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Gli Ebrei di Cochin, un popolo dimenticato che lotta per la sopravvivenza

di Nathan Greppi, mosaico-cem, 11 Aprile 2016

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Cochin
(oggi
nota come

Kochi
),
grande città portuale nel Sudovest dell’
India,
può vantare non una ma bensì due vie “ebraiche”. 

C’è la via
ebraica nel quartiere turistico di
Mattancherry,
dove si trova la
Sinagoga
di

Paradesi
,
la più vecchia sinagoga dell’India tuttora aperta. 

A nove
chilometri dall’affollato centro di
Ernakulam,
tra i venditori ambulanti di ciabatte e patatine fritte, vi è la
seconda via ebraica. Dietro un negozio di fiori vi è un altra
sinagoga, molto meno frequentata della prima, la cui congregazione è
emigrata in Israele.


Queste sono solo due delle sette
sinagoghe presenti nello stato indiano del
Kerala.
Malgrado i simboli, una cosa che non si trova più molto in questo
stato sono gli ebrei. 

Secondo un recente articolo pubblicato su
Haaretz, oggi sono rimasti solo 26
ebrei
a Kochi, e alcuni
non si parlano neanche tra di loro.

Stando ad alcuni racconti, i primi
ebrei arrivati in Kerala erano mercanti venuti dal Regno di Israele
nel XI secolo a.c., che al ritorno portavano avorio, scimmie e
pappagalli. 

Un’ altra versione afferma che si stanziarono qui più
tardi, dopo la distruzione del Secondo Tempio, e si insediarono a
Cranganore,
antica capitale del paese. 

Quando l’esploratore ebreo spagnolo
Beniamino di Tudela
visitò l’India intorno al 1170, scrisse che vivevano circa mille
ebrei nel Sud dell’India, “tutti neri”. 

Venivano chiamati anche
E
brei di Malabar,
dal nome della costa settentrionale del Kerala. A partire dal XVI
secolo, agli ebrei di Cochin si aggiunsero altri ebrei venuti
dall’Europa, e in particolare quelli cacciati dalla Spagna e dal
Portogallo. Le varie comunità non si sono mai mischiate del tutto,
per razzismo secondo alcuni, per differenze culturali secondo altri.

Accettate dai sovrani locali e dal
resto della popolazione, le comunità hanno prosperato fino agli anni
’40 del novecento, quando sia l’India che Israele ottennero
l’indipendenza a pochi mesi di distanza, ed ebbe inizio un esodo di
massa verso la Terra Promessa.

Sarah Cohen,
93 anni, è l’ebrea più anziana di Kochi. 

Quando le si chiede
quanti ebrei vivono in città, lei risponde senza esitare: “Sei”,
senza contare gli ebrei di Malabar che vivono nel centro.

Gli ebrei di Mattancherry sono
degli idioti” afferma
Josephai
Elias
, detto Babu,
60 anni, il capo non ufficiale degli ebrei di Malabar e proprietario
del negozio di fiori davanti alla sinagoga di Ernakulam, che non
viene più utilizzata dagli anni ’70.

Macellaio kasher oltre che fioraio,
dice che si rifiuta di “tagliare il pollo” per la comunità
ebraica bianca, ovvero Sarah Cohen e i suoi vicini. 

Loro non lo
vogliono, e lui non vuole loro. 

Ma neanche i rapporti con gli altri
ebrei di Malabar – di cui molti suoi fratelli – sono perfetti.
“Per due volte ho pensato di emigrare in Israele” dice lui. Una
volta, sua nonna lo ha pregato di restare. La volta dopo, sua madre
gli ha fatto capire che non c’è l’avrebbe fatta senza di lui.
Dei suoi nove fratelli e sorelle, quattro hanno fatto l’aliyah, e
gli altri sono rimasti in Kerala, ma o si sono sposati con non-ebrei
o non sono più interessati alle questioni della comunità.

