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Chiara Giorgi sull’integrazione dei bambini con handicap: per un’apertura mentale ed emotiva


di Milena Rampoldi, ProMosaik e.V. – Una bellissima intervista con l’educatrice e insegnante Chiara Giorgi. Avevamo presentato la sua relazione tempo fa e sono molto contenta che Chiara sia stata disponibile per un’intervista con noi. Vorrei sottolineare l’importanza della tolleranza nei confronti dei bambini con handicap per educare le persone all’accettazione delle differenze e dei punti forti di queste persone “diverse”.
Milena Rampoldi: Per ProMosaik
l’educazione alla tolleranza non riguarda solo le diverse culture, etnie e
religioni, ma anche la tolleranza e l’empatia nei confronti delle persone con
handicap. Quali sono secondo Lei le strategie più importanti per promuovere la
tolleranza e l’inclusione dei bambini con handicap nella nostra società?

Chiara Giorgi: La cosa piú importante per promuovere la tolleranza e
l´inclusione dei bambini diversamente abili (é in corso da anni una lunga
diatriba sulla terminologia da utilizzare al riguardo e questo é l´ultimo
termine scelto per designare le persone con handicap) é che essi vivano ogni
giorno a stretto contatto con i bambini “normodotati”: che dividano
il banco, la classe, la scuola, i gruppi di gioco; che partecipino tutti
insieme alle attivitá extrascolastiche. La disabilitá deve essere la normalitá,
perché siamo tutti diversi e piú o meno capaci. “Il mondo é bello perché é
vario”, cosí mi ripeteva sempre mia nonna e questa é stata una frase che
ha guidato la mia vita. Per quanto mi riguarda, sono stata sempre a contatto
con la disabilitá fin da bambina, quando mia mamma insegnava nelle scuola
differenziali e organizzava delle gite a cui partecipavamo anche io e mia
sorella, che non ci siamo mai accorte della differenza tra noi e
“loro”. Forse perché mia mamma non ci ha mai parlato dei suoi alunni
come degli “handicappati”, ma li ha sempre chiamati per nome e
trattati come noi. E’ dalla famiglia e poi dalla scuola e poi dalla societá che
i bambini e i ragazzi imparano a includere o a discriminare. 

Me ne rendo conto soprattutto qui in Germania, dove esistono ancora
le scuole differenziali e le classi speciali; dove i bambini diversamente abili
seguono un percorso scolastico, che poi diverrá lavorativo (nelle industrie per
lavoratori disabili) ghettizzato, ai margini della societá.

Alle famiglie e agli insegnanti tedeschi tutto ció sembra
naturale, mentre a noi italiani, per fortuna, ci fa inorridire.

MR: Come lottare
contro la meritocrazia ed affermare la differenza come forza e l’handicap come
risorsa per gli altri?
CG: Non credo che si debba lottare tanto contro la meritocrazia,
intesa come riconoscimento del merito degli indiviudui, tanto quanto
contro i pregiudizi e la separazione della societá e degli individui in due
gruppi: normali e anormali, tra coloro che hanno successo e “i
perdenti”. In tal senso, non basta avere sulla carta delle leggi che
tutelino l´integrazione scolastica e sociale: bisogna saperla mettere in atto.
Faccio un esempio: ho lavorato per otto anni con un bambino autistico e, dopo
un anno e mezzo di lavoro con lui, sono riuscita a portarlo fisicamente in
classe con gli altri, mentre frequentava le elementari. Quando l´ho
accompagnato alle medie ed ho continuato a stare in classe con lui per buona
parte delle lezioni, alcuni professori ci vedevano come elemento di disturbo,
perché in effetti lo eravamo, ma i compagni mi hanno aiutata a costruire per
lui dei materiali didattici per aiutarlo durante le lezioni. Forse in quel
momento i ragazzi sono stati distratti dalla lezione ufficiale; ma hanno fatto
molto di piú che apprendere passivamente: sono diventati insegnanti a loro
volta e a loro insaputa; si sono messi nei panni del loro compagno “piú
debole” e hanno pensato a come aiutarlo, mettendo in atto delle strategie
meta-cognitive. Non serve a niente dire che in una scuola si fa integrazione se
i disabili vengono chiusi fuori dalle classi normali e relegati nelle aule di
sostegno con i loro educatori, perché é solo stando vicini ogni giorno che la
disabilitá puó divenire forza e risorsa per gli altri.

MR: Come favorire
l’inclusione dei bambini con handicap con il cinema?

