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Global Bloody Blueberry Blues Quando il salario operaio diventa un costo marginale della produzione industriale di mirtilli “globali”



Fausto Giudice Фаусто Джудиче فاوستو جيوديشي 
Tradotto da  Milena Rampoldi میلنا رامپلدی

All’origine di quest’articolo, un fatto di cronaca. Sulla strada R-86, all’alba del 9 gennaio 2016, nella regione cilena dell’Araucania, precipita un minibus. L’autista e nove passeggeri, tra cui due minorenni di 17 anni, perdono la vita. Anche la sola sopravvissuta, gravemente ferita, è una minorenne di 17 anni. Le vittime sono raccoglitori di mirtilli. Nel Cile post-moderno e “gringoizzato” li chiamano “berries” (dall’inglese blueberry, mirtillo, o in francese canadese “bleuets”). Cercando delle foto per illustrare l’articolo del presidente della CGT cilena, il sindacato libertario, sull’incidente, scopro tutto un mondo. E quello che scopro, mi lascia esterrefatto. Ecco dunque la storia del mirtillo, un piccolo frutto dalle dimensioni mondiali, un emblema sinistro della “globalizzazione”.



Da una decina d’anni, il mirtillo coltivato ha soppiantato il mirtillo selvatico, più piccolo, più gustoso, più raro, più difficile da raccogliere, e dunque più caro e “meno redditizio”. Il mirtillo selvatico è un ingrediente tradizionali dei paesi del nord, dal Canada alla Siberia, passando per l’Inghilterra e l’Olanda, e delle regioni montagnose temperate e fredde come quelle dei Pirenei o dei Vosgi. Gli inglesi, gli yankee e i canadesi hanno sempre un vasetto di marmellata o di gelatina in frigorifero o sul loro tavolo da colazione, e tutti gli sciatori di fondo svedesi nel loro zaino hanno un pacchetto diBlåbärssoppa, una ministra istantanea di mirtilli in polvere, per compensare il loro sforzo fisico, da far bollire sul fuoco da campo o sul forno a gas da campo una volta montata la tenda per la notte.

Il mirtillo sembra abbia delle virtù antiossidanti magiche per prevenire il cancro. A tal punto che i ricercatori britannici lavorano su un “pomodoro viola”, geneticamente modificato, che coltivano nelle serre del Canada, dove si fa meno attenzione alig OGM che nella Vecchia Europa. In questi pomodori hanno iniettato delle proteine che sono all’origine dei pigmenti blu-neri dei mirtilli, gli antociani. Degli studi condotti su dei ceppi di topi particolarmente propesi a sviluppare certi tipi di tumore hanno mostrato un’estensione della loro durata di vita del 30%, se si somministra loro del succo di questi pomodori. Ma non è sicuro che le virtù antiossidanti prestate a questi pigmenti perdurino nel tempo. Ricercatori dell’università di stato dell’Ohio nel 2013, nel contesto di una ricerca, hanno mostrato che gli antociani subivano un degrado alquanto rapido mediante la saliva. 
Comunque il mirtillo e i suoi antociani sono diventati una fonte per fare affari e profitto in tutto il mondo ricco. L’agrobusiness si è dunque impadronito di questo prodotto. La produzione mondiale è almeno triplicata in dieci anni, passando, secondo le fonti, a un volume compreso fra 200 000 e 500 000 tonnellate. I principali produttori ed esportatori sono gli USA e il Cile, seguiti da Argentina, Peru, Uruguay, Sudafrica … e Cina. Ma tutto il mondo, dal Marocco alla Spagna, si sta mettendo in questo business. Il sito commerciale cinese Alibaba propone dei container di 10 tonnellate a dei prezzi che sfidano ogni concorrenza. Il grande vantaggio del Cile e degli altri paesi dell’emisfero sud è che possono produrre questi frutti fuori stagione, mentre in Europa e in America del Nord è inverno. E evidentemente anche i loro costi di produzione, a partire dai salari, sono molto “vantaggiosi”. Infine i mirtilli si conservano bene in un ambiente fresco, per 3-4 settimane, e sono anche adatti alla congelazione, alla liofilizzazione e aggiungono gusto e colore anche a yoghurt, tortine, muesli, e persino… doccia schiuma e shampoo, per non parlare di tutto un mucchio di 
nutraceutici ed altre panacee universali. Che cosa si può pretendere di più?
Se comprate un cestino di mirtilli di 125 g. al supermercato vicino a casa vostra in Europa, probabilmente di una filiale di Carrefour, spenderete 5,99€, ovvero 47,92 € al chilo [ma vista la concorrenza feroce tra gli ipermercati, ne ho trovato uno per 2,99€ al SuperU di Sainte-Ménehould, ovvero per 23,92€ al chilo]. Carrefour ha acquistato i suoi stock di mirtilli dal grossista per circa 18 € al kg. Il prezzo di vendita all’ingrosso nel mercato di interesse nazionale a Rungis nel novembre del 2015 in media ammontava a 23 € al chilo. Se questi mirtilli provenissero dal Cile, i produttori cileni li avrebbero venduti ad un prezzo medio di 10 € al chilo. Su questi 10 €, il costo salariale per la raccolta sarebbe stato di 0,45 € al chilo. Il cliente di Carrefour dà dunque il 5% del prezzo che paga, ovvero 0,34 €, all’operaio cileno che ha raccolto questi mirtilli, “geneticamente ottimizzati”, per usare un termine elegante. 