Babu ha detto di pregare quasi sempre
da solo di Shabbat, seduto su una panca di legno della sinagoga, con
la stanza illuminata da lampade arancioni, blu e verdi. 

“Cosa ci
posso fare?” chiede. “Almeno prego con il cuore.”

La figlia maggiore di Babu, Avithal,
27 anni, si è innamorata di Israele dopo un viaggio con il programma
Taglit ed
è rimasta per laurearsi al
Technion
di Haifa

Lì ha conosciuto
un ebreo americano del Maryland con cui si sposerà il mese prossimo. 

La sua figlia più giovane, la ventiquattrenne Leya,
è andata a studiare a Mumbai e li lavora alla comunità ebraica
locale. Babu spera che emigri anche lei in Israele e si trovi un
marito. “è una brava cuoca” dice lui, “e un eccellente
ballerina”.

L’unico motivo per cui Babu vive
tuttora a Kochi è la sinagoga. 

E non è l’unico preoccupato per il
futuro dell’ebraismo locale. 

Gli ottomila ebrei di Cochin che
vivono in Israele hanno dedicato all’argomento diversi raduni
annuali, e anche altre comunità hanno mostrato il loro interesse.

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Il matrimonio di Sarah Cohen, la decana della comunità di Kochi

Una persona che ha dedicato gran parte
della sua vita a cercare di preservare i simboli ebraici nella zona è
il
Prof. Karmachandran
Docente di storia ormai in pensione, Karmachandran non è ebreo, ma
si è molto interessato al cimitero ebraico di
Mala,
un piccolo paese a 50 chilometri a nord di Mattancherry. E’ il
cimitero ebraico più grande di tutta l’India, e secondo lui vi
sono sepolti circa 2500-3000 ebrei. “Questo è uno dei più
importanti simboli della presenza ebraica a Kerala” dice
Karmachandran.

Gli ultimi ebrei di Mala,
approssimativamente trecento, sono emigrati in Israele a metà degli
anni ’50. Secondo le documentazioni, prima di partire firmarono un
accordo ufficiale con il comune locale per far preservare sia il
cimitero che la sinagoga. 

Purtroppo, mentre quest’ultima è stata
protetta dalle autorità negli anni, il cimitero sta andando incontro
a un destino ben diverso: è prevista la creazione di un campo da
calcio che lo rimpiazzerà.

Il cimitero sta per essere
distrutto dalle autorità locali,” dice Karmachandran, “se non li
fermiamo non ci sarà niente da preservare per le generazioni
future.” 

Poi ha aggiunto:”La situazione è patetica”. 
Fortunatamente Karmachandran non sta combattendo da solo. 
Egli
appartiene a un gruppo di attivisti, che include indù, musulmani e
cristiani
, che si è battuto per tanti anni per preservare il
Cimitero di Mala.

La piccola comunità di Kochi ha più
volte sostenuto questa campagna, ma non vi ha mai preso parte
attivamente, forse perché loro stessi hanno le loro lotte per
preservare la loro identità. Karmachandran lo sa, ma spera che le
comunità ebraiche indiane prendano coscienza della situazione. 

Secondo lui, sarebbe utile se i leader israeliani ne parlino con il
governo indiano che, sotto la guida di
Narendra
Modi
, è diventato sempre
più alleato di Israele.

Karmachandran ammette che dopo anni di
negligenza è rimasto poco da conservare. 

Oggi sono rimaste solo tre
lapidi, tutte con incisioni in ebraico. Ma battersi è una questione
di principio, secondo lui, ed è un test per capire se l’India può
salvaguardare la sua ricca eredità multietnica. 

“In Kerala abbiamo
una tradizione nel proteggere le minoranze. 

Non sono mai state
trattate come cittadini di seconda classe” conclude. “ Non sono
ebreo, ma la cultura ebraica fa parte della cultura indiana, e ne
sono orgoglioso”.