I Dönmeh: Cripto-Ebrei sotto il Dominio Turco
I dönmeh (convertiti) sono un gruppo che discende dai
discepoli e i seguaci di Sabbatai Zevi, che abbandonò il Giudaismo e
adottò l’Islam nel tardo XXVII secolo. Diffidenti verso i propri vicini
musulmani, se ne stavano in disparte, mantenendo uno stretto riserbo in
merito a tutte le loro pratiche religiose e ai loro comportamenti
quotidiani. La nostra conoscenza dei dönmeh è quindi piuttosto limitata.
Il principale centro dei dönmeh era Salonicco, dove ebbero un
profondo impatto sulla vita sociale ed economica fino al 1924, quando,
in seguito a un trasferimento di popolazione, i dönmeh si stabilirono in
Turchia, principalmente a Istanbul e Smirne. Questa migrazione portò le
loro istituzioni comunitarie al collasso, mentre la progressiva
integrazione nel contesto islamico turco (compresi i matrimoni misti)
diminuì considerevolmente la popolazione dönmeh. Su tale comunità ha
inciso anche l’ostilità delle fazioni ultranazionaliste turche e degli
estremisti islamici.
Dönmeh (convertito; anche apostata, termine dispregiativo) era
l’appellativo comune col quale i turchi musulmani indicavano gli ebrei
fedeli a Sabbatai Zevi, che abbracciarono l’Islam nell’ultima parte del
XVII secolo, imitando la conversione del loro profeta, avvenuta a
Istanbul nel 1666.[1] I dönmeh, da parte loro, preferivano essere chiamati ma’mīnīm
(“credenti” in ebraico), ad indicare la convinzione di aver inaugurato
una nuova setta all’interno dell’Ebraismo, che ne reinterpretava la
parte messianica, insistendo allo stesso tempo sui severi comportamenti
islamici da tenersi in pubblico.
Alla morte di Sabbatai Zevi, nel 1676, la setta constava di circa
duecento famiglie, principalmente a Edirne ma anche a Smirne, Bursa e
altrove. Alcuni dei diretti discendenti dei primi convertiti divennero i
leader della setta, in crescita grazie alle nuove conversioni, in
particolare quella di massa avvenuta a Salonicco nel 1683. Fu allora che
la città divenne il maggior centro dei dönmeh, fino allo scambio di
popolazione fra Turchia e Grecia del 1924 (quando la maggior parte dei
dönmeh di Salonicco furono trasferiti in Turchia insieme agli altri
musulmani). Nel frattempo, la setta era cresciuta e aveva delle proprie
zone d’influenza. I dönmeh di Salonicco mantennero relazioni con l’ampia
comunità ebraica locale; alcuni dei suoi membri simpatizzavano per
loro. In ogni caso, per molti turchi Salonicco cominciò a identificarsi
con dönmeh, a tal punto che in turco “Selânikli” (qualcuno di Salonicco)
iniziò a essere sinonimo di “dönmeh”.
Una Comunità Divisa
Conflitti interni e differenze dottrinali causarono svariate
divisioni fra i dönmeh, a Salonicco come altrove. [2] Gli yakubi furono
inizialmente guidati dal fratellastro di Sabbatai Zevi, Yakub il
Filosofo, alias Querido (“caro” o “amato”), il quale sosteneva di
essere la reincarnazione del defunto messia. Gli izmirli (coloro
provenienti da Izmir, Smirne) affermavano di essere membri o discendenti
della comunità dönmeh originale. Un gruppo che si separò dagli izmirli
intorno al 1700, i karakashi (quelli di Karakash, conosciuti anche con
altri nomi, come i konyoses in lingua judezmo, o giudeo-spagnolo),
furono guidati da Barukhiya Russo (Osman-Baba dopo la sua conversione
all’Islam), il quale, come Yakub il Filosofo, affermava di essere la
reincarnazione di Sabbatai Zevi. Erano più radicali e adottavano una
strategia missionaria, reclutando membri in Germania, Austria e Polonia.
