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Francia, laicità e Islam, attraverso lo sguardo di Jean Baubèrot

di
Chiara Baldani,
coreonline,
27 Aprile 2016.


Un incontro con Jean Baubérot,
storico ed esperto di sociologia delle religioni, sul complesso tema
della laicità nel tempo dei fondamentalismi





È stato ospite dell’Università
di 
Roma Tre
la scorsa settimana il Professore Emerito
Jean
Baubérot
,
lo specialista francese della laicità
. Ha introdotto il
tema assai complicato della laicità della Francia in relazione
alla religione islamica, secondo credo del paese, e minoranza
musulmana più grande d’Europa. 

Baubérot, dichiarando la sua
formazione non da esperto di Islam bensì da cittadino di un
paese laico quale la Francia, ha annunciato in apertura della
conferenza di voler piuttosto offrire «uno sguardo sull’Islam e
i musulmani».



A partire dall’epoca medievale,
laico è il ‘non chierico’ (
clericus)
o ‘non ecclesiastico’ nell’ambito della comunità dei
fedeli, e laicità concerne quindi lo status di una classe di
individui. Mentre il concetto di
laicità
dello Stato
è
stato
 spesso
confuso con quello di laicismo. 

Nel primo caso si ha
l’affermazione di un’autonomia, intesa come indipendenza rispetto
alla religione; si è all’interno di un ambito agnostico e
disponibile al dialogo, che pur relativizzando la priorità
della morale religiosa non ne sminuisce la valenza, è disponibile
alla mediazione e persegue punti di convergenza e convivenza tra
confessioni. Con il concetto di laicismo si è invece in una
logica di egemonia tendenzialmente atea che sfocia nel
predominio assoluto del politico e dello Stato, nella negazione
di ogni spazio di espressione alle confessioni religiose
(emblematici i casi dell’ex Unione Sovietica e della Cina).



Doverosa è anche una chiarificazione
circa la differenziazione tra Islam, che tutti sappiamo essere una
religione monoteistica manifestata tramite il profeta Maometto
considerato dai musulmani l’ultimo profeta inviato da Dio, e il
fondamentalismo islamico.
Il fondamentalismo, lo suggerisce
l’etimologia del termine, è un’estremizzazione teorica e pratica
la quale strumentalizza concetti religiosi per fini politici. 

Gli
obiettivi di organizzazioni come al-Qaeda e Daesh sono anti-islamici,
in primo luogo perché scatenano una guerra intestina tra i
musulmani che è esplicitamente condannata dal Corano; in secondo
luogo perché fanno del messaggio liberatorio e rivoluzionario del
Corano il pretesto per una violenza cieca. 

L’opposizione tra
amici e nemici è uno sviluppo salafita – ovvero di un movimento
ultra-conservatore e favorevole alla guerra santa, il jihad appunto –
all’interno dell’Islam sunnita, che il Corano non contempla.



Se è vero che ogni Stato matura le
proprie decisioni culturali e politiche a seconda dell’orientamento
storico, la Francia è arrivata alla laicità in risposta alla sua
natura multiculturale. Secondo Baubérot «almeno dalla fine del
Novecento il contesto dei rapporti tra società civile e società
religiosa è profondamente mutato in Francia». 

In questo paese
infatti la
lacité,
non a caso detta
de
combat
, nasce dal
superamento della
millenaria alleanza di trono e altare, dalla Rivoluzione, dalla
filosofia illuministica
,
dall’esperienza delle guerre, dalle colonizzazioni d’oltre mare.
 

Colonizzazioni (ma non
possiamo ridurre solo a questo fattore l’ondata di migrazioni
dall’Africa)
che hanno
innescato una crescita esponenziale di presenza islamica in
territorio francese
.



Vivere nell’era della
globalizzazione significa anche essere testimoni del rapido mutamento
delle geografie politiche ed umane: il fenomeno
dell’immigrazione non e’ affatto nuovo nella storia dell’umanità,
ma ad oggi si svolge in modo del tutto differente. 

