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Palmira liberata, ma nessuno mai l’aveva sfregiata come l’Isis.

di Alberto
Negri
, ilsole24ore,
29 Marzo
2016

Oggi è un
volo di drone sul web, dopo la riconquista da parte dei soldati di
Assad, a restituirne la visione ma per chi l’ha avvistata in una
distesa vasta e silenziosa, tra sabbia e rocce, Palmira
appariva come i resti fragili e solenni di un’astronave perduta nello
spazio che aveva viaggiato nel tempo per depositarsi davanti ai
posteri.
Aveva già
quattro millenni di storia, all’incrocio delle civiltà assire,
greche, persiane, quando vi arrivarono i romani.
Perché
Tadmor, la città delle palme, esisteva da sempre, potente
centro di vita e di collegamento tra il Mediterraneo e l’Oriente.
Per Palmira
da ora in poi ci sarà sempre un prima e dopo Isis: nessuno l’aveva
mai sfregiata come hanno fatto in questi dieci mesi di occupazione i
jihadisti del Califfato.

Liberata
dal regime di Damasco con l’appoggio dell’aviazione russa, Palmira
appare in condizione meno disastrose di quanto ci si potesse
aspettare, almeno secondo quanto dichiarato dal direttore delle
antichità siriane Maamoun Abdulkarim.
Ma i templi
di Bel e Baal Shamin hanno subito danni gravissimi mentre sono
quasi intatti l’Agorà, il teatro romano, le mura e buona parte delle
colonne.
L’Isis ha
razziato le vestigia che si potevano trafugare e vendere sul mercato
nero e a partire da fine agosto scorso, in un atto di stolido
affronto alla storia e alla cultura, ha fatto saltare in aria,
cancellandoli uno dopo l’altro, i templi più belli, le tombe a torre
romane, l’arco di trionfo, come avevano fatto mesi prima in Iraq a
Nimrud e Ninive.
Cancellare
la storia pre-islamica e le radici del passato vuol dire lasciare
Paesi come la Siria e l’Iraq senza un futuro e un’identità da dove
ripartire per una ricostruzione che non sia soltanto materiale ma
anche morale. Lo è sempre, ma in questi casi ancora di più, la
cultura ha un profondo significato politico e sociale.
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È tra la
magia di questi edifici millenari, di statue come il celebre Leone
di Al-Lat
, che oggi viene ricordato Khaled Asaad, 81 anni,
uno dei massimi esperti siriani di antichità ed ex direttore del
sito archeologico, decapitato e appeso a un palo della luce dai
miliziani dell’Isis. 
Poteva probabilmente andarsene prima che il 20
maggio scorso il Califfato si impadronisse di Palmira dopo un lungo
assedio.
Sapeva
sicuramente di essere nel mirino: i jihadisti lo hanno torturato nel
tentativo di estorcergli eventuali reperti nascosti ai saccheggi, per
distruggerli o più probabilmente venderli sul mercato clandestino.
Possiamo
soltanto immaginare che cosa lo abbia spinto a rimanere con la
famiglia nella morsa dello Stato Islamico: lontano da qui non avrebbe
potuto continuare a vivere, ha preferito affrontare il rischio e
morire tra quelle colonne vetuste ma ancora salde, piantate nella
sabbia come le sue convinzioni, che erano state tutta la sua ragione
di vita.
In questi
giorni forse anche i più disattenti riflettono su come gli Stati
Uniti e i governi europei abbiano contribuito a scoperchiare il “vaso
di Pandora” del radicalismo islamico. 
Le forze di Assad, dopo avere
riconquistato Palmira, sono pronte all’offensiva su Raqqa, capitale
del Califfato. Che cosa sarebbe accaduto se anche Assad avesse fatto
la fine di Gheddafi e Putin non fosse intervenuto al suo fianco?