Secondo quanto riportato dal viaggiatore Carsten Niebuhr, sembra che
vivessero in tutto all’incirca seicento famiglie dönmeh a Salonicco nel
1774, cresciute fino a oltre diecimila persone alla fine della Prima
Guerra Mondiale. Inizialmente i gruppi evitavano i matrimoni misti. Gli
ismirli costituivano la fascia più elevata dei dönmeh di Salonicco; fra
loro vi erano facoltosi mercanti e banchieri, insieme a persone di
classe media e intellettuali – insegnanti, giornalisti e avvocati.
Furono i primi ad essere assimilati fra i turchi musulmani alla fine del
XIX secolo. Gli yakubi costituivano la classe media e quella più bassa,
manovalanza di ogni sorta. I karakashi erano principalmente artigiani –
barbieri, calzolai, come anche macellai e custodi.
Vivevano tutti in una particolare zona di Salonicco, fra i quartieri
residenziali dei musulmani e quelli degli ebrei. Avevano le proprie
scuole, i propri circoli, centri sociali e anche le proprie istituzioni
filantropiche. [3] Ogni gruppo aveva il proprio luogo di preghiera,
chiamato kahal, e la propria scuola (con lezioni impartite in
turco), tuttavia il cimitero era comune a tutti i dönmeh. [4] Anche se
celarono prudentemente il segreto della loro identità dönmeh, molti di
quelli di Salonicco erano istruiti e attivi negli affari pubblici, come
descritto nel libro Turkey in My Time (1956) del giornalista dönmeh Ahmed Emin Yalman.
A quel tempo, ogni dönmeh usava due nomi, uno ebraico e uno turco, a
seconda del contesto sociale. Molti comunque mantenevano i loro nomi
sefardici originari. In effetti, d’altronde, gli ebrei li accusavano di
apostasia, [5] mentre i turchi sospettavano che non fossero dei
musulmani pienamente convinti. [6] Entrambe le parti li indicavano come
colpevoli di comportamenti promiscui, come un sistematico scambio di
mogli, [7] ma ciò non è mai stato provato definitivamente.
I dönmeh inizialmente pregavano in ebraico, poi in judezmo o
giudeo-spagnolo, la lingua che adottarono per le loro opere letterarie,
sia religiose che laiche. Fra loro usavano sempre di più il judezmo;
successivamente, durante gli ultimi anni dell’Impero Ottomano e sotto la
Repubblica di Turchia, ricorsero al turco. I loro testi di preghiera
erano minuscoli, per un migliore occultamento.
In questo ed altri contesti, i dönmeh mantenevano uno stretto
riserbo. Di conseguenza, ci è giunta poca informazione riguardo la loro
storia, le dottrine e le loro fortune, in particolare perché molti dei
loro scritti andarono distrutti nel grande incendio di Salonicco del
1917. Tuttavia, alcune informazioni si resero disponibili in seguito
grazie alla loro integrazione nella società turca. [8]
Nonostante le tendenze assimilatrici tardo-imperiali e successive,
durante la repubblica turca, la maggior parte dei dönmeh mantennero i
propri consolidati costumi e le proprie consolidate
credenze. Nuovamente, non potrebbero essere considerati né ebrei
ortodossi (dato che lavoravano durante le festività ebraiche per fare
buona impressione sui turchi musulmani) né dei devoti all’Islam (poiché
circoncidevano i propri figli compiuti gli otto giorni). Sebbene ci sia
ancora della mancanza di chiarezza riguardo la precisa teologia e
ideologia, pare che le loro credenze di base vengano riassunte nei loro
Diciotto Precetti (Ordinanze), attribuiti allo stesso Sabbatai Zevi. Si
azzarderebbe un parallelismo coi Dieci Comandamenti biblici, però sono
in qualche modo ambigui e includono delle istruzioni riguardo la lettura
giornaliera in segreto dei Salmi, il comportamento da tenere con ebrei e
musulmani (“lancia polvere negli occhi dei turchi”) e una forte
proibizione del matrimonio libero. [9]
I Dönmeh nella Turchia Moderna
Precedentemente e durante la Prima Guerra Mondiale, alcuni dönmeh
partecipavano attivamente al radicalismo politico tipico di Salonicco,
in prevalenza nel movimento rivoluzionario Comitato dell’Unione e
Progresso. [10] Mehmet Javid Bey, un discendente di Barukhiya Russo,
raggiunse la posizione di ministro delle finanze durante il regime dei
Giovani Turchi, mentre altri dönmeh ricoprivano importanti funzioni come
attivisti nel movimento ribelle. Ciò era naturale per una setta che era
basicamente rivoluzionaria nella concezione della società – insisteva
sull’eguaglianza fra uomini e donne e nelle proprie scuole applicava
avanzati metodi pedagogici – e progressista nell’adottare la moderna
architettura e moda europea.