Partecipiamo
infatti ad un mescolamento di etnie e culture con ritmi e
difficoltà che sollecitano riflessioni su nuovi strumenti politici,
legali e sociali. 

Proprio su questo Baubérot invita ancora a
riflettere: 

«La Repubblica, con il fenomeno delle migrazioni, ha
potuto maturare l’idea che la professione di un credo non
sarebbe stato un fattore che avrebbe prodotto coesione sociale.
La coesione sociale quindi come riferimento per una volontà volta
all’agire in un paese dalla forte connotazione pluralista».



In Francia si iniziò a parlare di
laicità dello stato nel 1905, data che segnò il senso di
distinzione tra religione e società civile con l’istituzione
della legge chiamata “separazione delle Chiese e dello Stato”. I
legislatori di inizio Novecento erano soprattutto preoccupati di
limitare l’influenza del cattolicesimo sulla vita pubblica,
infatti le comunità religiose creavano “società” e
aggregazione.



Stabilmente presente nell’arena
politica, quello della laicità in relazione al
fondamentalismo islamico, è un argomento che forse prima di
essere politico, andrebbe analizzato sotto gli aspetti
dalla connotazione umana.


«Nell’Europa cristiana di oggi»
prosegue Baubérot «i musulmani sono presenti con duplice
identità sociale: come cittadini degli stati di appartenenza, e
come immigrati provenienti dai paesi islamici. Per i primi, in
teoria, non dovrebbero presentarsi problemi d’integrazione. 

Per i
secondi le difficoltà sono maggiori perché vivono spesso in
luoghi arginati dalla società ospitante, le cosìddette
banlieue
– le nostre periferie».



Anche in una società espressamente
laica come quella francese, i problemi di integrazione non mancano
e la cronaca degli scorsi mesi conferma quanto appena supposto. 

Le
banlieue
sono popolate da molte realtà autoctone o meno, alcune inserite
nello scenario francese, altre tagliate fuori. 

È possibile
rintracciare tra le cause che spingono alcuni giovani ragazzi
ad arruolarsi con Daesh proprio il fatto di vivere in una
realtà aliena rispetto al resto della società. 

I dati che il
Professor Baubérot riporta sono chiari in merito: «La loro età
oscilla dai 16 ai 30 anni, non hanno effettuato studi superiori
tranne che in rari casi. Sono figli delle prime generazioni oppure
sono scappati dai paesi in guerra». La motivazione che li spinge
è studiata da psicologi, sociologi e anche l’antropologia si sta
muovendo per dare il proprio contributo ad una domanda di
difficile risposta: cosa spinge giovani ragazzi che hanno la
possibilità di mettersi in gioco in un paese come la Francia, a
diventare martiri? 

(Per approfondimenti si rimanda
all’autorevole professor
Scott
Atran
, antropologo e
maggior esponente mondiale in tema di cultura e terrorismo. In
particolare questo testo:
In
Gods We Trust: The Evolutionary Landscape of Religion –
Evolution and Cognition Series
).



Il professor Baubérot è convinto che
una delle motivazioni sia
certamente sociale

Chi
decide di arruolarsi fa parte di una cultura priva di
riferimenti forti, non ha senso di appartenenza e soffre la piaga
della deculturizzazione. 

«L’alternativa è il martirio che è
visto, anche da parte femminile, come un atto di estremo
coraggio se paragonato ai comportamenti dei ragazzi occidentali». 

Daesh offre, a chi ne è privo, tutte queste risorse.

Sono quindi proprio la scarsa
conoscenza dei principi islamici, l’opinione pubblica  irretita
da una vera e propria disinformazione e certe forme di estremismo
politico a generare una diffusa incomprensione e un senso di
immobilità, che impediscono di mettere in atto forme di
socialità e di politica in grado di arginare il fenomeno del
terrorismo.