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Esilio della Siria, il mio libro scritto sia da arabo che da occidentale

di Shady Hamadi, ilfattoquotidiano, 30 Aprile 2016. 


Scrivere un libro è un
palliativo
, qualcosa che
mi aiuta a sentirmi meno debole e impotente di fronte alla
sofferenza. 

A ogni punto messo al termine di una frase, mi sono
chiesto se ne valesse la pena; se qualcuno avrebbe trovato riparo
nelle mie parole. La risposta è no. 

Ma scrivere è una delle più
alte forme di libertà
che abbiamo. Scrivere vuol dire dare voce agli oppressi e ai
dimenticati: i bambini, i giovani, le donne e gli uomini di un popolo
– il mio popolo – orfano della compassione e della solidarietà.
Con queste parole, ancora una volta, voglio portare l’attenzione
sul dramma siriano. 

Soprattutto, vorrei che le mie pagine fossero uno
strumento per chi è digiuno di Siria

Durante la lettura vi accorgerete che uso il noi sia quando parlo da
«occidentale» sia quando parlo da «arabo». 

La mia storia
personale racchiude in sé Europa e mondo arabo, cristianesimo e
islam

Non ha senso per me, figlio di un siriano musulmano e di una italiana
cristiana, rivendicare una sola identità, anche se c’è stato un
tempo in cui credevo fosse necessario scegliere da che parte stare.



Io non ho mai vissuto
un giorno sotto le

bombe
, non conosco il
ronzio che fanno prima di colpire, di uccidere.  

Non
ho sofferto la fame, la sete
, né ho mai vissuto nella tenda di
un campo profughi

Però conosco quello che prova chi vive un dramma dall’esterno. 
Provo il senso di incomprensione e di abbandono che i siriani provano
a causa di un mondo che non conosce la loro storia. È come assistere
alla morte della propria madre senza poter fare nulla. Questa è la
sensazione, la condizione che più rappresenta quello che voglio
descrivervi.  Conosco la sofferenza
dell’esilio, perché ci sono nato. 

Ho provato il dramma della
perdita, quando sono morti amici e parenti e i loro corpi non ci sono
stati restituiti. 

Ho sperimentato la sofferenza inflitta dall’attesa
del ritorno di un carcerato. 

Ho perfino conosciuto meglio la
dignità
, il suo valore,
guardando negli
occhi i bambini e i loro genitori nei campi profughi
.



L’insieme delle mie esperienze e
riflessioni
racconta un
mondo che si definisce moderno, culla dei più alti valori umani, ma
che continua a ignorare la Siria. 

Questo libro vuole essere uno
sguardo sull’abisso attraverso le lenti del mio esilio. 

La tragedia
siriana è diventata, suo malgrado, anche la cartina di tornasole per
tante questioni che ruotano intorno alla contemporaneità, basti
pensare alla crisi valoriale ed etica del cosiddetto mondo
arabo-islamico e di quello occidentale-cristiano: in
Europa
l’estrema
sinistra e l’estrema destra si ritrovano unite intorno alla
figura di un dittatore,

Bashar al-Assad
; nel
mondo arabo abbiamo assistito alla definitiva caduta di miti, super
uomini che si erano venduti come difensori della causa araba e che,
invece, ne sono stati e ne sono i primi nemici.



La sindrome dell’11
settembre
acceca lo
sguardo del mondo facendo dimenticare società civili e processi di
affrancamento, come le primavere arabe, per preferire dittature
reazionarie in nome della stabilità e contro lo spauracchio
islamico. 

Ma il «primo mondo», che accetta il massacro quotidiano
di centinaia di siriani e la distruzione di un Paese, si raccoglie a
Parigi per «Charlie
Hebdo
». 

Possiamo
accettare un mondo ipocrita che predica valori che non mette in
pratica? 

Possiamo accettare dittature sanguinarie per salvaguardare i
nostri interessi economici e politici, e professarci democratici?





Estratto dal libro Esilio
dalla Siria. Una lotta contro l’indifferenza di Shady Hamadi (add
editore)