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Potere e propaganda, la guerra della penna in Cina.

di Larry Ong, epochtimes, 29 Marzo 2016



Dopo il
tour dei media statali fatto dal leader del Partito
Comunista Cinese Xi Jinping a febbraio, i censori del Partito
sono stati insolitamente aggressivi: la pagina social di un popolare
magnate cinese è stata cancellata da internet, un’autorevole
rivista finanziaria ha avuto l’ardire di denunciare i censori, non
una ma due volte (ricevendo in cambio un’ulteriore censura), e un
giornalista cinese è scomparso mentre si recava a Hong Kong
(l’arresto del giornalista si ritiene essere legato a una
strana lettera aperta che chiedeva le dimissioni di Xi).
Questi atti
di censura sono stati interpretati dalla maggior parte degli
osservatori come indice del pieno controllo di Xi
Jinping sul’apparato della propaganda del Partito.
Xi si
starebbe quindi dedicando, ora, a eliminare del tutto la libertà di
parola.
Se tuttavia
si considerano gli scontri ancor vivi agli alti livelli del
potere in questi ultimi anni, e se si esaminano i legami
interpersonali di fedeltà tra i responsabili della propaganda e
i precedenti storici, emerge un quadro ben più complesso: il
controllo della ‘penna’, oltre che del ‘fucile’, è da sempre
ritenuto cruciale dai leader comunisti.
CENSURA
E RESISTENZA
Ren
Zhiqiang
era da anni noto come il Donald Trump della
Cina, per i suoi interventi schietti e a volte pungenti con cui
mostrava difetti del governo del Partito.
I 38
milioni di follower sul social Sina Weibo, erano per lui una piazza
dove esprimere le proprie opinioni. Il suo account è però
stato censurato a fine febbraio.
I censori
cinesi hanno affermato di aver cancellato l’account di Ren per via
del suo «vile impatto»; in risposta al tour dei media statali di
Xi, per esempio, Ren aveva scritto: «Da quando il ‘governo del
popolo’ è diventato il ‘governo del Partito’?».
Quello che
è accaduto a Ren ha fatto calare il silenzio sugli incontri politici
annuali che si tengono a Pechino a inizio marzo. Funzionari ed
economisti hanno avuto paura di parlare sinceramente, persino ai
docili media statali: un fatto che è stato evidenziato dal delegato
Jiang Hong e da Caixin, un’autorevole rivista
finanziaria.
Questo ha
portato a un raro botta e risposta con i censori: tre articoli sul
controllo della stampa sono stati pubblicati da Caixin e poi
censurati.
Il 15
marzo, Jia Jia, un editorialista di Wujie News, è scomparso
nel contesto dell’apparizione di una lettera aperta, scritta da
«fedeli membri del Partito Comunista», che accusava Xi Jinping di
aver portato la Cina nel caos con la sua campagna di anti-corruzione
e di consolidamento del proprio potere.
La
rischiosa intraprendenza di Ren Zhiqiang, di Caixin, e di chi ha
scritto la lettera, è stata interpretata come il risultato di un
crescente risentimento verso l’ascesa di Xi Jinping a una figura
dittatoriale simile a quella di Mao, sebbene la lettera possa essere
stata ispirata dalla storica fazione nemica di Xi.
Nonostante
il grande potere di Xi Jinping, in realtà, non è affatto detto
che lui abbia il vero controllo della propaganda.

LA PARTE
DIFFICILE DEL CONTROLLO
Sebbene il
controllo della propaganda sia un nodo vitale per ogni
dittatore comunista, la storia del Partito in Cina dimostra quanto il
processo sia difficile.
Il
‘semidio’ del Partito Mao Zedong, quando volle dare inizio alla
Rivoluzione Culturale nel 1966, non fu in grado di diffondere i suoi
editoriali tramite i più grandi giornali statali: Mao e
la moglie Jiang Qing dovettero bussare a qualche porta e
accontentarsi della pubblicazione su Wenhui Bao, un giornale
semi-ufficiale di Shanghai.
In modo
simile, quando Deng Xiaoping, leader assoluto del Partito
e successore di Mao, dovette promuovere il suo ‘Tour
Meridionale’, non potè farlo con facilità: l’ex capo della
propaganda Deng Liqun e l’allora capo del Quotidiano del Popolo Gao
Di erano rivali di Deng, e quindi inizialmente il leader del
Partito non poté usare i canali ufficiali.
Xi Jinping
sembra essere in una situazione simile. In un noto paradosso della
propaganda del PCC, il racconto adulatorio del tour di Xi da parte
dei media di Stato, piuttosto che dimostrare il suo controllo
assoluto, può essere visto come un segno della sua attuale
debolezza.
UNA
FAZIONE CHE RESISTE
Questo è
dovuto principalmente al fatto che la propaganda è entro certi
limiti ancora nelle mani di Liu Yunshan, membro del Comitato
Permanente del Politburo (di 7 membri) e alleato del più grande
ostacolo politico di Xi: l’ex leader del regime Jiang Zemin.
A partire
dal 2002, Liu è stato una forza guida nella forte censura del
regime, oltre che nella propaganda e nell’indottrinamento.
Ha
controllato direttamente il Dipartimento Centrale della Propaganda
per un decennio, e dal 2012 è diventato capo della misteriosa
commissione che controlla il Dipartimento: il Gruppo Centrale di
Guida per la Propaganda e l’Ideologia.
È anche a
capo della Commissione Centrale di Guida sulla Costruzione della
Civilità Spirituale, che include una forte componente
propagandistica e ideologica; è infine a capo della Scuola Centrale
del Partito, che forma i quadri del regime.
La macchina perfetta della censura cinese
Questo
rende Liu uno degli uomini più potenti del regime.

