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Iran e Arabia Saudita alzano la voce, e il petrolio tocca il minimo storico


di Antonietta Chiodo, ProMosaik e.V. Italia.


In questi ultimi
anni il giornalismo sta toccando l’apice della tolleranza e della costanza
nell’informare e nel mantenere il controllo dell’imparzialità e della coerenza,
cercando di restare oltre i sali e scendi dei vari accordi governativi, che
vedono coinvolti non solo i paesi inclusi nelle guerre e nella fame, ma anche chi
con un minimo di vita quotidiana soddisfacente si convince di esserne fuori. Il
Sole 24 ore dichiara incredibile ciò che sta accadendo nelle borse mondiali, il
petrolio ha toccato in 11 anni il minimo storico, questo potrebbe delineare il
collegamento che trascina la crisi mondiale in cui ci navighiamo e che molti azzardano
ancora di negare. La jihad, le lotte oltre confine in Medio Oriente e gli
accordi tra Putin ed Obama che non arrivano ad alcuna risoluzione, roteando
intorno all’oro nero, a discapito di vite umane come quelle siriane che si vedono
oramai allo stremo fisico e della fame con conseguente morte di bambini per
denutrizione.
Mercoledì era stato
definito un giorno disastroso per il greggio, mentre a quanto sembra il peggio
doveva ancora verificarsi, il Brent ha oscillato tra il 32.16 dollari al
barile, andamento identico per il Wti – il greggio dei mercati nord americani
32.10 trascinando con sé la Cina e le borse asiatiche – 7% Shangai e Shezhen,
creando il secondo blocco di contrattazioni nel giro di in una sola settimana.
La Cina è riuscita
tuttavia a frenare l’irrefrenabile discesa, bloccando immediatamente gli
scambi. Al contrario di ciò che si pensa il problema di base è l’alta
produzione di greggio con scorte incredibilmente fuori limite, mentre il
consumo è sceso a dismisura negli ultimi anni, sicuramente anche grazie alle
energie rinnovabili ovviamente poco amate dai governi.
Questo porta
ovviamente a riflettere sulle tensioni degli accordi internazionali e di quanto
sia complesso riuscire a trovare una serie di accordi possibili che frenino il
massacro mondiale, in cui ci troviamo negli ultimi tempi.


L’Iran accusa l’Arabia
saudita di avere bombardato l’ambasciata
Da Teheran giunge
la conferma del bombardamento sull’ambasciata iraniana a Sana nello Yemen:   “Nessuna operazione è stata compiuta intorno
all’ambasciata o nelle sue vicinanze”, recita un comunicato citato da al
Arabiya, smentendo le accuse.
Hossein Jaber Ansari,
il portavoce del governo iraniano, dichiara che l’Arabia Saudita ha lanciato un
attacco esplicito contro l’ambasciata del suo paese, ferendo alcuni addetti: “Questa
azione deliberata dell’Arabia saudita rappresenta una violazione di tutte le
convenzioni internazionali per proteggere le missioni diplomatiche, e il
governo saudita è responsabile dei danni causati e della situazione dei membri
del personale rimasto ferito”. Il tutto comunque non è che un ennesimo caso di
repressione indiretta contro l’insorgere dei gruppi sciiti che l’Arabia Saudita
cerca di controllare con la violenza da mesi oramai. Dopo l’esecuzione
dell’imam sciita Nimr al-Nimr Teheran ha dato inizio ad un boicottaggio di
prodotti sauditi in Iran, con i quali si cerca di indebolire l’economia
saudita. Il governo iraniano, fino a nuovi ordini, ha persino bloccato i
pellegrinaggi alla Mecca.
Il Medio Oriente
sembrava oramai essere sprofondato in una situazione che uccide ogni speranza
di pace. Anche nel 2016 non fa che spuntare un conflitto dopo l’altro, complesso
ed ingestibile come quello tra l’Iran sciita e l’Arabia Saudita, alleata con l’Occidente.
Questo conflitto richiama all’ordine due potenze mondiali armate e decise ad
impiegare la violenza. L’ordine militare iraniano si è fatto immediatamente
sentire, segnando rappresaglie e manifestazioni di piazza. Il bersaglio della
popolazione è evidentemente l’abbattimento del potere saudita che mira a
controllare tutte le risorse della grande regione sunnita.
L’Arabia Saudita
sunnita ha formato delle alleanze con i paesi del golfo, fondando il Consiglio
di cooperazione del Golfo (Ccg), di cui fanno parte il Kuwait, gli Emirati Arabi
Uniti, il Qatar e il Bahrein. Quest’ultimo ha rotto formalmente le relazioni
diplomatiche con l’Iran, come ha fatto l’Arabia Saudita. Ma anche al di fuori
della regione del Golfo altri paesi, come la Somalia e il Sudan e lo Gibuti si
sono schierati decisamente con l’Arabia Saudita, rompendo le relazioni
diplomatiche con l’Iran. Decisamente sul fronte saudita è anche il governo
dello Yemen.  
Dalla parte dell’Iran
invece si trova la Siria del presidente Bashar al Assad, appartenente alla
setta sciita degli alawiti. Anche l’Iraq, con il governo sciita di Haidar al
Abadi, è in linea di massima schierato con Teheran, ma mantiene un
atteggiamento più prudente, avendo deciso solo recentemente di riaprire
l’ambasciata saudita a Baghdad dopo 25 anni e offrendosi anche come mediatore
per risolvere il conflitto tra le due potenze islamiche del Medio Oriente.
Ma lo Yemen è
diviso tra gli alleati di Riad e quelli di Teheran: Infatti i ribelli sciiti
della tribù yemenita dei Houthi appoggia Teheran. La stessa scissione si
ritrova nel piccolo stato del Bahrein, con una popolazione sciita, governata da
una dinastia sunnita al potere. Un terzo paese scisso è il Libano, diviso tra
uno schieramento a guida sciita, con il movimento Hezbollah, che sta con l’Iran,
e l’altro sunnita dalla parte dell’Arabia Saudita.