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ISLAM E LA VIOLENZA: UN BINOMIO DA SFATARE.

Islam e violenza: il convegno dà voce ai rappresentanti della comunità islamica. Nella foto: la moderatrice Tiziana Ciavardini con l’Imam, Hujjatulislam Abulfazl Emami.
In PIU CULTURE, 25 gennaio 2016.
“Forse sarebbe meglio l’Islam o la violenza”, osserva Omar Camiletti del Centro Culturale Islamico della Grande Moschea di Roma, nel dibattito sul collegamento ormai comune tra Islam e violenza.  Come l’Islam si pone rispetto a questo problema?
A questa domanda ha cercato di rispondere il Convegno l’Islam e la violenza, precisazioni necessarie, tenutosisabato 23 gennaio, alle 15,  nella sala della Biblioteca “Francesco Cossiga e Guido De Marco”della Link Campus University, ideato dal Centro Studi Internazionale “Dimore della Sapienza”  in collaborazione con la Link Campus University.
Al convegno sono intervenuti intellettuali, giornalisti e rappresentanti della comunità islamica, sia sciita che sunnita, ha moderato Tiziana Ciavardini, giornalista e antropologa. Un’occasione importante di dibattito con i rappresentanti di questa religione attorno alla quale ruotano tanti stereotipi e paure, dovuti all’ignoranza rispetto alle vere fonti di conoscenza dell’Islam. “L’aspetto religioso spesso viene strumentalizzato per i conflitti di potere, per scopi politici e/o economici, per evidenziare contrapposizioni che spesso hanno poco a che vedere con la religione”, spiega Mario Polia, archeologo e antropologo nonché studioso delle religioni, che ha lavorato a contatto diretto con i musulmani. “Soltanto convivendo con un popolo si conosce la sua cultura”. Egli sottolinea che dell’Islam è stato tralasciato l’aspetto spirituale, come il concetto di Dio padre, della misericordia, della fede vissuta e non imposta. Quello che succede oggi è una sorte di “dividi et impera“, si gode delle opposizioni religiose per dividere, creare conflitti per scopi di potere. Non bisogna collaborare in questo, ma dare l’esempio vivente che lavorare insieme per il bene comune, conservando ognuno la propria specificità culturale, è possibile. Questa è l’essenza del dialogo inter religioso: ognuno con la propria religione deve avere come intento principale la salvezza dell’uomo e non la sua distruzione.
Il punto di vista laico è esposto da Anna Maria Cossiga, docente di geopolitica alla Link Campus University. “Il testo sacro può essere letto in un modo o nell’altro”, dice , “nel Corano, come nella Bibbia ci sono accenni alla violenza, bisogna chiarire il perché di questa violenza per riuscire a spiegare l’Islam“. La via è sempre quella della conoscenza reciproca delle culture alla luce del fatto che c’è una carenza di conoscenza dell’Islam anche nei media. “L’islamofobia dilagante è spaventosa e pericolosa”.
Ghorban Alì Pourmarjan, direttore dell’Istituto Culturale dell’Ambasciata dell’Iran, spiega che molti cadono nella trappola dell’estremismo perché interpretano alcuni versetti del Corano occultandone il messaggio originario: la giustizia, il valore della vita dell’uomo e dell’umanità, che possono realizzarsi unicamente nella pace. “Il valore dell’uomo è molto lontano dall’estremismo”. Bisogna trovare una soluzione condivisa per il problema del terrorismo, il dolore comune, perché anche l’Occidente, con le sue politiche contraddittorie ha contribuito alla sua espansione.
Qual’è il giusto mezzo? Questa è la domanda lanciata da Hujjatulislam Abulfazl Emami dell‘Associazione Islamica “Imam Mahdi”. La giustizia è un concetto difficile da definire e sopratutto da applicare. Bisogna però darne un senso condiviso a livello internazionale. Egli racconta di un ragazzo italiano che si è rivolto al centro con la volontà di intraprendere il percorso di conversione all’Islam. A questo giovane l’Imam disse: “un bravo cristiano è meglio di un cattivo musulmano“. Non è facile essere un bravo musulmano: per interpretare il Corano bisogna avere degli elementi di comprensione e ascoltare la voce della propria guida interiore per non cadere nella trappola dell’estremismo. “Il profeta era compassionevole con chi non era musulmano”.
“Nelle guerre non ci sono mai dei vincitori ma solo vittime da tutte le parti”, dice Omar Camiletti. “Sono tre le cause e gli effetti di questa psicosi”. L’assoluta inconcludenza della classe politica a livello mondiale, la crisi economica e la tecnologia hanno dato alito al terrorismo, a guerre interne, a migrazioni di massa e al ritorno ad un “messianismo religioso”che ci pone davanti un bivio: o rivelazione o  nichilismo.
“Per conoscere l’Islam bisogna risalire alle vere fonti e non affidarsi solamente alla versione mediatica”, un concetto ripreso più volte dalla moderatrice Tiziana Ciavardini. A tal fine sono stati distribuiti gratuitamente gli opuscoli, contenenti le lettere dell’Imam Khamenei ai giovani dell’Europa e dell’America del Nord, a cura dell’Associazione Islamica Imam Mahdi.
“Bisogna fare guerra all’ignoranza prima di fare guerra al terrorismo”, spiega il giornalista Pietrangelo Buttafuoco. Dopo i fatti di Colonia si è accentuata l’opinione comune per cui si pensa che nell’Islam sia intrinseca la violenza. Si deve usare senso critico e dubbio costruttivo che servono per l’analisi e non certo per “schierarsi con il nemico”. L’opinione pubblica viene sollecitata a marchiare chiunque ponga delle obiezioni come un complice dei terroristi. “Il terrorismo vuole ammazzare, e ci ammazza, vuole terrorizzare e ci terrorizza. Il terrorismo trasforma una religione in un marchio di morte e ci riesce grazie alla nostra complicità quando cediamo di fronte alla caccia al nemico e dimentichiamo di avere una tradizione comune”.
E la giornata si conclude con un auspicio: “Non dobbiamo limitarci a fare salotto fra intellettuali ma andare nelle periferie delle città fra la gente arrabbiata,  impaurita che ha difficoltà a capire, e dare loro la testimonianza che musulmano non è sinonimo di terrorismo”.
25/01/2016
Ania Tarasiewicz