Alcuni dönmeh abbandonarono i Balcani per la Turchia dopo le Guerre
dei Balcani del 1912-1913, quando l’Impero Ottomano perse alcuni
territori. In seguito, tuttavia, i quadri istituzionali dei dönmeh di
Salonicco furono distrutti dal trasferimento della popolazione in
Turchia nel 1924, quando vennero considerati musulmani da entrambe le
parti coinvolte nell’operazione. Furono divisi in comunità isolate e
separate; sopravvissero ad Istanbul e Smirne, ma rimasero di ampiezza e
impatto trascurabile ad Ankara, Edirne, Konya e altrove.
La Repubblica di Turchia, nata nel 1923, era considerata dai propri
fondatori come una struttura monolitica. Si propugnava l’omogeneità in
ogni ambito: la laicità una volta per tutte, [11] un’educazione
focalizzata sulla Turchia, l’uso generale del turco nelle scuole, in
politica, nella vita sociale e, naturalmente, nell’attività culturale.
Mustafa Kemal e i suoi consiglieri consideravano la modernità come un
rifiuto dell’eredità multiculturale dell’Impero Ottomano.
Tuttavia, coloro che plasmavano l’opinione pubblica ebbero qualche
problema, almeno all’inizio, nel trovare una consensuale definizione di
identità turca. Le minoranze etniche e religiose della repubblica
supportavano incondizionatamente le misure governative a promozione
della società civile, e i dönmeh erano impegnati sostenitori del
secolarismo. [12] Ad ogni modo, molti turchi erano meno pronti a
superare le differenze esistenti, bensì erano maggiormente inclini ad
adottare un approccio di esclusione delle minoranze. Sebbene tutti i
portatori di documenti d’identità della repubblica fossero ufficialmente
considerati turchi, non erano pochi coloro che avanzavano delle
riserve: prima considerando l’appartenenza religiosa quale criterio di
turchicità, poi, quando ciò cominciò a far meno presa, concentrandosi
sugli aspetti razziali (in certi casi sotto l’influenza della propaganda
nazista, durante gli anni Trenta e Quaranta e in parte anche dopo).
Sospetti e Discriminazione
Sebbene i turchi fossero ben abituati alle minoranze stabilitesi da
lungo tempo, come greci, armeni ed ebrei, erano invece meno convinti
riguardo ai dönmeh che si trasferirono in Turchia nel 1924. Ciò non
solamente perché i dönmeh volevano divulgare ben poche informazioni su
di loro, una reticenza che, forse giustamente, veniva considerata
sospetta. Era invece un riflesso dei sospetti che i turchi provavano nei
confronti dei gruppi chiusi e di natura cosmopolita, come i massoni, i
quali non erano ben visti nel tardo impero e furono banditi durante il
primo periodo repubblicano. [13]
In verità, i turchi che ancora consideravano molto importante l’Islam
sospettavano che i dönmeh avessero finto la loro conversione e che non
fossero né musulmani né ebrei. In quanto alle minoranze, molti musulmani
turchi, coinvolti nella creazione di una nazione etnolinguistica,
sentivano che coloro nati fuori dalla genealogia della maggioranza non
avessero il diritto di venire accettati come cittadini al pari di loro e
dovessero essere esclusi dagli affari politici. [14] In tale contesto,
dal carattere prevalente in alcuni cerchie, non risulta forse
sorprendente che la varlık vergisi, l’iniqua tassa di guerra sui
capitali imposta in Turchia dal 1942 al 1944, discriminasse i dönmeh,
richiedendo loro dei tributi di importo compreso fra quello dei
musulmani, che pagavano meno, e quello degli ebrei, coloro che pagavano
di più. [15]
Ciò pare indicare che gli argomenti di accusa contro i dönmeh
riguardo la loro identità non-turca ebbero maggior peso della difesa di
coloro che sostenevano la loro causa, affermando come i dönmeh fossero
parte integrante dell’identità nazionale laica della Turchia. Le
calunnie espresse contro i dönmeh, a volte estremamente violente ed
inverosimili, assunsero progressivamente le sembianze di un
antisemitismo importato dall’Europa, come recentemente proposto da
Bernard Lewis. [16]
Nell’Impero Ottomano e nella Repubblica di Turchia, l’antisemitismo
non era molto diffuso, ma generalmente sostenuto da frange minoritarie.
