General

La stampa sta cercando delle “Molenbeek italiane” che non esistono

di Leonardo Bianchi, Vice, 26 marzo 2016.

Grab da Agorà. Via. 

Da giorni sulla stampa leggiamo di quartieri di tutta Italia apparentemente pieni di terroristi pronti a farsi saltare in aria, simili a “califfati” annidati in periferia ed equiparabili a succursali dell’ISIS in cui “l’esasperata rivendicazione della propria identità culturale” può arrivare “fino alla follia del martirio.”
Se succede, è perché dopo i fatti di martedì i media italiani si sono messi alla ricerca delle nostre Molenbeek, il quartiere di Bruxelles diventato sinonimo di integralismo e assenza di controllo da parte dello stato. Non si tratta di una novità: già dopo gli attentati di Parigi, ad esempio, erano stati mandati in onda servizi come quello de La Gabbia da Tor Pignattara—ossia un’accozzaglia di musichette angoscianti, paranoia ai massimi livelli e vecchie interviste rimasticate. Ma ora, se possibile, si è riusciti a fare di peggio.
Un articolo pubblicato sul Messaggero del 24 marzo 2016—intitolato Quelle Molenbeek italiane dove l’Isis cerca i suoi adepti —cerca di fare una prima mappatura delle “banlieu [sic] d’Italia” dove “il richiamo di Daesh potrebbe diventare una via di fuga,” passando in rassegna i casi di Bologna, Milano e Roma.
A Bologna, i “ghetti” indicati dal Messaggero sono il Navile e San Donato, e per un motivo autoevidente: ci vivono degli stranieri. A Milano, spiccano invece il quartiere Inganni—dove i nuovi Salah Abdeslam avrebbero già fatto crollare i valori immobiliari—e, naturalmente, il “suq” di via Padova. A Roma, infine, i quartieri a rischio sono Tor Sapienza e Centocelle; l’Esquilino, fortunatamente, è fuori pericolo per “la massiccia presenza cinese” che si mescola “a quella di maghrebini e a una fetta della borghesia.”

Per Libero, che su questi argomenti è sempre una garanzia, le nuove Moleenbek sono sostanzialmente tre. La prima è il quartiere Carmine a Brescia, descritto come “il girone più profondo” dell'”inferno islamico,” nonché un “porto di mare” dove “i vecchi artigiani hanno lasciato vetrine a macellai arabi, phone center o negozi di spezie, frutta e verdura gestiti da indiani e pakistani al fianco degli oramai classici kebab.” A un certo punto l’articolista stesso si rende conto di essere andato un po’ troppo in là, tanto da scrivere che il paragone con Molenbeek “è esagerato.”
La seconda è Torino, e in particolare i quartieri di Porta Palazzo e San Salvario. Secondo il titolo di un articolo pubblicato il 25 marzo, la zona “si prepara alla sharia” e “il 55 percento degli immigrati si dice favorevole alla creazione di uno Stato islamico.” In queste strade e vicoli, infatti, convivrebbero “spacciatori, imam e fanatici del jihad,” tutti “culturalmente cementati dalla fede in Allah.” Insomma, secondo Libero non ci sono dubbi: Torino è la patria dei “califfati invisibili.”
La terza Molenbeek che gli investigatori di Libero hanno individuato è Milano nord. La zona, si viene a sapere in un altro articolo, sarebbe sostanzialmente sotto attacco: “l’avanzata musulmana” procede a colpi di “burqa e macellerie halal,”e “le zone occupate” (tra cui la solita via Padova) sono “invalicabili dalle forze dell’ordine.”

Via Padova torna anche nella puntata di Virus andata in onda il 24 marzo. Introdotto dall’angosciante domanda del conduttore Nicola Porro (“Domani, nelle nostre città, che cosa succede?”), il servizio ci proietta subito in medias res: “È questa una delle piccole Molenbeek d’Italia,” dice la voce della presentatrice. Per corroborare la tesi, alla carrellata di immagini segue immancabile il vox populi tra i residenti italiani. Qualche esempio: “Qua gli stranieri siamo noi, non loro”; “loro sono in troppi, abbiamo troppa libertà in Italia;” “siamo in pericolo con ‘sti immigrati, perché in mezzo lì c’è sempre qualche mela marcia;” e “mi fanno un po’ paura, decisamente.”

