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Palestina. La disgregazione politica, la cultura e l’identità nazionale.

di Jamil Hilal, Al-Shabaka, Traduzione
a cura di Amedeo Rossi

Il
campo politico palestinese, dominato dall’Organizzazione della
Liberazione della Palestina (OLP)
fin dalla fine degli anni ’60,
è stato disintegrato da quando in base agli accordi di Oslo è stata
fondata l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP)
Qual è stato l’impatto della
supremazia dell’OLP e quali sono state le ripercussioni della sua
disgregazione per la classe politica palestinese?

E fino a che punto la disgregazione del campo politico
ha colpito quello culturale e il suo contributo all’identità
nazionale palestinese? 

Queste sono le
questioni affrontate in questo articolo.

Il predominio dell’OLP nel contesto
politico palestinese è iniziato nel 1968 dopo la battaglia di
Al-Karameh
[città giordana in cui avvenne uno scontro tra
l’esercito israeliano, quello giordano e i guerriglieri palestinesi
e fu considerato una sconfitta per gli israeliani. Ndtr.], che le ha
permesso di istituire un relazione centralizzata con le comunità
palestinesi nella Palestina storica, in Giordania, in Siria, in
Libano, nel Golfo, in Europa e nelle Americhe. Queste comunità hanno
sostanzialmente accettato l’OLP come proprio unico rappresentante
legittimo, nonostante le influenze esterne su di essa, compresa la
sua pesante dipendenza da aiuti esterni, gli alti e bassi dei suoi
rapporti con il Paese di residenza e le sue relazioni regionali ed
internazionali. 

In conseguenza di ciò, le condizioni e
caratteristiche specifiche di ogni comunità sono state ignorate,
così come le prerogative nazionali, sociali e organizzative.

Dalla sua posizione dominante, l’OLP
è stata anche in grado di consolidare le pratiche delle elite
politiche comuni al mondo arabo e a livello internazionale, ma che
non avrebbero dovuto mettere radici all’interno del popolo
palestinese a causa della sua dispersione territoriale e della lotta
per la liberazione. 

Il fatto che l’OLP sia emersa ed abbia
funzionato in un contesto regionale ed internazionale ostile alla
democrazia sia in teoria che in pratica ha contribuito a questo
sviluppo. 

La regione araba è stata dominata da regimi con
un’ideologia totalitaria e nazionalistica, così come da monarchie
ed emirati teocratici autoritari; la democrazia era vista come un
concetto occidentale estraneo e colonialista. Allo stesso tempo,
l’OLP e le sue fazioni hanno formato alleanze con i paesi
socialisti e del Terzo Mondo, pochi dei quali godevano della
democrazia politica.
La natura parassitaria delle istituzioni e delle
fazioni dell’OLP e la dipendenza dall’aiuto e dal sostegno di
Paesi arabi e socialisti non democratici ha rafforzato un approccio
elitario e non-democratico alla politica.

Un terzo aspetto dell’egemonia
dell’OLP è stato che le sue fazioni sono state sottoposte a una
militarizzazione formale fin dall’inizio, in parte a causa dei
conflitti armati dell’OLP con regimi arabi ostili e in parte per il
fatto di essere costantemente attaccate da Israele. Questa
militarizzazione formale, opposta alle tattiche belliche della
guerriglia, ha aiutato a giustificare la relazione estremamente
centralizzata tra la dirigenza politica e i suoi sostenitori.

Tra gli anni ’70 e i ’90 le
fazioni e le istituzioni dell’OLP hanno sofferto molti duri colpi a
causa dei cambiamenti della situazione regionale e internazionale. 

Questi hanno
incluso l’espulsione dalla Giordania in seguito agli scontri armati
nel 1970-71; la guerra civile scoppiata in Libano nel 1975,
l’invasione israeliana nel 1982, l’espulsione dell’OLP dal
Paese e i massacri di Sabra e Shatila; la guerra contro i campi
palestinesi in Libano del 1985-86. 

La Prima Intifada (la rivolta popolare)
contro Israele in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza alla fine del
1987 è stata anche il periodo nel quale l’islam politico per la
prima volta ha occupato il contesto politico palestinese (1988). 

Il collasso dell’Unione Sovietica alla fine del 1989, la
prima guerra del Golfo nel 1990-91 e il conseguente isolamento
finanziario e politico dell’OLP hanno notevolmente eroso le sue
alleanze e le sue fonti di finanziamento.


Le ripercussioni della
disgregazione.

Durante la Prima Intifada, l’elite
politica palestinese non ha capito l’importanza di riorganizzare il
movimento nazionale palestinese né di ricostruire le relazioni tra
la dirigenza centralizzata e le varie comunità palestinesi. 