Ecco un annuncio di offerta di lavoro per raccoglitori, pubblicato da un’azienda agricola di produzione di mirtilli a Osorno in Chile.


Salario promesso: 700 pesos, ovvero 0,85 € per ogni gabbia verde da 2 kg. Un buon raccoglitori, in una decina di ore di lavoro quotidiane, riesce a raccogliere in media 25 gabbie, ovvero 50 kg e guadagna dunque 20 000 pesos, ovvero 25 €. Il salario minimo legale in Cile attualmente ammonta a 250 000 pesos, ovvero a 315 €. I lavoratori stagionali che raccolgono i mirtilli comunque non arrivano a quel livello, visto che raramente lavorano un mese intero di seguito.
In Argentina, che dopo il Cile è il secondo produttore di mirtilli dell’America Latina, il giugno scorso i sindacati e i lavoratori hanno concluso un accordo per aumentare del 28% i salari dei raccoglitori di “berries”, mentre i salari cileni sono rimasti invariati.
Le piantagioni di mirtilli cominciano a dare frutti al terzo anno di produzione e raggiungono volumi tra le 6 e le 12 tonnellate di frutti all’ettaro. Le varietà coltivate provengono da delle specie selezionate dall’agrobusiness US-americano. Le malattie e i parassiti a cui sono soggetti gli arbusti sono oggetto di trattamenti chimici “efficaci” che hanno permesso di eliminare progressivamente gli ostacoli all’importazione, rappresentati dai regolamenti sanitari dei singoli paesi. Per esempio l’importazione di mirtilli argentini e cileni negli USA sottostà a un trattamento obbligatorio al bromuro di metile o bromometano, un potente gas refrigerante tossico all’effetto serra, vietato dal Protocollo di Montreal del 1987, ma per il quale gli Stati Uniti ovviamente hanno ottenuto una deroga. Si tratta di impedire l’entrata in territorio yankee di un immigrato indesiderato, ovvero la ceratis capitata, la mosca mediterranea.
Quali le conclusioni da trarre da tutto questo? Molto semplice: smettetela di acquistare e divorare questi mirtilli di merda, visto che vi farà meglio sia fisicamente che moralmente. E quando vedrete delle animazioni pubblicitarie sui mirtilli cileni nel vostro supermercato, rivolgetevi all’animatore per chiedergli se si rende conto di che idiozie stia raccontando. In Francia, per la fine di gennaio, in quattro Monoprix e in quattro Auchan, si annuncia una prima campagna promozionale. Gli esportatori cileni hanno affidato questa campagna all’agenzia Bokooplus, specializzata nel settore dei frutti e delle verdure provenienti dalle piantagioni schiaviste, dagli avocado messicani fino alle ananas filippine ed hawaiane di Dole, passando per gli avocado israeliani di Agrexco, per non dimenticare i kiwi neozelandesi, in breve, tutto ciò di cui non avete affatto bisogno per vivere a lungo e bene. Se vivete in una regione in cui crescono i mirtilli, andate a raccogliere i mirtilli selvaggi, i giüstrei o gli scisctroi, rispettando i regolamenti in vigore, in particolare nei parchi naturali come quello di Ballons des Vosges in Francia orientale (raccolta autorizzata dal 15 luglio al 15 dicembre per un consumo familiare, ovvero 2 kg al giorno a testa).