[17] In epoca repubblicana era principalmente espressione dei portavoce
delle destra ultranazionalista militante e degli estremisti islamici,
elementi le cui attività politiche crebbero terribilmente a partire dai
primi anni Settanta. [18] Questi identificavano i dönmeh come degli
estranei in Turchia, mentre i dönmeh lottavano per essere considerati
degli autoctoni.
Le pubblicazioni anti-dönmeh (inclusi degli scritti degli stessi
dönmeh, [19] alcuni autentici altri fasulli) hanno influito sulla
comunità, nonostante la tendenza di non pochi dei loro membri verso
l’integrazione, persino con l’apertura al matrimonio misto con i
musulmani. Le campagne anti-dönmeh sono state oggetto di studio [20] e
alcuni fattori aiuteranno a spiegarne le conseguenze, ossia la
disgregazione della comunità in cellule individuali, la cosa migliore
per celarsi alla vista.
I nazionalisti estremi accusarono i dönmeh di aver preso le redini
dell’azione dei Giovani Turchi a Salonicco (un’affermazione molto
esagerata), contribuendo così al collasso dell’Impero Ottomano e alla
distruzione delle sue tradizioni. Gli islamisti li accusarono non solo
di essere ancora dei cripto-ebrei piuttosto che dei musulmani, ma anche
di sopprimere il Califfato e di tramare per l’introduzione della
laicità, causando così il declino dell’Islam in Turchia. Entrambi i
gruppi (e anche altri) accusarono i dönmeh di far parte – o anche di
orchestrare – una cospirazione globale per occidentalizzare la Turchia e
di essere in combutta con i comunisti ed altri elementi sovversivi per
dominare la Turchia e il mondo. Alcuni di questi argomenti vennero usati
anche contro gli ebrei, rendendo sia loro che i dönmeh apparentemente
colpevoli degli stessi misfatti. Un esempio è la pretesa che ebrei e
dönmeh fossero i principali responsabili della tragedia armena del 1915.
Visioni Ostili dei Dönmeh
Un dibattito riguardo i dönmeh e la loro vera natura cominciò nel
1919, per poi continuare negli anni Venti durante la repubblica,
principalmente sulla stampa turca ed alcuni volantini. [21] Si sosteneva
che i dönmeh fossero rimasti ebrei nell’aspetto esteriore e nelle
caratteristiche innate, cioè l’essere principalmente duplici, avere vane
superstizioni e pratiche sessuali inaccettabili. Vennero accusati di
minacciare economicamente e politicamente la repubblica. In tali
scritti, una presunta cospirazione malvagia da parte di dönmeh, ebrei,
massoni e comunisti venne ripetutamente presentata come una coalizione
anti-turca. In origine, ciò venne espresso principalmente su giornali e
periodici, ma a partire dagli anni Settanta non furono pochi i libri
scritti sui dönmeh. Spesso ripetevano i primi e spesso ostili argomenti.
Uno dei rari casi di monografia che tenta un maggiore bilanciamento è Belgelerle Türkiye’de dönmeler ve dönmelik
(Dönmeh e Dönmeh-simo in Turchia, con Documenti) di Selahattin Galip.
[22] La bibliografia, lunga una pagina, elenca opere in varie lingue.
Metà del libro (80 pagine su 155) riguarda Sabbatai Zevi, che Galip
chiama ripetutamente “falso messia” (48, 55) e, peggio ancora, “falso
musulmano” (76). Il resto è incentrato sui dönmeh di Salonicco, i loro
raggruppamenti principali, le usanze, il trasferimento in Turchia del
1924 e il loro percorso d’integrazione, tuttavia si parla molto poco dei
dönmeh sotto la Repubblica Turca. In altre parole, dato che è
principalmente un resoconto storico piuttosto che una descrizione legata
al tempo presente dell’autore, Galip può permettersi di essere meno
fazioso contro i dönmeh.