Inoltre
l’OLP non ha trovato un modo per affrontare l’islamismo politico
quando è emerso sulla scena palestinese come una filiazione della
“Fratellanza musulmana” e non ha integrato Hamas nelle
istituzioni politiche palestinesi. Allo stesso tempo, Hamas non si è
ridefinito come un movimento nazionale. Il movimento politico
palestinese, che è stato in un primo tempo indicato come un
movimento nazionale o come una rivoluzione ha iniziato a essere
citato come “il movimento nazionale ed islamico.”

Foto di Mohamad Torokman/Reuters

Infatti la Prima Intifada ha portato
la dirigenza politica a centralizzare ulteriormente i processi
decisionali: ha firmato gli accordi di Oslo senza consultare
le forze politiche e sociali all’interno o fuori dalla Palestina.
Oslo ha fornito all’OLP la razionalizzazione politica,
organizzativa ed ideologica per marginalizzare le istituzioni
rappresentative nazionali palestinesi che esistevano, con l’argomento
che stava costruendo il nucleo di uno Stato palestinese. L’ANP è
stata esclusa dall’occuparsi dei palestinesi in Israele ed ha perso
interesse fin da subito verso i palestinesi in Giordania. I suoi
rapporti con loro, così come con i palestinesi in Libano, in Siria,
nei Paesi del Golfo, in Europa e in America sono stati largamente
ridotti a formalità burocratiche attraverso le sue ambasciate e gli
uffici di rappresentanza in quei Paesi.

Quando la definizione dell’ANP come
un’autorità con un autogoverno limitato su alcune parti della
Cisgiordania e della Striscia di Gaza non ha portato ad uno Stato
palestinese, le elite politiche sono state private di un potenziale
centro di sovranità statale; ciò ha accelerato la disgregazione del
movimento nazionale. 

La vittoria di Hamas
nelle elezioni legislative del 2006 ed il suo controllo sulla
Striscia di Gaza nel 2007 hanno contribuito alla
frammentazione dell’autorità di auto-governo in due entità
sovrane, una rimasta su una parte della Cisgiordania e l’altra
nella Striscia di Gaza. Entrambe queste autorità rimangono
sottoposte all’occupazione ed al controllo di uno Stato coloniale
d’insediamento che continua a colonizzare in modo aggressivo la
terra e ad espellere palestinesi dai due lati della Linea Verde
[il confine tra Israele e la Giordania precedente all’occupazione
del 1967. Ndtr.]

La disgregazione del campo politico
nazionale ha avuto una serie di ripercussioni

Le
istituzioni rappresentative nazionali sono svanite e le elite
politiche locali sono diventate dominanti. I dirigenti hanno derivato
la loro “legittimazione” dalla loro posizione del passato nel
partito o nell’organizzazione e dalla loro interazione diplomatica
con Stati regionali ed istituzioni internazionali.

Il discorso che è prevalso
localmente ed internazionalmente ha ridotto la Palestina ai territori
occupati nel 1967 e il popolo palestinese a quelli che vivono sotto
l’occupazione israeliana, marginalizzando quindi i rifugiati e gli
esiliati così come i palestinesi con cittadinanza israeliana. 
L’apparato di sicurezza in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza è
cresciuto considerevolmente come dimensioni e come destinatario di
risorse nel bilancio generale. La natura parassitaria delle autorità
nelle due aree era legata alla dipendenza dagli aiuti esterni e dal
trasferimento di fondi, e l’influenza dei capitali privati nelle
loro economie si è accresciuta.

Ci sono stati anche significativi
mutamenti fondamentali nella struttura sociale in Cisgiordania e
nella Striscia di Gaza. Questi mutamenti includono la comparsa di una
classe media relativamente estesa che fornisce di personale le
istituzioni e le agenzie dell’ANP in aree come l’educazione, la
salute, la sicurezza, le finanze e la pubblica amministrazione, così
come nei settori di nuovi servizi, in quelli bancari e nelle molte
ONG che sono state fondate. Intanto la classe lavoratrice si è
ridotta di dimensioni.  

Le disuguaglianze tra
diversi segmenti della società sono aumentate e il tasso di
disoccupazione è rimasto alto, soprattutto tra i giovani ed i
neolaureati.
 

La mentalità
dell’ “impiego pubblico” si è diffusa, sostituendo la forma
mentis del combattente per la libertà. Benché Fatah e Hamas si
autodefiniscano come movimenti di liberazione, sono stati trasformati
in strutture gerarchiche e burocratiche e mirano in buona misura alla
propria sopravvivenza.

Le elite politiche ed economiche non
si vergognano di ostentare i propri privilegi ed il proprio benessere
nonostante continui l’occupazione coloniale repressiva. 

La classe media in Cisgiordania e
nella Striscia di Gaza sa molto bene che i propri standard e stili di
vita sono legati all’esistenza di queste due autorità di
auto-governo. 

Tuttavia la
maggior parte della popolazione rimane sottoposta all’oppressione
ed all’umiliazione da parte delle forze militari israeliane e dei
coloni armati, e non patisce solo per la mancanza di una vita decente
e di un futuro lavorativo, ma anche della mancanza di una qualunque
soluzione nazionale in futuro. 

L’assedio
draconiano di Israele ed Egitto contro Gaza rimane più che mai
pesante, punteggiato di devastanti guerre israeliane, e la pulizia
etnica dei palestinesi da Gerusalemme continua inesorabile, per mezzo
di espulsioni, cancellazione di permessi e una vasta gamma di altre
modalità.

Queste condizioni costituiscono la
premessa per una situazione esplosiva nei territori occupati nel
1967. Però, poiché l’OLP, i partiti politici, il settore privato
e la maggior parte delle organizzazioni della società civile non si
sono mobilitati o non hanno potuto mobilitarsi contro l’occupazione,
gli scontri con le forze di occupazione militare di Israele e
con i coloni nell’”ondata di collera” in corso dall’ottobre
2015 sono rimasti per lo più atti individuali, con caratteristiche
locali, senza una visione unitaria e una dirigenza nazionale.

La disgregazione del campo politico
palestinese ha anche portato ad una crescente oppressione e
discriminazione contro le comunità palestinesi in tutta la Palestina
storica così come nella diaspora. I cittadini palestinesi nella
parte di Palestina che è diventata Israele nel 1948 devono far
fronte a una serie crescente di leggi discriminatorie. 

Anche i rifugiati palestinesi in e da Siria,
Libano, Giordania ed altrove devono affrontare discriminazioni ed
abusi. Soprattutto, lo status della causa palestinese ha conosciuto
un passo indietro nel mondo arabo e a livello internazionale, una
situazione esacerbata dalle guerre interne ed esterne in alcuni Paesi
arabi.

Eppure la cultura fiorisce e
alimenta l’identità nazionale.

palestina_bandiera

Oggi il popolo palestinese non ha né
uno Stato sovrano né un efficace movimento di liberazione nazionale.
Tuttavia c’è un considerevole rafforzamento dell’identità
nazionale palestinese, dovuto in buona parte al ruolo del settore
culturale nel mantenimento e nell’arricchimento della narrazione
palestinese. Il ruolo della cultura per alimentare l’identità ed
il patriottismo palestinesi ha una lunga storia. 

Dopo la
creazione dello Stato di Israele nel 1948 e la sconfitta delle elite
politiche dell’epoca e del movimento nazionale, la minoranza
palestinese in Israele ha sostenuto l’identità nazionale
attraverso un significativo fiorire culturale: poesia, narrativa,
musica e cinema.

Lo scrittore e giornalista palestinese
Ghassan
Kanafani
lo ha colto nel
suo notevole libro sulla letteratura resistenziale palestinese
(al-adab al-mukawim fi filistin al-muhtala 1948-1966 [
Letteratura
della resistenza nella Palestina occupata
.]),
pubblicato a Beirut nel 1968. 

Altre figure letterarie fondamentali
comprendono i poeti
Mahmoud
Darwish
e Samih
Al Qasim
, il sindaco di
Nazareth e poeta
Tawfik
Zayyad
e lo scrittore
Emile Habibi,
sia nelle sue opere, come il “Pessottimista”, che attraverso il
giornale comunista Al-Ittihad, di cui è stato uno dei fondatori.

Negli anni ’50 e ’60, quando gli
israeliani hanno mantenuto i cittadini palestinesi sotto governo
militare, la letteratura, la cultura e le arti sono servite a
rafforzare e proteggere la cultura e l’identità arabe e la
narrazione nazionale palestinese. 

Questi lavori sono stati letti in
tutto il mondo arabo e altrove, e hanno permesso ai rifugiati
palestinesi e agli esiliati di conservare la propria identità
attraverso i continui legami con la cultura e l’identità della
propria patria.

I “palestinesi del 1948”, come
sono spesso definiti nel discorso palestinese, hanno giocato anche un
ruolo nell’informare gli altri palestinesi ed arabi sul modo in cui
l’ideologia sionista modella la politica israeliana e sui
meccanismi di controllo repressivo. 

Molti degli studiosi ed intellettuali palestinesi del ’48
sono approdati nei centri di ricerca palestinesi ed arabi a Beirut, a
Damasco e altrove ed hanno aiutato a sviluppare questa comprensione.