CG: Il linguaggio cinematografico puó essere uno strumento molto
potente per avvicinare realtá a prima vista distanti: é un linguaggio immediato
e fruibile da tutti; in piú é pervasivo nelle nostre vite.  Il mio collega
Matteo Pieri ed io abbiamo fatto diventare il fare cinema strumento di
integrazione, quando abbiamo deciso di fare film con un bambino diversamente
abile e la sua classe.  I film che giravamo erano muti (con musica e
cartelli, come i vecchi film in bianco e nero) e i bambini dovevano
improvvisare le scene, pur sapendo che cosa avrebbero dovuto fare; ció ha
favorito la loro spontaneitá e il lavoro con il compagno disabile, che non
sapeva parlare, ma che possedeva una mimica e una gestualitá straordinarie. E´
stato un progetto che ha visto coinvolti tutti i bambini, sullo stesso livello,
perché era la prima volta per tutti. La fatica e il divertimento che hanno
caratterizzato tutte le fasi di lavorazione del film (scrittura della
sceneggiatura, preparazione delle scenografie e dei costumi, montaggio) e
l´emozione di vedersi sul grande schermo ha unito i bambini in modo profondo.
Inoltre, il poter compiere un´esperienza del genere grazie proprio alla presenza
di un bambino diversamente abile in classe, non puó che portare a vederlo come
una risorsa per scoprire nuovi linguaggi e abilitá.

MR: Come educare gli
adulti all’accettazione dei bambini con handicap come risorsa nelle scuole?

CG: In quelle scuole in cui prevale la logica del voto, delle prove
Invalsi e l´ansia per l´attuazione del tanto temuto programma scolastico, é
molto difficile far capire ai genitori e agli insegnanti che i bambini
diversamente abili sono una risorsa preziosa per la classe e per la scuola.
Sono una sfida per gli insegnanti: costringono a uscire dalle vie ufficiali della
trasmissione del sapere per fartene costruire di nuove; ti impogono di essere
creativo, invece che ripetitivo. Per educare gli adulti all´accettazione forse
potrebbero essere utili corsi di aggiornamento o incontri che abbiano per tema
la disabilitá e l´integrazione, fornendo esempi pratici di realtá educative e
di progetti che funzionano. In fondo é solo l´ignoranza, cioé il non sapere,
che puó portare le persone a non rendersi conto di quanto sia importante la
convivenza con la disabilitá.

MR: Che cosa possono
imparare gli altri bambini dai bambini con handicap?

CG: Come ho giá detto, i bambini “normali” possono
imparare moltissimo dai loro compagni diversamente abili: possono sviluppare
l´empatia e la solidarietá,la comprensione e la compassione; possono imparare a
mettere in atto strategie meta-cognitive, che vanno al di lá del semplice
apprendimento passivo e mnemonico di nozioni, ma che propongono soluzioni
pratiche di problemi. La cosa piú importante che potranno sviluppare, comunque,
é l´apertura mentale ed emotiva. 

Oltre ad essere educatrice e maestra sono anche madre di un
bambino di cinque anni, quindi come genitore e insegnante vi chiedo: c´é
qualcosa di piú importante da auspicarsi per i propri figli o alunni?

CG: Quali sono gli
ostacoli più importanti nel lavoro degli insegnanti che si occupano di bambini
con handicap?

MR: Tra gli ostacoli piú grandi che ci si trovano di fronte quando
si lavora con la disabilitá, tra barriere architettoniche  e mentali, ci
sono quelli burocratici, ovvero l´insieme di norme e cavilli che ti impediscono
di fare le cose e che ti legano mani e piedi.

Il mio collega Matteo Pieri ed io abbiamo avuto la fortuna di
lavorare alla scuola Longhena di Bologna: una scuola aperta e innovativa. Noi
eravamo due semplici educatori che hanno proposto un progetto che avrebbe
coinvolto anche bambini di cui non ci saremmo dovuti occupare, in luoghi e
orari in cui non avremmo dovuto essere presenti, perché “se fosse successo
qualcosa, allora le responsabilitá, ecc…”; é stato solo grazie al non
doverci preoccupare di alcuni regolamenti che abbiamo potuto fare il nostro
lavoro. E´ stato grazie alle maestre che ci hanno dato “carta bianca”
e piena fiducia e che hanno deciso di mettersi da parte per farci agire, che ci
hanno lasciato le loro ore utili a “svolgere il Programma”, che ci
hanno messo a disposizione lunghi intervalli per girare le scene… Solo grazie
al complice “raggiro” di ostacoli burocratici, siamo riusciti ad
attuare un vero progetto di integrazione che ha portato al raggiungimento di
obiettivi importanti per tutti i bambini.