Tuttavia, non avviene la stessa cosa nelle molte altre pubblicazioni turche sul loro conto. L’opera di Abdurrahman Küçük Dönmeler ve dönmelik tarihi
(Dönmeh e la Storia del Dönmeh-simo) [23] è più lunga di quella di
Galip e prende una posizione definitiva contro i dönmeh così come contro
gli ebrei, i massoni e i sionisti. È una riscrittura della tesi
discussa da Küçük alla Facoltà di Teologia dell’Università di Ankara. Il
suo mentore non era altri che Hikmet Tanyu, il quale a Gerusalemme,
negli anni Cinquanta, studiò l’ebraico frequentando un ulpan (genere di corso breve, ma intensivo). Sulla base di tali esigue basi linguistiche, scrisse un virulento libro di 1348 pagine, Tarih boyunca Yahudiler ve Türkler
(Ebrei e Turchi attraverso la Storia), nel quale non vi è singola
pagina che non contenga errori di fatto o di comprensione, oppure
entrambi. (l’ulpan non è adatto nel preparare lo studente alla lettura dei testi classici ebraici).
Nonostante ciò, Tanyu divenne professore della Facoltà di Teologia e
successivamente il suo decano; anche Küçük ne divenne professore.
Entrambi erano membri attivi del Partito del Movimento Nazionalista, un
raggruppamento di estrema destra i cui leader predicavano il razzismo
turco. [24] La Ötüken Press, che pubblicò il libro di Küçük, a quel
tempo era strettamente legata al partito.
Dopo una lunga esposizione (non priva di errori) della storia
ebraica, Küçük tratta di Sabbatai Zevi, della sua carriera e poi dei
dönmeh, che accusa ripetutamente di restare degli ebrei. Come in altre
opere apparse ripetutamente in Turchia, egli tratta dei gruppi
sabbatiani e delle credenze e costumi dei dönmeh, poi del loro supposto
ampio ruolo nella rivoluzione dei Giovani Turchi, dedicando solamente
poche pagine (227-60) ai tempi recenti. Anche qui Küçük mette insieme,
senza alcuna analisi seria, una serie di citazioni prese da diverse
fonti, principalmente la stampa turca, nell’intento di presentare i
dönmeh – insieme agli ebrei – sotto la più cattiva delle luci. Furono
accusati, senza alcuna prova solida, di rubare ai turchi, di essere
ostili alla Turchia e di prendere il controllo della nazione. Il quadro
generale è quello di una minoranza disonesta e ingrata, con molte
caratteristiche malvagie.
L’opera di Yesevizade (pseudonimo di Şükrü Alparslan Yasa) Yahudilik ve Dönmeler (Ebrei e Dönmeh) [25] è parte di una serie di volumi con titoli come Yahudilik ve masonluk (Ebrei e Massoneria), Masonluk ve Kapitalizm (Massoneria e Capitalismo) e Şeytanın dini masonluk
(Massoneria: la Religione di Satana), tutti pubblicati tra la fine
degli anni Ottanta e i primi Novanta. Le 501 pagine del libro di
Yesevizade sono un groviglio di attacchi antisemiti e anti-dönmeh della
peggior specie, accompagnati da foto tendenziose provenienti da varie
fonti, in modo da supportare le accuse dell’autore.
Queste sono volte a “provare” che molti politici e uomini d’affari,
in Turchia come altrove, sono effettivamente ebrei o dönmeh, parte di un
generale programma (insieme ai massoni) di dominio del mondo. In tutto
ciò Yesevizade segue sia le orme di Tanyu, al cui libro dedica un intero
capitolo (35-73), che quelle di Küçük e di altri. Per convincere il
lettore, Yesevizade fotocopiò numerosi testi da vari libri e giornali
turchi, senza fermarsi a pensare se le informazioni fornite fossero
affidabili. Nella maggior parte dei casi, infatti, erano mendaci – come
sicuramente nel capitolo 8 (277-374), che si focalizza sui dönmeh ma,
nuovamente, mischiando il tutto con calunnie anti-ebraiche e
anti-massoniche.