La sua
fedeltà al rivale di Xi Jinping (Jiang Zemin) – il quale aveva fatto
entrare Liu in un Politburo espanso, dominato dai protetti di Jiang –
significa che non tutto potrebbe essere come appare nel mondo della
propaganda ufficiale.
Liu è solo
uno dei pezzi nello scacchiere del potere di Jiang Zemin: altri pezzi
chiave erano funzionari i cui nomi sono diventati ancora più noti
negli anni recenti, come Bo Xilai, che un tempo aspirava al
posto di leader assoluto, Zhou Yongkang, l’ex zar della
sicurezza, e gli ex massimi generali Xu Caihou e Guo Boxiong.
Tutti
questi uomini influenti sono stati purgati con accuse di corruzione
dopo l’ascesa al potere di Xi. Quattro dei sette membri del Comitato
Permanente del Politburo, in effetti, non erano nominati da Xi
Jinping ma ereditati alla sua salita al potere nel
2012 come risultato del gioco di forze nel regime.
Un gioco
nel quale il potere non viene mai ceduto volontariamente.
LOTTA
NELL’OSCURITÀ
Alcuni
analisti del sistema politico cinese sospettano persino che l’idea di
uno Xi Jinping come ‘reincarnazione’ di Mao Zedong sia stata, almeno
in parte, un gioco fatto di sotterfugi: un complotto ordito dai suoi
rivali politici, che lo osannano in modo da poterlo poi abbattere.
Per esempio
la pensa così Xin Ziling, funzionario del Partito in pensione
con ampie conoscenze ai livelli alti (era anche capo dell’ufficio
editoriale dell’Università Nazionale della Difesa cinese). 
Gli inni
esagerati scritti in nome di ‘Xi Dada’, cioè dello ‘Zio Xi’, la
faccia raggiante di Xi che adorna medaglie e altri oggetti, e la
trasformazione del Gala televisivo di capodanno in un puro e assoluto
spettacolo di propaganda, sono sembrati oggettivamente a Xin Ziling
esempi di una propaganda portata intenzionalmente all’eccesso.
Chen Pokong, autore di vari libri sulla cultura politica
cinese, ritiene che Xi Jinping stia realmente cercando di ottenere un
potere assoluto: l’unico modo per poter controllare l’apparato
del Partito.
Ma sospetta
che l’impianto della propaganda di Liu Yunshan, stia allo stesso
tempo attuando un «assassinio mediante adulazione», o «peng sha».
«Prendi
una persona, elevala di elogi fino ai Cieli, e quando cadrà sarà
disastroso», ha spiegato Chen intervistato in un programma della New
Tang Dynasty Television (Ntd)
, un’emittente newyorkese che
fa parte, insieme a Epoch Times, dell’Epoch Media Group. Quando
la Cina sarà assalita da un’importante crisi economica, finanziaria
o di altro tipo – sempre secondo Chen – i nemici di Xi insorgeranno e
lo accuseranno di aver costruito il culto di se stesso.
Lo scenario
potrebbe sembrare strano nella sua complessità, ma bisogna ricordare
che Deng Xiaoping fece fuori il successore designato di Mao, Hua
Guofeng
, con lo stesso metodo (sebbene in quel caso Hua stesso
fosse stato responsabile del proprio auto-elogio).
Mingjing,
un portale cinese estero specializzato nelle informazioni che
trapelano dalle fazioni di Pechino, afferma che Xi avrebbe
intimato ai funzionari della propaganda di mettere freno
all’idolatrazione della sua figura, aggiungendo: «Non chiamatemi Xi
Dada».
Le teorie
sulle operazioni segrete della politica cinese costituiscono spesso
delle lenti differenti con cui guardare e comprendere gli eventi:
sono, quindi, più degli strumenti di analisi che affermazioni
empiricamente verificabili.
Secondo Wen
Zhao
(commentatore politico del programma Decoding Mainland News),
letta alla luce della guerra interna in Cina, la lettera inviata per
e-mail a molti esperti di Cina che chiede le dimissioni di Xi
Jinping puzza di un’altra operazione anti-Xi. 
Wujie News
riceve fondi dal Dipartimento della propaganda dello Xinjiang, dal
gruppo Alibaba e dal SEEC Media Group.
Wen Zhao fa
notare che lo Xinjiang è stato per molto tempo una fortezza di Zhou
Yongkang, ex zar della sicurezza e sottoposto di Jiang Zemin; la
provincia è ora governata da Zhang Chunxian, sempre un alleato di
Jiang.
È
impossibile sapere se la lettera sia parte di una cospirazione dei
nemici politici di Xi, sebbene fosse evidente l’intento di
diffonderla ampiamente.
Il caos
successivo alla lettera, nondimeno, è chiaramente parte della guerra
attualmente in corso per il controllo della propaganda in Cina.