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Perché noi tutte dovremmo amare Hédi

Rim Ben Fraj ريم بن فرج 
Übersetzt von  Milena Rampoldi میلنا رامپلدی
Herausgegeben von  Fausto Giudice Фаусто Джудиче فاوستو جيوديشي

Come facciamo a non amare questo ragazzo che, rimettendo in causa la falsità del matrimonio combinato, fa delle domande vere alla sua fidanzata imposta? All’amata riesce a dichiarare indirettamente il proprio amore, parlando del 14 gennaio : “Per qualche tempo si è avuta l’impressione che tutti si amassero”.

Grande notizia, ragazze: il tunisino nuovo è arrivato! Si chiama Hédi. Attualmente è ancora un personaggio immaginario, incarnato dall’eroe berlinese* Majd Mastoura, ma…
Da quando esiste il cinema, esso offre uno specchio del mondo sociale, a volte deformato, a volte ingrandito, a volte rimpicciolito. Le opere geniali sono quelle che arrivano in anticipo, quelle mediocri quelle che vengono in ritardo e quelle d’arte al momento giusto. Nhebbek Hedi [Ti amo, Hédi], il film di Mohamed Ben Attia, si colloca nello spazio intermedio tra la prima e la terza categoria. Il pubblico di prima visione di Tunisi sembra non lo abbia apprezzato molto, alcuni chiedendosi se i premi ricevuti alla Berlinale non avessero a che vedere con la presenza di turisti tedeschi nel film. Oltre ad essere stupida, quest’osservazione permette di constatare dove il film mette il dito nella piaga.
Infatti questa nuova perla della collana della Nouvelle Vague  del cinema tunisino si permette una serie di audacie, ai quali gli spettatori e le spettatrici medi/e non sono abituati/e. 
Prima audacia: nel film non muore nessuno, né assassinato né suicidato. 
Seconda audacia: l’assenza di musica, né rock, né mezzoued*. Nulla. Il silenzio degli agnelli. 
Terza audacia: nessun personaggio è caricaturale. 
Quarta audacia: lo scenario focalizza su un unico soggetto, trattato in modo coerente. 
Quinta audacia: il film non sbocca ne su un lieto fine ne su un fuoco d’artificio tragico, ma su puntini di sospensione che permettono agli spettatori di immaginare la loro versione personale di Hédi 2.

Hédi, la Nouvelle Vague tunisina
In che senso questo film farebbe dunque male? Forse perché mette in scena una realtà sociale conosciuta da tutti, ma vissuta in silenzio, ovvero il fatto che le donne di questo paese, anche se forse non tutte, ma la maggior parte, sono un paio di passi avanti rispetto agli uomini. Trovano le vie strette per eludere l’oppressione patriarcale e costruiscono il loro percorso via facendo. Gli uomini, dal canto loro, rimangono sottomessi a quest’ordine patriarcale, mantenuto con mano di ferro dalle loro mamme. E queste mamme a loro volta sono le stesse che scaricano tutte le loro frustrazioni sui propri amati figli. Il risultato: i giovani uomini, castrati dall’amore soffocante delle loro madri, sono incapaci di volar via dal nido familiare, di conquistarsi la propria libertà e di dare ascolto ai loro sentimenti autentici. Sono dunque come degli automi programmati, perfettamente prevedibili e in generale sono noiosi da morire. Una situazione di prigionia che può rendere questi signori molto violenti, e si capisce.  
Se Hédi è stato premiato a Berlino, forse è perché i tedeschi in questo film hanno visto quello che negli anni 1970 chiamavano un softie – un uomo giovane, etero, sensibile, non macho per un centesimo, in breve che le ha tutte per piacere alle donne etero emancipate. L’assenza di musica permette di dar peso alle parole scambiate e la loro importanza alle immagini, tra cui certi piani – come ad esempio la spiaggia vuota – ricordano irresistibilmente la Nouvelle Vague del film francese degli anni 1960, e in particolare il Godard del Disprezzo.

Come facciamo a non amare questo ragazzo che, rimettendo in causa la falsità del matrimonio combinato, pone delle domande vere alla sua fidanzata imposta? All’amata riesce a dichiarare indirettamente il proprio amore, parlando del 14 gennaio : “Per qualche tempo si è avuta l’impressione che tutti si amassero”.
Senza dubbio, la maggior parte degli spettatori si aspettava che Hédi prendesse l’aereo con Rim per fuggire a Montpellier, per adattarsi alla cultura dominante harraghesca*, alla ricerca di una libertà illusoria, lontano dalla mamma, dalla famiglia e dall’ambiente d’origine, per “rifarsi una vita”, come il suo fratello maggiore. Ma non usa il visa di Schengen che decora il suo passaporto. Non cerca di approfittare di Rim, ma rimane qui. “Qui sono, qui rimango”. Il suo incontro amoroso ha attivato il suo cammino verso l’emancipazione. Rim, quella che è riuscita a fargli tagliare il cordone ombelicale con sua madre, non prenderà il posto della madre. E questo ci fa immenso piacere, visto che Hédi ce lo potremo tenere per noi, e dire con lui: “Nessuna salvezza nella fuga, la nostra libertà e dunque la nostra felicità vanno conquistate qui ed ora”. 
Invece di farci affogare negli usuali sogni stereotipati, Mohamed Ben Attia ci ha fornito un’ottima occasione per entrare in un’altra dimensione del sogno, guardando in faccia alla nostra realtà. Forse questo ha intimorito molti spettatori, il cui immaginario per troppo tempo è rimasto rinchiuso in un paesaggio maktubiano*, all’orizzonte del quale si innalza la Tour Eiffel, con la parola d’ordine “Dai, approfittane!”
NdE
L’attore del film è stato premiato coll’ Orso d’argento per il miglior attore all’ultima Berlinale

Mezzoued: cornamusa tunisina e, per estensione, stile di musica popolare

Harraga: quelli che “bruciano”  i documenti d’identità e la frontiera, per raggiungere l’Europa. Harraguesca è un neologismo per definire la cultura della fuga dilagante in Tunisia

Maktub è il titolo di un famoso sceneggiato televisivo tunisino a puntate

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