Dopo poco tempo causarono trambusto una serie di articoli di Ilgaz
Zorlu, seguiti da un libro di 174 pagine che ne riproponeva alcuni.
Zorlu affermava di essere un dönmeh; in ogni caso fu creduto tale e i
suoi scritti vennero ampiamente citati, spesso con interpretazioni.
Sotto al titolo Evet, ben Selanikliyim (Sì, sono uno di
Salonicco), [26] gli articoli raccolti ricadono in tre categorie: la
storia del Sabbatismo, le credenze dei dönmeh e altre questioni. Le
opere di Zorlu vennero prese come delle confessioni di un dönmeh,
nonostante i numerosi errori non solo di tipo fattuale e l’assenza di
commento critico. [27] Un esempio è la sua affermazione secondo cui in
Turchia vivrebbero centomila persone di origine dönmeh (146), cifra
altamente gonfiata. Il suo approccio non erudito potrebbe aver gettato
benzina sul fuoco della controversia riguardo al libro, nella quale gli
stessi dönmeh non presero alcuna parte attiva, probabilmente aspettando
che il fervore pubblico scemasse.
Le acute ricerche condotte da Rıfat N. Bali e Paul F. Bessemer [28]
offrono maggiori informazioni riguardo a certe attitudini dei musulmani
turchi nei confronti dei dönmeh negli anni recenti. Un altro libro
interessante è apparso nel 2004 ad opera di Toksöz B. Karasu, un ebreo
settantunenne nato vicino a Erzurum e formato a Yale, dove adesso è a
capo del Dipartimento di Psicologia. Il suo romanzo del 2004, Yahudi Efendi
(Il Signor Ebreo), [29] è in parte basato sulla carriera del suo famoso
antenato Emmanuel Carasso, massone e importante attivista dönmeh,
leader del Comitato dell’Unione e Progresso a Salonicco. Fra altre cose,
l’opera è di interesse perché tratta apertamente dell’ostilità nei
confronti dei dönmeh e degli ebrei.
Conclusione
Grazie al lavoro di ricerca di Gershom Scholem, Rıfat Bali, Marc
David Baer, Paul F. Bessemer, Jacob Barnai e altri, si ha una maggiore
conoscenza della storia e delle tradizioni dönmeh che del loro status
attuale e delle loro attività sociali, economiche e culturali (almeno a
partire dal loro trasferimento in Turchia del 1924). Sebbene alcune
ricerche serie siano state pubblicate in Occidente e, meno
frequentemente, in Turchia, [30] ciò che si sa è spesso inaffidabile ed è
contenuto principalmente negli scritti in turco dei non-dönmeh, molti
dei quali non eruditi e faziosi. Anche le poche pubblicazioni dönmeh
disponibili dicono poco di nuovo, eccetto alcune indicazioni
folkloristiche. [31] Risulta imperativo un attento sforzo – da parte
degli stessi dönmeh o, in alternativa, da parte di altri – per salvare e
registrare ogni informazione disponibile prima che questa comunità
passi all’oblio della storia.
1. Sulla conversione di Sabbatai Tsevi, vedi Geoffrey L. Lewis e Cecil Roth, “New Light on the Apostasy of Sabbatai Zevi,” Jewish Quarterly Review,
vol. 53 (1962-1963): 219-25; Marc David Baer, “Messiah or Rebel? Jewish
and Ottoman Reactions to Sabbatai Sevi’s Arrival in Istanbul,” Kabbalah, vol. 9 (2003): 153-79. Sulla carriera di Sabbatai Tsevi gli studi di Gershom Scholem sono ancora validi; vedi la sua opera Sabbatai Sevi: The Mystical Messiah
(Princeton: Princeton University Press, 1971) e anche quella di Nikos
Stavroulakis intitolata “Shabbetai Zevi and the Dönme of Tessaloniki,” Forum on the Jewish People, Zionism and Israel, Vol. 53 (autunno 1984): 103-14. Vedi inoltre Avram Galante, Histoire des Juifs de Turquie, Vol. 8 (Istanbul: Editions Isis, 1985), 167-292 [in lingua francese]; Matt Goldish, The Sabbatean Prophets (Cambridge: Harvard University Press, 2004).
