa
.

La costruzione di
un’identità nazionale – o, come in questo caso, di una civiltà
– è un processo dotato di una
dimensione spaziale

inerente: si definiscono i contorni, si stabiliscono le frontiere,
fisiche e socioculturali, tra “noi” e “loro”, tra
l’Io e l’Altro
Nell’articolo di Sallusti, l’Io è (culturalmente) bianco,
occidentale, figlio dell’Illuminismo, presumibilmente di tradizione
cristiana e, in virtù di ciò, moralmente e culturalmente superiore
all’Altro orientale, retrogrado, intollerante e musulmano. 
Lo
scontro è inevitabile, soprattutto perché – Sallusti
ne è certo –
non
esiste alcuna differenza tra Islam e terrorismo internazionale
I musulmani moderati, nella rappresentazione proposta dal Giornale,
sono quelli che magari “non maneggiano bombe”, ma “fanno e
faranno da brodo di coltura, da rete di protezione e complicità”
ai terroristi. 
La soluzione? Un giro di vite contro l’immigrazione
clandestina
,
evidentemente, “prima che sia troppo tardi”.


Islam,
terrorismo e immigrati
:
il trinomio è servito. L’articolo di Sallusti, però, è solo un
esempio di come una certa parte della stampa costruisce l’immagine
della religione islamica. Ancora un esempio: in
un altro articolo
, Vittorio Feltri insiste sulla necessità che i
musulmani moderati – lì dove ce ne fossero, beninteso! –
contribuiscano alla lotta
contro i loro “confratelli dediti allo sterminio”
Cito un passaggio:


[…] Perché non lo danno questo benedetto contributo? Si frequentano tra
islamici, si incontrano nelle moschee, si riconoscono anche solo
dall’aspetto e dall’abbigliamento (non sempre), non penso
farebbero fatica a individuare i soggetti pericolosi meritevoli di
essere isolati, denunciati e disarmati. […]


Oltre all’implicita
superiorità morale
che consente all’autore d’esigere la condanna del terrorismo
internazionale da parte dei musulmani “moderati” – dietro pena
di vedersi spogliati del virgolettato – l’articolo presenta il
credente musulmano come un individuo dotato di tratti
distintivi peculiari
, che
ne consentirebbero (ma non sempre, sia chiaro!) l’immediato
riconoscimento. 
Ma poi, esistono
davvero dei musulmani moderati
Se lo chiedeva Libero,
due settimane dopo gli attentati di novembre a Parigi, con
un sondaggio online
corredato da questa immagine:


 

Foto di Jasons World

Frontiere
socioculturali, dicevamo, ma anche fisiche: è una geopolitica
della paura
, che consiste
nel rappresentare determinati luoghi come innatamente pericolosi. 
Ricordate Fox News e le
“no-go zone” della banlieu parigina
dopo gli attentati di
gennaio? Se Salah è una “bestia”, Molenbeek si trasforma,
dunque, in un “covo di belve”. 
C’è di più: “Molenbeek”,
da nome proprio di una cittadina della periferia di Bruxelles,
diventa una parola di uso
comune
, e dunque
utilizzabile al plurale. 
Le
Molenbeek
, appunto,
sarebbero tutti quei luoghi suscettibili di ospitare focolai del
terrorismo internazionale. Luoghi
da bonificare
.


Ora, è chiaro che ci
si potrebbe limitare a rilevare l’islamofobia

– più o meno velata – che accompagna tale visione dell’Islam
da parte di certi periodici nostrani. 
Ma questa narrazione, che
collega Islam, terrorismo e immigrazione e che gioca costantemente
sul senso d’urgenza
comunicato da certe immagini – come quella di
un’Europa sull’orlo dell’invasione – risponde principalmente a
esigenze di tipo politico
. Serve, insomma, a rinforzare
la retorica
di quei
partiti della destra nazionalista ed euroscettica che proprio su
questi temi, oggi, cercano di costruire il proprio consenso
elettorale. In un momento particolarmente delicato della storia
dell’Unione Europea, ci
troviamo dinanzi a un bivio
.
Possiamo lottare affinché l’UE diventi, infine, un
vero strumento di democrazia
Oppure possiamo cedere alle promesse di chi, sotto il vessillo della
paura, culla l’idea della “fortezza Europa”: innalzando
barriere, creando mostri.