Grab da Virus. Via

Ecco: il servizio non solo è raffazzonato e pressapochista, ma è scisso dalla situazione effettiva del quartiere. Come abbiamo scritto su VICE, l’area sta vivendo una delicata fase di transizione in cui si intravedono anche degli abbozzi di gentrificazione—basti pensare alla definizione di NoLo (North of Loreto) di cui la stampa ha iniziato a parlare di recente in riferimento alla gentrificazione.
In più, nel video non c’è il minimo accenno alla comunità in senso esteso che vive a via Padova, che è coesa e può contare su molte associazioni di quartiere. Il che è l’esatto contrario della zona allo sbando e in preda a scontri di civiltà evocata da Virus.
I livelli di assurdità toccati con via Padova, tuttavia, impallidiscono di fronte agli approfondimenti su certi quartieri romani. Tanto per fare un esempio, persino il Pigneto è stato indicato come una potenziale Molenbeek—anche se ho qualche dubbio sul fatto che l’ISIS riesca a penetrare nella fitta rete di apericene e brunch che proteggono il quartiere.
Il quartiere più nominato in assoluto, sia rispetto a Roma che al resto d’Italia, è però Tor Pignattara, la cui narrazione esemplifica al meglio la ricerca alle Molenbeek di questi giorni.
Oggi, ad esempio, sul Tempo è stato pubblicato un reportage dalla “Molembeek [sic] d’Italia” pacatamente intitolato “‘Così imparate a uccidere i nostri fratelli'”, mentre il 25 marzo era toccato alle telecamere della trasmissione Agorà (Rai 3) farsi un giro per il quartiere. Sebbene leggermente meno sbracato di quelli de La Gabbia e Virus, il servizioricalca in tutto e per tutto quello che ormai è una specie di format televisivo: ci sono le musiche angoscianti, le interviste agli ultimi italiani, le riprese dei negozi non più italiani e le panoramiche sugli stranieri che camminano per strada.
Ma non solo: intervistando la corrispondente francese di Europe1, nel servizio di Agorà si fa di tutto per tracciare arbitrari parallelismi con le banlieue—come se Tor Pignattara fosse un’enclave staccata dalla città, e non un’area a pochi chilometri dal centro storico; e come se il quartiere non avesse alle spalle una storia ben precisa, che non ha nulla a che spartire con quella delle periferie francesi.

Ma quel che è peggio, sia nel servizio che nei vari articoli, è l’appiattimento del quartiere su tesi preconcette, che non hanno alcun appiglio concreto nella realtà. Per iniziare, negli ultimi due anni le uniche vittime conclamate dell’odio sono stati il pakistano Shahzad Khan—ucciso per strada da un ragazzo italiano—e diversi cittadini del Bangladesh,sistematicamente pestati da un gruppo di neofascisti in quelli che la procura di Roma ha definito “Bangla tour.”
Inoltre, i residenti stessi hanno mostrato più volte di non gradire una certa rappresentazione monolitica che si fa di Tor Pignattara. Lo scorso 4 dicembre il comitato di quartiere di Villa Certosa e l’associazione bangladese Dhuumcatu avevano promosso un incontro volto a “disinnescare la retorica di media stile La Gabbia o Quinta Colonna e rafforzare il dialogo tra abitanti, alla luce di quanto accaduto a Parigi.”
Una settimana dopo—l’11 dicembre 2015—centinaia di persone hanno attraversato le strade del quartiere in una manifestazione indetta dalle comunità musulmane e dal comitato Certosa, per ribadire di essere “accomunati dal quartiere in cui viviamo” e di non voler essere “criminalizzati.”
E proprio l’altro giorno, un post apparso sul gruppo Facebook del CDQ Torpignattara dava conto della rinnovata esasperazione tra gli abitanti. “Stanno fioccando le telefonate delle varie reti televisive che ci contattano per chiederci delle ‘moschee abusive’, ‘dell’islam che governa il quartiere’, del ‘degrado portato dagli immigrati’ etc etc,” si legge nel testo. “Lo diciamo qui pubblicamente: potete andare serenamente a quel paese! Non ci prestiamo al vostro gioco al massacro.”
Chiaramente, nessuno sta dicendo che Tor Pignattara e tutti gli altri gli quartieri citati nel resto dell’articolo non siano attraversati da tensioni sociali e problemi di vario tipo. Tuttavia, l’estrema semplificazione che emerge da questi servizi è scorretta ed estremamente dannosa. E d’altronde, l’immagine della stessa Molenbeek data in questi ultimi mesi non è stata sempre aderente alla realtà.
Come ha scritto Giuliano Santoro—autore di un recente libro, Al palo della morte, proprio su Tor Pignattara—escludere determinate componenti dal racconto del quartiere evidenzia una profonda malafede. Forse sarebbe il caso di descrivere questi quartieri per come sono veramente, con tutte le loro complessità e contraddizioni, e smettere una volta per tutte di andare alla ricerca di inesistenti “Molenbeek d’Italia.”