2. Details in Harris Lenowitz, “Leaving Turkey: The Dönme Comes to Poland,” Kabbalah, vol. 8 (2003): 73-79.
3. François Georgeon, “Selanik musulmane et deunmè,” in Gilles Veinstein, ed., Salonique 1850-1918 (Parigi: Autrement, 1992), esp. 115-18. [in lingua francese]
4. Jacob Barnai, Shabbeta’ut: heybetīm hevratiyim (Gerusalemme: Zalman Shazar Center, 2000). [in lingua ebraica]
5. Jacob Barnai, “Shetey te‘udot le-toledot ha-shabbeta’ut be-Tūnis w-ve-Izmir,” Zion, Vol. 52 (1987): 191-94. [in lingua ebraica]
6. Vedi qui di seguito per ulteriori spiegazioni.
7. Yitzchak Kerem, “The Deunmeh: From Catholicism to Judaism to Islam,” in Charles Meyers and Norman Simms, eds., Troubled Souls (Hamilton, New Zealand: Outrigger, 2001), esp. 156-60.
8. Sugli scritti trasmessi fino ad oggi e poi analizzati dai ricercatori, vedi Aron Freimann, ‘Inyeney Shabbetai Sevi (Berlin: Itzkowski, [1912]) [Hebrew]; Moshe Atias, Sefer shirot we-tishbahot shel ha-Shabbeta’im
(Tel Aviv: Dvir, 1947) [Hebrew]; Gershom Scholem, “The Sprouting of the
Horn of the Son of David: A New Source from the Beginnings of the
Doenme Sect in Salonica,” in D. S. Silver, ed., In the Time of Harvest (New York: Macmillan, 1963), esp. 368-74.
9. Haïm-Vidal Sephiha, “Les Deunmeh, ces ‘marranos’ de l’empire Ottoman et de la Turquie: Leurs ordonnances,” Yod Revue des Etudes Hébraïques et Juives Modernes et Contemporaines, vol. 20 (1984): 57-72. [in lingua francese]
10. M. Şükrü Hanioğlu, “Jews in the Young Turk Movement,” in Avigdor Levy, ed., The Jews of the Ottoman Empire (Princeton, NJ: Darwin Press, 1994), 522.
11. Jacob M. Landau, “Islamism and Secularism: The Turkish Case,” in Shlomo Morag et al., eds., Studies in Judaism and Islam Presented to Shelomo Dov Goitein (Gerusalemme: Magnes Press, 1981), 361-82.
12. Alcuni ricercatori hanno sostenuto che tra i dönmes vi era sempre
un’empatia del tutto particolare nei confronti del secolarismo. Vedi
Avrum Ehrlich, “Sabbatean Messianism as Proto-Secularism,” in Mehmet
Tütüncü, ed., Turkish-Jewish Encounters (Haarlem: SOTA, 2001,
esp. 293-94). Per una discussione più dettagliata, vedi Marc Baer, “The
Double Bind of Race and Religion: The Conversion of the Dönme to Turkish
Secular Nationalism,” Comparative Studies in Society and History, vol. 46, No. 4 (2004): 682-708.
13. Jacob M. Landau, “Muslim Opposition to Freemasonry,” Die Welt des Islams, vol. 36, no. 2 (1996): 186-203; idem, “Farmāsūniyya,” Encyclopaedia of Islam, 2nd ed. vol. 12 (Supplemento), 296-29 e bibliografia.
14. Jacob M. Landau, Politics and Islam: The National Salvation Party in Turkey, Research Monographs, no. 5 (Salt Lake City: Middle East Center, University of Utah, 1976).
15. Rıfat N. Bali, The “Varlık Vergisi” Affair: A Study of Its Legacy, Selected Documents (Istanbul: Isis Press, 2005) e la bibliografia citata.
16. Bernard Lewis, “The New Anti-Semitism: First Religion, then Peace, then What?” The American Scholar,
vol. 75, No. 1 (2006): 25-36. Le sue osservazioni riguardano l’ambiente
arabo, ma alcune potrebbero anche essere applicare alla Turchia.