Da allora, soprattutto in periodi di
crisi politica, il settore culturale ha offerto ai palestinesi
maggiori possibilità rispetto alla sfera politica per unirsi in
attività che trascendessero i confini geopolitici con forme e generi
culturali ed ogni sorta di produzione intellettuale.  

Letteratura,
cinema, musica e arte continuano ad essere prodotti
, ed in misura
sempre maggiore, andando da scrittori, registi ed artisti noti in
tutto il mondo fino ai giovani artisti e scrittori di oggi a Gaza, in
Cisgiordania e tra i palestinesi all’estero. 

Tutto ciò viene diffuso in
moltissimi modi, comprese le reti sociali, favorendo e rafforzando i
legami tra palestinesi e tra arabi e l’interazione al di là dei
confini.

La vitalità del patriottismo
palestinese è radicata nella narrazione storica palestinese e si
basa sulle esperienze quotidiane delle comunità che affrontano la
spoliazione, l’occupazione, la discriminazione, l’espulsione e la
guerra. 

E’ forse questa vitalità che porta i giovani
palestinesi, molti dei quali nati dopo gli accordi di Oslo del 1993,
ad affrontare i soldati israeliani ed i coloni in ogni parte della
Palestina storica. 

Ciò spiega anche le grandi folle che partecipano
ai cortei funebri dei giovani palestinesi uccisi dai soldati e dai
coloni israeliani e nella raccolta di fondi per ricostruire le case
demolite dai bulldozer israeliani come punizione collettiva delle
famiglie di quanti sono stati uccisi nell’attuale rivolta
giovanile.

Tuttavia evidenziare l’importanza e
la vitalità del settore culturale non colma l’assenza di un valido
movimento politico, costruito su solide basi democratiche. 

Dobbiamo imparare dalle
lacune delle istituzioni originali del movimento e superarle,
piuttosto che sprecare forze, tempo e risorse per recuperare un
quadro politico disintegrato e decaduto. Dobbiamo anche andare oltre
quei concetti e quelle pratiche che l’esperienza ci ha mostrato
aver fallito, come l’altissimo livello di centralizzazione: le
politiche devono essere affidate al popolo ed alla base.

Dobbiamo anche
salvaguardare la nostra cultura nazionale da concetti ed approcci che
asserviscono le menti, paralizzano il pensiero e il libero arbitrio,
promuovono l’intolleranza, santificano l’ignoranza e nutrono i
miti.
Dovremmo piuttosto favorire i valori di libertà, giustizia e
uguaglianza. Abbiamo bisogno di una visione
totalmente nuova dell’azione politica

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Una tale visione può essere
intravista nel linguaggio che sta prendendo forma tra i gruppi di
giovani e nei rapporti tra le forze politiche palestinesi all’interno
della Linea Verde, che riflettono una profonda coscienza
dell’impossibilità di convivere con il sionismo in quanto
ideologia razzista e regime coloniale di insediamento che
criminalizza la narrazione storica palestinese.

Al cuore di questa emergente coscienza
politica si trova la necessità di coinvolgere le comunità
palestinesi nel processo di discussione, stesura e adozione di
politiche nazionali inclusive: si tratta sia di un loro diritto che
di un loro dovere. 

E’ ugualmente importante riconoscere
il diritto di ogni comunità a definire la propria strategia
nell’affrontare gli specifici problemi che deve affrontare mentre
partecipa all’autodeterminazione di tutto il popolo palestinese.

Costruire un nuovo movimento politico
non sarà facile a causa dei crescenti interessi di fazione e il
timore di principi e pratiche democratici. 

Quindi è necessario incoraggiare iniziative di base
per creare leadership locali, con la più ampia partecipazione
possibile da parte di individui e istituzioni della comunità,
seguendo il promettente esempio dei palestinesi del ’48 nell’
organizzare l’”Alto Comitato di Monitoraggio per i cittadini
arabi di Israele
” per difendere i loro diritti ed interessi, e
dei palestinesi della Cisgiordania e di Gaza nella Prima Intifada. 

Anche il movimento per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le
Sanzioni (BDS)
è un esempio di successo di questo nuovo tipo di
consapevolezza politica e di organizzazione, che riunisce diverse
fazioni politiche, organizzazioni della società civile e sindacati
dietro una visione ed una strategia unitarie.

Qualcuno potrà pensare che questa
discussione è utopica o idealista, ma noi abbiamo disperatamente
bisogno di ideali nell’attuale caos e faziosità distruttiva. 

E abbiamo una
ricca storia di attivismo politico e di creatività culturale a cui
attingere.