17. Jacob M. Landau, “Muslim Turkish Attitudes towards Jews, Zionism and Israel,” Die Welt des Islams, n.s., vol. 28 (1988): 291-300.
18. Jacob M. Landau, Radical Politics in Modern Turkey (Leiden: Brill, 1974).
19. Such as Leyla Neyzi, “Remembering to Forget: Sabbateanism, National Identity, and Subjectivity in Turkey,” Comparative Studies in Society and History, vol. 44, No. 1 (2002): 137-58.
20. I racconti più ampi racconti: Rıfat N. Bali, “Another Enemy: The Dönme or Crypto-Jews,” Kabbalah, Vol. 9 (2003): 77-108; Bali, “What Is Efendi Telling Us?” Kabbalah, vol. 13 (2005): 109-39; Paul F. Bessemer, “Who Is a Crypto-Jew? A Historical Survey of the Sabbatean Debate in Turkey,” Kabbalah, vol. 9 (2003): 109-52; Bessemer, “Recent Turkish Works on the Dönmes,” Kabbalah, vol. 13 (2005): 141-55.
21. Details in Bessemer, “Who Is a Crypto-Jew?” 113-24.
22. Selahattin Galip, Belgelerle Türkiye’de dönmeler ve dönmelik (Istanbul: Kıraçlı Yayınları, 1977). [in lingua turca]
23. Abdurrahman Küçük, Dönmeler ve dönmelik tarihi (Istanbul: Ötüken, 1990). [in lingua turca]
24. Jacob M. Landau, “The Nationalist Action Party in Turkey,” Journal of Contemporary History, vol. 17, no. 4 (1982): 589-605.
25. Yesevizade, Yahudilik ve Dönmeler (Istanbul: Araştırma Yayınları, n.d. [1994?]). [edizione in lingua turca]
26. Ilgaz Zorlu, Evet, ben Selanikliyim (Istanbul: Belge
Yayınları, 1998) [edizione in lingua turca]; diverse edizioni seguirono.
Vedi la recensione di Giacomo Saban in Kabbalah, vol. 4 (1999): 207-23.
27. Dettagli in Bessemer, “Who Is a Crypto-Jew?” 142-148.
28. Bali, “What Is Efendi Telling Us?”; Bessemer, “Recent Turkish Works”, 141-55.
29. Rivisto ad una certa lunghezza in Gündem, 7-13 settembre 2006, 70-74.
30. Vedi un’edizione speciale di Tarih ve Toplum, vol. 223 (2002).
31. Vedi un’intervista con Fatma Arıg, una donna dönmeh, in Neyzi, “Remembering”.
Il DR. JACOB M. LANDAU è professore emerito di scienze politiche
all’Università Ebraica di Gerusalemme e membro della JCPA. Nel 2005 è
stato omaggiato del prestigioso Premio Israele per la sua ricerca
focalizzata sulla storia, le politiche e la cultura del moderno Medio
Oriente. Ha pubblicato ventidue libri (tradotti in nove lingue) e
numerosi articoli su testate accademiche. Il suo libro più recente è Exploring Ottoman and Turkish History (Londra: Christopher Hurst, 2004).
– See more at: http://jcpa.org/article/the-donmes-crypto-jews-under-turkish-rule/#sthash.Bv6j778R.dpuf
Sabbataï richiamava le donne alla lettura della Torah e richiedeva un
cambiamento radicale del rapporto tra i sessi. Richiedeva l’uguaglianza
tra donne e uomini. Diceva di essere venuto per liberare le donne e gli
uomini dal peccato di Adamo ed Eva. Ovviamente si trattava di parole
rivoluzionarie per un ebreo del 17esimo secolo a Smyrna, durante
l’Impero Ottomano. Allo stesso tempo Sabbatai dichiarava di voler
liberare la donna musulmana oppressa dal proprio marito. Forse fu
proprio questa motivazione rivoluzionaria a indurre Sabbatai a sposare
una donna di cattiva reputazione, Sarah, la prostituta. Sognava di una
riparazione del peccato di Adamo per ridare alla donna la sua libertà
originaria. Sabbataï sembra essere stato il primo a desiderare
l’emancipazione femminile, anche se non riusciva a darle una forma e un
contenuto ben definiti.
Per ulteriori informazioni, vedi: