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LOUIS HUNKANRIN Un crimine coloniale: la schiavitù in Mauritania


di Milena Rampoldi, ProMosaik e.V. – Un progetto sullo schiavismo in Mauritania. Un pamphlet del giornalista e combattente per i diritti umani Louis Hunkanrin del 1930. Un’opera che ProMosaik e.V. ha presentato in lingua francese e tedesca e ora anche in traduzione italiana.  

Louis Hunkanrin (1886-1964), originario
del Dahomey (attuale Benin), grande attivista dei diritti umani, giornalista
coraggioso e fervente oppositore della tratta dei neri praticata dalla casta
maura, scrisse questo pamphlet durante il suo esilio nel deserto della
Mauritania, al fine di accusare di collaborazionismo e corruzione il sistema
coloniale francese. È con grande rispetto che rimandiamo alle stampe questo
pamphlet quasi caduto nell’oblio.

Hunkanrin, marxista e umanista
convinto, esclude anche il fatto che le religioni, il Cristianesimo, il
Giudaismo oppure l’Islam, possano giustificare un’istituzione perpetuante
l’ingiustizia come lo schiavismo, poiché il Dio Unico, il Dio del Monoteismo,
ha creato tutti gli esseri umani uguali. In quest’idea dell’autore si ritrova
un aspetto fondamentale del suo pensiero, la creazione di un punto
d’intersezione tra la lotta marxista per la giustizia e l’abolizionismo
musulmano, entrambi rivendicanti l’uguaglianza di tutti gli esseri umani, come
d’altronde espresso dal creazionismo coranico. 
Louis Hunkanrin attacca con aspri toni
i mauri e il loro sistema di caste, basato sullo sfruttamento dell’uomo da
parte dell’uomo. Scrive quindi a diversi funzionari coloniali francesi, per
esortarli a liberare gli schiavi e ad applicare le leggi di abolizione della
schiavitù.
Ad oggi, questo pamphlet di Hunkanrin
è di grande importanza e attualità, dato che tuttora la schiavitù in Mauritania
continua ad esistere.
Hunkanrin è un esempio da seguire per
la lotta alla schiavitù non solamente in zone islamiche come la Mauritania, ma
anche in altri Paesi, dove lo sfruttamento si perpetra sotto forme di
schiavismo di diverso tipo.
Con la presentazione di questa
pubblicazione, l’associazione ProMosaik sottolinea l’importanza della lotta
contro la schiavitù in tutto il mondo: prima di tutto attraverso
l’informazione, poi condannando dall’estero cosa succeda ancora, ai giorni
nostri, in un Paese africano in gran parte dimenticato.
INTRODUZIONE

UN APPELLO AL
GIUDIZIO
Il nostro compagno L. HUNKANRIN, che da lunghi anni
sconta nello sperduto deserto della Mauritania il crimine di un supposto
complotto a Porto-Novo (Dahomey), e di cui la Fédération Ardéchoise si è
occupata a più riprese, per la verità più o meno vanamente, si decide a portare
davanti al Parlamento e all’Opinione pubblica non il proprio caso, ma il
crimine molto più grave e generalizzato della schiavitù.
Cita pochi esempi, quelli che ha conosciuto più da
vicino, ma non sono degli esempi tipici. Testi alla mano, egli mostra la tratta
dei neri correntemente praticata e ufficialmente salvaguardata e garantita da
alcuni amministratori e giudici.
Così, in questi tempi di disordini coloniali troppo
ampiamente giustificati e di orientamenti coloniali megalomani e imperialisti,
la testimonianza circoscritta e precisa di HUNKANRIN arriva giusto in tempo.
Questo indignato appello alla coscienza francese (se ne rimane qualcosa),
questa speranza nella giustizia francese, speranza spesso delusa ma rimasta
viva, non riuscirebbe a non toccare coloro che ne vengono a conoscenza.
Noi, a nostra volta, vogliamo sperare che il Comitato
Centrale della Ligue des Droits de l’Homme ne terrà conto, cercando di agire
con efficacia per distruggere gli abusi coloniali qui segnalati.
Quelli e tanti altri; sarebbe anche l’ora.
E. REYNIER,
Presidente della
Fédération Ardéchoise des Droits de l’Homme




PREFAZIONE
In questo piccolo libro, denunciando i crimini che
vengono commessi a discapito dei Neri in Mauritania, non ho altro obiettivo che
quello di far risaltare, su questo territorio dove sventola la bandiera
francese, emblema di pace, di libertà e di giustizia, il vero volto della
Francia: la Francia dei Diritti dell’Uomo, la madre Francia, buona, generosa e
giusta, che è, secondo le parole di M. Edouard Herriot, “la più alta
personalità morale che ci sia al mondo” e che ogni buon francese deve servire
come tale.
Faccio mie le righe qui estratte dalla prefazione
dell’interessante opera dal titolo “Erreurs et brutalités coloniales” di M.V.
Augagneur, ex Ministro ed ex Governatore Generale del Madagascar e dell’Africa
Equatoriale Francese:
«Ho voluto – scrive l’eminente Governatore Generale –
delucidare l’opinione pubblica costantemente ingannata dalle comunicazioni
ufficiali, informarla riguardo la nostra impresa coloniale, tanto importante e
tanto mal condotta, mostrare ciò che c’è stato e ciò che c’è ancora dietro a
uno scenario di vergognose nudità. Troppo spesso l’incantevole paesaggio copre scene
di desolazione!… Ho voluto che il mio scritto prendesse un’importanza documentaria
di ordine superiore, che si elevasse al di sopra delle domande delle persone,
che diventasse una “leçon de choses”, imponendosi ai dirigenti della nostra
espansione coloniale e, se questi non volessero comprendere, a un’opinione
pubblica in grado di dominarli».
Anche il mio libro non ha altra ambizione e,
pubblicandolo, non mi faccio delle illusioni. So di espormi alle ire dei miei
tiranni, a un raddoppiamento delle calunnie da parte dei detrattori di sempre;
so, infine, di mettermi contro la cricca di affaristi, avidi di fortune e
sofferenti per mancanza di inutile vanagloria, la quale ha interesse a
perpetrare gli errori, le baldorie che io denuncio. Ma che importa! Ho la
coscienza di servire gli interessi ben intesi della Francia e dell’umanità.
Questo mi basta.
L. HUNKANRIN


LA SCHIAVITÙ IN MAURITANIA
In
generale, i Mauri considerano i neri come dei prigionieri. In particolare,
tuttavia, i neri che finora hanno potuto catturare e mettere sotto il loro
giogo sono gli indigeni del Mali e del Senegal, colonie in prossimità della
Mauritania. Qui si trovano i granai in cui tutti gli anni i Mauri fanno
approvvigionamento dei viveri di cui il loro desertico Paese è sprovvisto, ma
anche degli schiavi che necessitano per i loro diversi lavori, dato che essi
considerano qualsiasi attività lavorativa come un disonore.
I tatuaggi
che ancora porta la maggior parte degli schiavi, così come l’uso gelosamente
salvaguardato dell’idioma del proprio Paese d’origine, permettono di
identificarli e di rendersi conto in quale proporzione le diverse etnie del Mali
e del Senegal abbiano sofferto la prigionia in Mauritania. 
In primis i
Bambara e i Senufo, etnie che hanno fornito e riforniscono nella misura
maggiore le truppe senegalesi e delle quali è risaputa una qualità essenziale:
una «stoica resistenza alle fatiche e alle privazioni».
Vengono poi
i Sarakole, i Toucoleur, i Bobo, i Mossi, ecc.
Agli occhi
dei Mauri, gli schiavi sono né più né meno che bestie da soma. Proprio come a
queste ultime, li gratificano con colpi e gli danno da mangiare quel che
capita.

Per loro
nessuna dimora, nessun vestito, nessun matrimonio in regola, nessun diritto,
nessuna garanzia. Il loro unico diritto e garanzia contro i colpi è il lavoro a
oltranza, giorno e notte, senza tregua e senza riposo, senza cattivi umori.
Gli schiavi
o schiave appartengono completamente ai loro padroni e non possono disporre di
nulla per il loro benessere personale. Anche la loro vita appartiene al
Padrone, che può togliergliela a proprio piacimento.
Sono
numerosi gli schiavi o schiave che sono stati ammazzati, assassinati dai loro
padroni, i primi per essere degli scansafatiche (che ironia!), le altre per
stregoneria.
Ad esempio:
La madre di Tésylmminte Abderramane, uccisa dal suo padrone Mohamed Nava a
Tidjikja per fannullonismo.
Béko, padre
della prigioniera Moukhère, residente a Tidjikja; sua madre, Temba; sua sorella
Suilka, tutti uccisi a Tidjikja dai loro padroni, Hassen e Hammoud, per stregoneria.
La schiavitù
non si estingue che alla morte della vittima o alla sua liberazione. Di padre
in figlio, gli schiavi sono di proprietà dei loro padroni e subiscono la
medesima sorte. Cosa del Padrone, che può rivenderli ad libitum, senza che nessuno abbia qualcosa di
ridire.
È
sufficiente che uno dei due sposi sia in stato di schiavitù durante il
matrimonio perché il figlio diventi esso stesso uno schiavo.
Così, i
figli che i Tirailleurs e gli stessi francesi hanno avuto con le schiave sono
degli schiavi che seguono i costumi barbari e selvaggi dei Mauri. Ecco un
sorprendente esempio che tutti possono toccare con mano: il precedente
Comandante del Cercle di Tagant, il Maggiore Anselme Dubost, si era innamorato
di una schiava chiamata Jéhémil. Chi, quindi, non è qui d’accordo con Pascal
quando dice che «il cuore ha delle ragioni che la ragione non conosce».
Dalla loro
unione nacque un figlio, chiamato Mohamed. Essendo stato riconosciuto dal
padre, a questo bambino tocca, come a tutti i meticci della Mauritania, una
pensione mensile di venti franchi (20 franchi), a lui concessa
dall’amministrazione.
Insomma,
malgrado il titolo di meticcio discendente di un comandante del Cercle, il
quale ha comandato proprio il Cercle di Tagant (Tidjikja,
Moudjéria, Tichitt), Mohamed Dubost è rimasto nelle mani dei Mauri e, quando
sarà in età da lavoro – al momento ha quattro anni – subirà i tormenti come
tutti gli altri schiavi. 
Li sopporterà
con la connivenza di un’amministrazione rappresentata dagli affaristi e dai
precedenti colleghi del padre, un’amministrazione per la quale costui aveva
sacrificato la propria vita. Questo senza che nessuno possa intervenire, dato
che la colonizzazione, per noi civilizzatori moderni, non è altro che una questione
commerciale; business is
business
, come dicono gli inglesi.

Ma non è
più tempo di scherzare con le leggi. Gli schiavi non ne possono più. Sono sfiniti!
Sono allo stremo delle forze! È tempo di gridare agli affaristi che hanno in
mano la Mauritania: «La Francia prima di tutto… poi le vostre tasche! Basta
affari su di una questione tanto grave!».
L’angosciante
tema dello schiavismo in Mauritania, il riconoscimento ufficiale di questo
flagello da parte dell’amministrazione, nonostante le leggi proibitive in
vigore, e le disastrose conseguenze che ne derivano a discapito delle vittime
non hanno lasciato privi di commozione e di indignazione certi spiriti
umanitari, audaci e vigorosi, come M.P.K. Assamoï, Medico ausiliario a
Kiffa.
In un
rapporto ufficiale, visto e trasmesso dal Comandante del Cercle alla Direzione
del Servizio Sanitario della Mauritania a Saint-Louis, il Medico ausiliario Assamoï ha
segnalato il pericolo che rappresentano, da un punto di vista sanitario, i
deplorevoli errori che commette il Governatore, il Capo della Colonia.

Ecco in che
termini si è espresso questo medico:
PROTEZIONE DELLA MANODOPERA
«La
Mauritania, Paese in larga parte desertico, non produce praticamente nulla per
la sussistenza o i bisogni primordiali dei suoi abitanti. Tutto proviene dal Mali
e in parte dal Senegal, colonia a monocoltura anch’essa dipendente dal Mali.»
«Se una
crisi economica (devastazione delle cavallette, inondazione o altre cause
naturali) colpisse il Mali, anche se l’eventualità non è troppo probabile,
metterebbe questa colonia nell’impossibilità di fornire i suoi viveri, le sue
derrate. Sarebbe una carestia, un disastro, la morte su grande scala in Senegal
e in Mauritania; può anche essere che sarebbe un’eclissi parziale per il
Senegal, ma sicuramente totale per la Mauritania, la nostra preoccupazione. La
questione è dunque grave. È un problema i cui dati devono essere esaminati con
attenzione e coscienza e la cui soluzione è di grande interesse per la Colonia.»
«I Mauri
ripugnano qualsiasi lavoro. Chiunque si serva delle sue mani, ogni lavoratore
ed ogni operaio, è per loro un essere inferiore, spregevole e senza valore. È
un pregiudizio barbaro e assurdo; il loro orgoglio è fatto di pigrizia,
sconsideratezza, disgrazia e supremazia su quei lavoratori che, nonostante
tutto, sono la spina dorsale, il midollo del Paese.»
«Ogni Mauro
si considera come un aristocratico creato da Allah per vivere a discapito degli
altri. Anche i lavori industriali e culturali vengono eseguiti loro: in primis
dagli autoctoni, gli indigeni del Paese, che vengono chiamati con il nome
generico di Malem; sono i fabbri, i gioiellieri, i calzolai, i conciatori, ecc.
Poi ci sono gli Harratin, schiavi neri provenienti principalmente dal Mali.»
«In virtù
del pregiudizio nefasto cui sono soggetti, i Malem formano una casta dispregiata,
così disprezzata che nessuno di loro può contrarre matrimonio con qualcuno appartenente
alla classe detta aristocratica. Tale disprezzo è più accentuato, più tassativo,
quando riguarda i Neri schiavizzati. Questi ultimi, agli occhi dei Mauri, occupano
lo stesso livello degli animali domestici nella scala sociale.»
«Coltivano
dei magri campi di miglio. La raccolta è scarsa e dunque non sufficiente ai
loro bisogni personali. Se non fosse il colmo, in nome della “Zéka”, che non è
altro che il dono feudale (la decima), essi devono dare al loro Padrone, a
seconda del suo bisogno, tutto il raccolto o comunque la sua gran parte.»

«Al
servizio di questo Padrone nutrito dal loro lavoro, la maggior parte di essi è
senza vestiti e senza dimora, durante la pioggia così come durante il freddo o
il caldo. Spesso non mangiano nel momento in cui hanno fame. Un piatto di
couscous, di “torta”, o le briciole degli eccessi del Padrone sono il solo
nutrimento che hanno la sera, per arrivare alla sera successiva. Nulla di
sorprendente: non avendo nulla da mettersi lui stesso sotto i denti, il padrone
aristocratico, che non deve vivere in altro modo che del lavoro dei suoi
sedicenti servitori, non può dare a questi ultimi ciò che lui stesso non ha. Da
qui la miseria e tutta la sfilza di mali che si porta dietro. Mai il proverbio
“Chi conta sulla ciotola altrui, spesso cena male” ha trovato una così giusta e
calzante applicazione.»
«Qui, per
proteggere la manodopera, è importante combattere con ogni mezzo i pregiudizi
assurdi dei Mauri, refrattari al progresso e che fanno della fannulloneria un
onore; è importante, dico io, combattere questi pregiudizi dando aiuto e
assistenza ai Malem e agli Harratin (schiavi). In caso contrario, l’attuale
stato di cose non può che rinforzare i pregiudizi, rallentare la civilizzazione
e coltivare l’odio che gli indigeni di questo Paese hanno gli uni contro gli
altri.»
«Desiderata:
a) Come
proteggere gli uni e gli altri?»
«Per quanto
riguarda i Malem, è un’azione morale che bisogna esercitare verso la classe
cosiddetta aristocratica. Bisogna che ogni anno, con l’obiettivo di onorare,
d’incoraggiare il lavoro manuale e di stimolare i talenti, l’amministrazione
organizzi un’esposizione di oggetti artistici prodotti da questi artigiani.»
«Per quanto
riguarda gli schiavi, c’è da augurarsi che la manodopera, accuratamente
organizzatasi, nell’interesse generale si sottragga ai capricci degli interessi
privati.
I
“servitori” devono essere legati ai loro padroni da dei contratti regolari,
legali, che permettano loro di andarsene qualora questi li maltrattino e non
provvedano ai loro bisogni. Devono poter essere autorizzati a lavorare dietro
compenso, dietro salario e presso il padrone che preferiscono. Questo gli
permetterà di avere i propri bisogni largamente soddisfatti, di crearsi una dimora
e di vivere con i propri mezzi al riparo dagli incubi della schiavitù.»

«In quanto
ai Mauri oziosi, da troppo tempo vezzeggiati e i cui vizi sono stati finora
favoriti e sviluppati, sarebbe nel loro interesse che li si abituasse poco a
poco a lavorare per guadagnarsi il pane quotidiano, secondo il precetto di dell’Allah
che adorano, e che ha detto: «Mangerai col sudore della tua fronte». Possono
benissimo farlo; la prova è nel fatto che quando sono “nell’ombra”, essi
lavorano allo stesso modo che gli schiavi detti “Harratin”. Non se n’è mai visti
che siano morti per aver lavorato.»
Dopo che
questo rapporto ha raggiunto i vertici del Servizio Sanitario della Mauritania
a Saint-Louis, che cos’ha fatto il Governatore della Mauritania M. Chazal per
fermare questa cancrena che decima la Colonia i cui abitanti gli sono stati
affidati? Nulla! E non farà mai niente in favore degli esseri umani, che
sacrifica ai bassi e meschini interessi privati, finché la gente onesta, che
fortunatamente forma ancora la maggioranza del mondo politico e degli affari,
non l’avrà detronizzato e messo di fronte alle proprie responsabilità.
Sì, solo a
tal prezzo la seria mano che tiene le redini del governo della Mauritania
lascerà la sua presa e le migliaia di neri, sudditi francesi ancora sotto il
giogo della schiavitù, in pieno ventesimo secolo e su questo territorio che
ospita la bandiera francese, sapranno che la Francia, la nostra Buona Madre che
non fa distinzione tra i propri figli, non ha responsabilità nel martirio che
essi sopportano. 
Nel maggio
del 1930, durante una visita episcopale effettuata dal Governatore della
Mauritania M. Chazal nei suoi feudi, l’autore di queste righe gli fece ottenere,
a nome degli schiavi, questa seguente memoria, alla quale il Governatore
affarista oppose un “non
possumus
” ingiustificato e ingiustificabile. Non poteva, in
effetti, fare altrimenti. Non è ormai prigioniero dei mercanti di schiavi? Non
ha ricevuto da loro, specialmente nel suo passaggio a Tamchakett, degli
incredibili regali per mantenere questo traffico vergognoso? Cavalli, cammelli,
vacche, montoni, curiosità, articoli della Mauritania, che egli si spartì
insieme ai coniugi Lahore, Comandanti del Cercle di Tagant.
Ecco questa
memoria che raccomandiamo a tutte le coscienze rette, preoccupate della buona reputazione
della Francia:
TAMCHAKETT, 1° maggio 1930

Louis HUNKANRIN
al signor Governatore
della Mauritania in visita a Kiffa (Cercle di Assaba)
Signor
Governatore,
In questo
momento in cui i mercanti di schiavi del Cercle di Tagant, coalizzati contro di
me e sorretti da taluni anacronistici sostenitori del mantenimento della
schiavitù, preparano un formidabile attacco contro il sottoscritto e contro gli
sfortunati figli del Mali e del Senegal in stato di schiavitù che essi vorrebbero
indefinitamente sotto il loro giogo, ho l’onore di pregarvi di volermi
permettere di presentarvi rispettosamente la mia difesa, insieme a quella dei
compatrioti oppressi che chiedono di essere trattati come figli della Francia, nella
medesima maniera di tutti gli altri figli della Francia o anche un minimo, e
non come animae viles.  
Vogliate dunque,
Signor Governatore, dedicarci qualche minuto di pazienza, di attenzione e di
indulgenza per esaminare la nostra causa e metterci al riparo da qualsiasi
calunnia.
L’esistenza
di schiavi è cosa ben risaputa dal Tribunale di secondo grado, al quale
l’articolo 22 del decreto del 22 marzo 1924 attribuisce l’accertamento e, quel
che è peggio, la repressione dei fatti della tratta. Il mantenimento della
schiavitù in un territorio francese come la Mauritania, parte integrante
dell’A.O.F. (Africa Occidentale Francese), dove sventola la bandiera francese,
emblema di pace, libertà e giustizia; una tale anomalia, una tale debolezza,
sotto l’egida di una Francia che ha per motto “Liberté, Egalité, Fraternité”, è non solamente una vergogna, uno
scandaloso anacronismo dopo venticinque anni di occupazione francese, ma anche
un attentato alla libertà e alla vita dei Neri; fatti che tutti coloro che
amano sinceramente la Francia e che desiderano senza secondi fini la prosperità
della civiltà francese in questa regione, non saprebbero approvare.
Esistono
molti testi legislativi riguardo la schiavitù, che non permettono alcuna scusa,
alcuna concessione: il Decreto del 10 novembre 1903, all’articolo 75 recita:
“In qualsiasi materia la giustizia indigena applicherà i costumi locali, sempre
che non siano contrari ai principi della civiltà francese.”

Decreto del
27 aprile 1848, che abolisce la schiavitù in tutte le colonie e i possedimenti
francesi;
Decreto del
12 dicembre 1905, che punisce con la prigione da 2 a 5 anni e multe da 500 a
1000 Franchi, più la privazione dei diritti civili previsti all’articolo 42 del
Codice Penale, “qualsiasi atto compiuto con l’intenzione di disporre della
libertà di un individuo contro la sua volontà”;
Decreto del
22 marzo 1924, che attribuisce l’accertamento e la repressione di fatti legati
alla tratta al tribunale di secondo grado;
Numerosi sono
i decreti della Chambre d’homologation di Dakar, una sorta di carta dei
prigionieri dell’A.O.F. che conferma i testi appena visti; qui uno dei più
significativi:
«Se ancora
esiste nell’Africa Occidentale Francese una categoria di servitori denominati
schiavi nel linguaggio corrente, non è altro che una situazione che di fatto
deriva da una lunga tradizione; tuttavia non ne consegue che nelle colonie lo
stato di schiavitù sia riconosciuto rilevante dal Governo Generale, né a
livello amministrativo né giudiziario.»

«In effetti
ogni indigeno ha la propria libertà garantita dai poteri locali, senza alcuna
condizione né riserva; è così a pieno diritto, senza che il riconoscimento di
tale libertà sia soggetto ad alcuna formalità o a una qualsiasi
giustificazione. Conseguentemente, un diritto di proprietà su di una categoria
di servitori commette una violazione espressa della legge, dato che tale
riconoscimento è contrario ai principi della nostra civiltà e, allo stesso tempo,
è un’offesa alla dignità umana. (Chambre d’homologation, sentenza
d’annullamento del 14 novembre 1905, Caso Boubou Sidibé e Fissa)» (Vedi giurisprudenza
della Chambre d’homologation pubblicata da Gilbert Desvalons e Edmond Joucla,
pagina 15).
In virtù
dei testi che vi ho appena mostrato e che ho fatto valere davanti al tribunale
di secondo grado di Tidjikja, atto per il quale lo stuolo di schiavisti, di
mercanti di schiavi di Tidjikja mi accusa di un crimine e nel quale essi
trovano un prestesto, quasi un diritto a creare subbuglio contro di me, ho
avuto la buona sorte di far liberare, dal Comandante del Cercle, Presidente del
Tribunale, gli schiavi di seguito elencati, che sarebbero felici di vedervi
dalla parte del Legislatore e di avere da voi degli atti di liberazione messi per
iscritto, che gli permetterebbero di circolare nei Cercle senza essere
infastiditi dai loro tiranni.
Marna detta
N’Barqué, nata a Bougouni (Mali), rapita dai carovanieri mauri a Bougouni,
venduta e rivenduta a Tidjikja, poi data in dote alla figlia maggiore del suo padrone.
I suoi tre
figli, Bilal ouldMamoudou, SuilmeminteMamoudou (la mia cuoca), Séyidé
minteMamoudou.
Barrique e
sua figlia Fatma minteBarrique; Mohamed, figlio di Fatma TésymminteAbderramane.
Qui di
seguito gli argomenti che i mauri schiavisti, sostenuti dai loro alleati, i sostenitori
delle maniere forti, avanzano per giustificare la schiavitù e le sue orrende
conseguenze, ossia i maltrattamenti, le sevizie disumane, lo sminuire l’essere
umano al rango di animale. Non si rifanno che a dei sofismi che non stanno in
piedi. Passati al setaccio della coscienza, non resistono alla luce.

 «Non siamo
abituati al lavoro – confessano senza mezzi termini i nostri Mauri. Non
possiamo dedicarci all’agricoltura, coltivare i nostri campi, seminarli e
preparare i nostri pasti senza uno schiavo. Se non avessimo più alcun diritto
sugli schiavi, in questo Paese l’agricoltura perirebbe e tutti noi moriremmo d’inedia».
E senza
andare fino in fondo, senza esaminare a fondo questa vergognosa dichiarazione,
rispondiamo: «Sì, è vero, avete ragione. Gli schiavi vi sono indispensabili,
siete nel vostro Paese ed è vostro diritto disporre di loro come preferite».
Prima, la
questione della manodopera agricola, culinaria o altra, era stata risolta da
una celebre sentenza della Chambre d’homologation di Dakar, datata 26 aprile
1910. Secondi i termini di tale disposizione, se i Mauri schiavisti, gli oziosi
parassiti che hanno orrore del lavoro, vogliono dei lavoratori, questi ultimi
devono essere liberi di restare con il padrone che preferiscono, il quale deve
contrattare con loro sia verbalmente che per iscritto «un contratto regolare di
prestazione lavorativa o di servizio per una durata ed un salario determinati.»
Gli
schiavi, eliminabili e soggetti a corvé a piacimento, votati alla miseria e
alla morte, privati di ogni diritto, di qualunque garanzia e protezione.

Le norme
dettate dalla Chambre d’homologation non ledono alcun interesse, né quello dei
Mauri né quello degli schiavi neri. Sarebbe stato facile conformarvisi, se i
Mauri schiavisti non avessero un cuore malvagio, la tendenza al male, il
secondo fine di maltrattare gli schiavi neri e di non dargli nulla. Dico che le
norme dettate dalla Chambre d’homologation sono le migliori e vedremo come si
ispirano ai principi di umanità, agli stessi precetti di Dio, Allah o Moulanah,
di cui i Mauri pretendono di essere i soli servitori, i soli scelti, i soli
eletti. 
Allah o
Moulanah, in effetti, ha detto: «Tu mangerai con il sudore della tua fronte».
Nessuno può
dunque aspettare con le braccia incrociate che delle allodole già tutte
arrostite gli cadano dal cielo, direttamente in bocca. La pigrizia o l’ozio,
madre di tutti i vizi, alla quale i Mauri schiavisti richiedono i loro premi, è
condannata nel Corano così come in tutti i libri sacri. Se quindi seguissero
con sincerità i precetti di Dio, le linee di condotta tracciate dalla
religione, dovrebbero lavorare come tutti quanti, dovrebbero mangiare grazie al
sudore della fronte come ha detto Allah e non vivere alle dipendenze degli
altri.
Quando
vanno in Mali o in Senegal, non devono fare approvvigionamento dei viveri che
gli mancano, rapire i bambini di coloro che gli danno la più sincera
ospitalità, ricambiando così al bene col male. Non devono sottrarre i figli ai
loro benefattori, che sono degli esseri umani, delle creature di Dio come loro,
fare poi di tali creature degli schiavi in questo deserto, privandoli del cibo,
dei vestiti e di una dimora, sottoponendoli ai lavori più massacranti o,
peggio, assassinandoli se questi si rendono conto di voler essere liberi.
Lo stesso
Dio, Allah o Moulanah, del quale pretendono di essere i soli eletti, non ha
forse detto: «Considera il prossimo tuo come te stesso; non ruberai; non
ucciderai; riponi la tua spada nel fodero».
In seguito
alle leggi o comandamenti di Dio, Allah o Moulanah, anche la legge morale
condannò il furto, il rapimento, l’omicidio, dicendo:  «Non fare agli altri ciò che non vuoi che sia
fatto a te stesso».
 Obbedendo
ai precetti di Dio, certi Mauri devoti, e sono anche abbastanza numerosi ma non
hanno abbastanza forza per essere ascoltati e seguiti, hanno liberato i loro
stessi schiavi senza alcuna costrizione, senza paura alcuna, se non quella del
Creatore, dell’Infinito che essi adorano. Quest’ottimo esempio, Signor
Governatore, deve essere seguito e non rigettato; non è da considerarsi un
evento di poca importanza.
Nell’interesse
stesso dei falsi devoti, degli ipocriti che si occupano più del loro ventre che
della loro anima, bisogna promuovere questo magnifico esempio spontaneo e
lodabile, che, oltre ogni credenza, apre le porte del Cielo e da un posto
all’eletto accanto ad Allah o Moulanah.
Come appena
dimostrato, i mauri schiavisti che si accaniscono contro i loro schiavi, figli
dei loro benefattori del Mali e del Senegal, non vanno solamente contro le
leggi francesi e quelle morali, ma anche contro i comandamenti di Dio o Allah,
il quale viene da loro invocato in ogni momento, per ogni proposito, con
ipocrisia. Essi sono messi al bando dall’umanità.
Non ci
resta ora che provare che la liberazione degli schiavi, lungi dall’uccidere
l’agricoltura, lungi dall’essere un intralcio, un ostacolo al suo sviluppo, al
contrario creerà prosperità e una fonte di altri redditi apprezzabili.
Già solo
l’esempio di Tichitt basta a sostenere la nostra tesi. A Tichitt ci sono tre
tribù: i Chorfa, gli Ouledbiled ed i Massena.
I Massena
sono degli schiavi neri liberati o discendenti di schiavi liberati dai Mauri
stessi prima dell’occupazione francese. C’è da dire che l’amministrazione
francese non abbia fatto nulla in questo senso a Tichitt? No! Al contrario, il
Capitano Marquenet ha liberato per iscritto diversi schiavi, che hanno
ingrandito il numero di quelli già liberati dagli stessi Mauri. Si possono
ancora vedere fra le mani di diverse famiglie, a Tichitt come anche a Tidjikja,
degli atti di liberazione emessi da lui. Anche il suo successore, il Comandante
Dubost, allora Capitano, ne ha liberato un buon numero.  
Grazie al
Comandante Dubost, ho avuto io stesso l’onore di farne liberare alcuni fra i
tanti che erano sotto il giogo dei Chorfa.
Ebbene, da
tutte queste liberazioni non ne è derivato alcun problema, disordine o
intralcio al progresso dell’agricoltura. Al contrario, i Massena, che hanno
come capo uno della loro etnia, formano attualmente la tribù più potente, la
più attiva a Tichitt, e sono coloro che più si dedicano all’agricoltura.

Questo
risultato e quello ottenuto di recente a Kiffa – nel 1923 solo un villaggio di
sei o sette case mentre oggi è una città animata, con negozi, filiali delle
imprese commerciali europee e più di cento case all’europea ben costruite –
sono stati raggiunti grazie alla liberazione degli schiavi neri ordinata dai
Governatori Fournier e Choteau, dando così la più formale smentita agli
argomenti sofistici, alle affermazioni interessate dei Mauri schiavisti e dei
loro sostenitori.
Gli schiavi
liberati lavorano per conto proprio, non essendo più forzati a cedere il frutto
delle loro fatiche ai pigri Mauri, parassiti che con le braccia conserte
aspettano il pane quotidiano. Ciascuno bada al proprio lavoro seguendo i
precetti di Dio, non essendoci più autorizzazione a vivere sulle spalle altrui;
tutti a lavorare mano nella mano, sotto la stimolante massima “Aiutati, il
Cielo ti aiuterà”. Mauri e Neri contribuendo al patrimonio comune: gli ksar s’ingrandirebbero,
la prosperità arriverebbe sorridente e non ci sarebbe più la tristezza di
assistere allo spettacolo increscioso delle gioie insolenti dei mercanti di schiavi
accanto ai pianti inesauribili, agli indescrivibili gemiti degli schiavi.
Possano i
Comandanti del Cercle sostenere questa bella causa che, ben difesa, faciliterà
il loro compito meglio che la colpevole tolleranza del male, della violazione
sistematica delle leggi che intralcia la loro azione e il progresso della
civiltà.
«È
necessario – diceva Jonnart – che qua e là si innalzi, visibile a tutti, un simbolo
della bontà francese».
I villaggi
di libertà, delle Liberia, delle specie di tribù di Massena, dove sventolerà
maestosa la bandiera della Francia, saranno in ogni regione un simbolo della
bontà francese. Poiché tale simbolo è realizzabile, Signor Governatore, questo
simbolo che raccomanda la giustizia e che esige l’interesse della Francia, ci
permettiamo di aspettarci che non esiterete a erigerlo, visibile a tutti, non
solamente a Tidjikja ma anche in tutti gli altri Cercle dove si pone
la medesima questione.
I
sostenitori del mantenimento della schiavitù, mossi da interessi personali, vi
diranno: «Attenzione, metterete l’amministrazione in cattiva luce rispetto alle
popolazioni, che fuggiranno.»
Nient’altro
che cantilene! I Mauri sanno che la Francia è potente e inattaccabile; hanno
una grande paura dell’autorità francese, alla quale ubbidiscono devotamente.
Senza cuore e coraggio, mai gli verrà l’idea di fare qualcosa contro una
sovrana decisione del Capo della Colonia, decisione che sarebbe, del resto,
ispirata dalla legge, dall’umanità, dalla logica e dai precetti stessi del
Signore che essi adorano. Sarebbe sufficiente affiggere tale decisione alla
posta, al mercato e alla moschea per calmare e placare chiunque. 
Proponiamo
di nuovo come esempio quanto ottenuto a Tichitt con la collaborazione degli
stessi Mauri, oltre a ciò che l’amministrazione ha recentemente registrato a
Kiffa grazie alle iniziative prese dai buoni e onesti Gorvernatori Fournier e
Choteau. A Tichitt, Mauri e Neri si sono integrati e si aiutano. A Kiffa, la
stessa cosa. Quando verranno adottate le misure energiche che le circostanze esigono,
quando si riproporrà la politica liberale dei Signori Fournier e Choteau,
succederà la stessa cosa a Tidjikja e altrove. La superbia che oggi caratterizza i
Mauri schiavisti nei confronti dei Neri farà saggiamente posto ad altri
sentimenti, più nobili.

Vi verrà
detto anche: «La liberazione degli schiavi porterà negli ksar – e qui facciamo
allusione a un manifesto indirizzato al Capitano Lahore, Comandante del Cercle
di Tagant – un grande afflusso di prostitute». Non credo che valga la pena
soffermarsi troppo su quest’argomento. In effetti, tutti sanno che se ci sono
delle malattie veneree nello ksar di Tidjikja, tra la popolazione civile locale
e la guarnigione dell’avamposto militare, non provengono dalle schiave lacere,
coperte di cenci, private della libertà e impossibilitate a spostarsi senza
l’autorizzazione dei tiranni che le hanno portare a Tidjikja. Al
contrario, è assodato che le “bidane
di razza, che considerano il lavoro un disonore, che ricorrono ad ogni mezzo
per ingrassare al fine di essere maggiormente apprezzate dagli uomini e che
vivono di prostituzione, per loro un onore, sono le sole cause determinanti
delle malattie veneree imputate a torto alle sfortunate schiave, le quali non
hanno rapporti che con altri schiavi.    
  Nessuno
degli argomenti a cui si attaccano i Mauri schiavisti e i loro sostenitori
perora a favore della loro perfida causa.
Il titolo
di proprietà sulle loro vittime, titolo di cui si vantano con insolenza, con
rumore e senza vergogna, non si basa altro che sul furto e il rapimento,
crimini previsti e puniti dalla legge. Attorno al rapimento si riuniscono tutti
gli elementi sostanziali della tratta: vendita, acquisto, alienazione della
libertà, torture, ecc.
Il
tribunale di secondo grado non dovrebbe restare inattivo, fermo a contemplare
questi fatti di tratta che ha il dovere di reprimere. La Francia, preoccupata
degli interessi di tutti i suoi figli, ha messo delle temibili armi nelle loro
mani per porre fine a tale vergogna, quest’offesa alla dignità umana. 
Deve
lavorare nell’interesse delle due etnie che interagiscono e in quello della
civiltà che deve salvaguardare.
L’insostenibile
situazione nella quale gli schiavi si dibattono da lunghi anni in questo
deserto è durata abbastanza. È tempo di mettervi un freno.
In nome
della Francia di cui siete il Rappresentante, Signor Governatore, in nome delle
sue leggi tutelari, dovreste davvero liberare tutti gli schiavi dal giogo che
li opprime.
A
consacrazione di tale gesto di giustizia e di umanità, che noi tutti incideremo
non nella sabbia del deserto ma sul marmo, per dare l’esempio dovreste davvero
far giudicare e reprimere severamente i casi che sono stati sottoposti al
tribunale di secondo grado di Tidjikja, far emettere gli atti di liberazione
agli interessati e dargli dei terreni da coltivare per proprio conto, con un
capo che vegli su di loro, occupandosi dei loro interessi e rappresentandoli
presso l’amministrazione.
Anticipatamente,
fiduciosi, essi vi ringraziano e gridano insieme a me:
Viva la Francia buona e giusta!
Viva il Signor Governatore!
Viva la Mauritania libera e prospera!
Io sono ecc.
L. HUNKANRIN.

Non avendo
gli schiavi ciò che possiedono i Mauri schiavisti, ossia dei doni allettanti
che soli possono toccare dritti al cuore il Governatore affarista, quest’ultimo
si mostrato insensibile a loro grido d’allarme e, dopo il suo passaggio, li
catturano e ne acquistano di nuovi con la connivenza dei Comandanti del Cercle,
a loro asserviti.
A
Tamchakett (Cercle di Assaba), durante il mese di agosto del 1930, fu fatto
approvare dalla stessa Autorità un accordo di cessione a un capo mauro chiamato
Moctar Hatra, per mille Franchi, dei seguenti schiavi e schiave, i cui padroni
erano morti e quindi, avendo fiducia nell’istituzione dei tribunali di primo e
di secondo grado, richiesero invano la loro liberazione dal giogo della
schiavitù:
Mohamed Rahal e suo figlio Sidi;
I suoi fratelli e sorelle:
AhmerSalme senza figli;
Misabeminte Souleymane, un figlio
chiamato Salke;
MihaïteminteMahémide, un figlio chiamato
Mohamed;
N’Bale minteSinabé;
SéyidèminteMahémide;
e la loro madre Fatma
N’BarquéminteMohamoud.

Questa
sfortunata famiglia di dieci persone è stata venduta a 100 Franchi a persona.
Bisogna
serrare i denti e i pugni davanti a tale atto dalla «missione civilizzatrice e
umanitaria»?
Ecco
un’altra prova del livello poco invidiabile che il Governatore Chazal ha
riservato a quegli esseri umani che, secondo come si esprime il Medico
ausiliario Assamoï, «sono la spina dorsale, il midollo della Mauritania».
Qualche
tempo dopo la sua visita, il signor Chazal, ardente sostenitore della tratta
dei neri, avendo constatato un importante deficit nel budget fuori controllo
della Mauritania, se l’è presa coi Comandanti dei Cercle, rimproverandoli di
non aver usato abbastanza le tradizionali maniere forti per riscuotere le
imposte. Senza cercarne ulteriormente la vera causa, gli ha intimato di
adoprarsi per colmare i buchi.  
Siccome non
vi è più altra attività imponibile in questo deserto, certi Comandanti di Cercle,
per stare nelle grazie del Governatore mercante di schiavi, si attaccarono agli
schiavi e li tassarono come del bestiame in potere dei loro padroni.
«Siccome – così
dicono loro ai Mauri – la tassa annuale su una pecora e di 2,50 F. e che il
bestiame umano deve costare un po’ più caro che gli animali veri e propri,
ormai pagherete, per ordine del Capo della colonia, la tasse di cinque pecore
per ogni schiavo, vale a dire 12,50 F.  
Detto,
fatto.
Alla
maniera militare, si censirono tutti gli schiavi e da allora si possono vedere
dei Mauri che non hanno alcuna pecora e che pagano imposte per 10, 20, 30, 40…
pecore, a seconda del numero di schiavi che hanno a disposizione.

Non è per
nulla necessario essere dei profeti per percepire che l’amministrazione del
Sig. Chazal, istituendo questa nuova tassa che degrada l’essere umano al rango
di animale, non è ancora pronta a mettere un freno alla tratta dei neri in
Mauritania, a questo vergognoso traffico indegno della Francia, contro il quale
dovrebbe ribellarsi ogni buon francese.
I neri che
pagano le spese di questa criminale politica antifrancese sono tutti dei
sudditi francesi, allo stesso modo che gli altri loro fratelli delle altre
colonie del Gruppo. Essi sono degni di pietà, degni di gioire della libertà che
la legge garantisce ad ogni indigeno dell’A.O.F.
Abbiamo
sottomesso la loro causa alla Ligue des
Droits de l’Homme
. È impossibile che se ne disinteressi.
Secondo i
termini del decreto del 22 marzo 1924 (articolo 28), il tribunale coloniale di omologazione
di Saint-Louis (Senegal) – dove le funzioni di Pubblico Ministero vengono
esercitate dal Procuratore della Repubblica, o suo sostituto, e quelle di
Cancelliere dal Cancelliere del Tribunale di primo grado – ha fra le sue
attribuzioni il controllo della giustizia in Mauritania.
Ora, questo
tribunale di omologazione e la Procura di Saint-Louis ignorano lo stato di
schiavitù nel quale si trovano migliaia di Neri su questo territorio che è di
loro competenza? È discutibile. In ogni caso, ecco una denuncia di Marna e
consorti, indirizzata al Procuratore di Saint-Louis e agli istruttori; per
quanto ne sappiamo, non è vi stato dato alcun seguito.
 DENUNCIA CONTRO ABDI OULD HELIVE E COMPAGNIA
Tidjikja, 10 giugno
1930
«Marna detto
“Barque” e figli, SuilmeminteMamoudou, Bilal ouldMamoudou, SéyidèminteMamoudou;
Barrique e
sua figlia Fatma;
TésylmminteAbderramane
domiciliato a Tidjikja, al Signor Procuratore della Repubblica presso il
Tribunale di Primo Grado di Saint-Louis, incaricato del controllo della
Giustizia in Mauritania.

 Signor
Procuratore della Repubblica,
«In seguito
alla nostra lettera del 1° maggio 1930 che avreste già dovuto ricevere, abbiamo
l’onore di portare alla vostra conoscenza che il Capitano Lahore, Comandante
del Cercle di Tagant, ha annullato motu
proprio
la decisione del Tribunale di secondo grado di Tidjikin
che, dietro nostra denuncia, ci aveva liberati dal giogo della schiavitù – come
se la nostra condizione fin dalla nascita sia quella di essere schiavi – e ha
dato ordine ai Mauri, mercanti di schiavi che si definiscono nostri Padroni, di
catturarci nuovamente e di maltrattarci, quando il nostro unico torto è quello
di essere neri e di essere anche considerati degli schiavi.
«Dietro sua
autorizzazione, questi Mauri infuriati, dando libero sfogo alla loro animosità
e alle loro rappresaglie, ci hanno legati, imbavagliati, colpiti e torturati,
atrocemente e selvaggiamente.
«Peggio
ancora: con la complicità del Capitano Lahore, i nostri carnefici ci forzano a
lavorare sotto i colpi del manigolo, senza tregua, senza riposo, ad ogni ora e
senza remunerazione. Ciò nonostante ci sia a Tidjikja uno di quei tribunali di
secondo grado cui l’articolo 22 del decreto del 22 marzo 1924 attribuisce
l’accertamento e la repressione dei fatti di tratta (previsti e puniti dal
decreto del 12 dicembre 1905), così come la repressione di quei colpi e ferite
che lo stesso Presidente del Tribunale, il Capitano Lahore, autorizza nei
nostri riguardi. Voi, Signor Procuratore della Repubblica, attingete
dall’articolo 22 del Codice d’istruzione criminale il diritto a perseguire ogni
crimine o delitto portato alla vostra conoscenza, e dal decreto del 22 marzo
1924 il potere di correggere gli sbagli, gli errori o le illegalità del
Tribunale di secondo grado.»
«Ecco perché
abbiamo fiducia in voi ed effettuiamo nuovamente denuncia contro i nostri
oppressori, Abdi ouldHélivè e compagnia, per i fatti di tratta, colpi
e ferite, lavoro non remunerato; richiediamo la nostra liberazione immediata in
conformità alle disposizioni combinate dei decreti del 27 aprile 1848, 12
dicembre 1905 e 22 marzo 1924 precedentemente citati.
«Vogliate
gradire, Signor Procuratore della Repubblica, l’omaggio del nostro più profondo
rispetto.
Marna detto Barque
e compagnia, domiciliati a Tidjikja»
Ecco
un’altra denuncia che, su istanza del procuratore della Repubblica presso
Saint-Louis, abbiamo fatto personalmente pervenire a tale alto magistrato,
riguardo lo stesso fatto del 10 aprile 1931 :
Louis Hunkanrin, ex maestro, al Signor Procuratore della
Repubblica presso il Tribunale di Prima Istanza di Saint-Louis, incaricato del
controllo della giustizia in Mauritania.
«Ho l’onore
di prendere conoscenza della lettera n° L 024 datata 11 marzo 1931, attraverso
la quale, in risposta alle mie denunce, mi avete voluto invitare a precisare il
numero di lettere rubate o scomparse e, in seguito, a comunicarvi la mia
identità completa.»

«Signor
Procuratore della Repubblica, vi ringrazio per la vostra risposta, che porta a
pensare che siate deciso a rompere con i deplorevoli errori che consistono nel
chiudere gli occhi e tappare ermeticamente le orecchie riguardo ai crimini o
delitti perpetrati in Mauritania. Errori che hanno avuto l’inevitabile
risultato di far perdere, ai cittadini della giurisdizione del Parquet di
Saint-Louis, tutta la fiducia nelle istituzioni, il tribunale di primo grado,
di secondo grado, ecc.
«Mi
invitate non a tacere quello o tal fatto compromettente, che non può resistere
alla luce; non a servire tizio o caio, per quanto considerabile, ma al
contrario a «sollevare il manto che copre con ipocrisia tali vergognose nudità»,
a dire la verità, tutta la verità e nient’altro che la verità, così come
recitano i sacramenti.
«Cercherò
di soddisfarvi, Signor Procuratore della Repubblica.
«Genesi dell’ordine
relativo alla sparizione delle mie lettere.
«Durante il
mio soggiorno a Tidjikja (Cercle di Tagant), feci la conoscenza di una ragazza
chiamata SuilmeminteMamoudou. Era gravemente malata, quasi morente e per di più
completamente nuda e priva di ogni cura.
«Più volte
schiava appartenuta a diversi padroni, eliminabile e soggetta a corvè a
piacimento, mentre i suoi padroni venivano sostenuti dal Presidente del
Tribunale di secondo grado, che ironia! Non si interessano a lei che quando è
in grado di lavorare e di procurar loro qualcosa da mettere in pancia. I suoi
genitori: anch’essi schiavi, per la miseria! Schiavi in catene che non potevano
abbandonare le corvè impostegli per andare ad occuparsi di lei, per Dio!
Dimenticandomi delle mie sofferenze personali, che non sono nulla paragonate
alle sue, la portai da me per pietà. Feci tutto il possibile per lei e riuscii
a salvarla dalla morte certa alla quale era destinata.
«I suoi
padroni, che non se ne erano mai preoccupati quando lei era con un piede nella
fossa, vedendola guarita e in grado di badare alle consuete occupazioni vennero
a reclamarla, per rifare di lei la propria schiava. Fu allora che, forte delle
leggi in vigore contro la schiavitù e i fatti di tratta che il tribunale di
secondo grado ha il compito di applicare, mi opposi alle loro pretese, mi
rivolsi al famoso tribunale con delle denunce fatte nella buona e dovuta forma,
a mio nome e in quello delle vittime.
«Sapendo
che avevo libertà di corrispondenza e che potevo dare grande eco alla questione
se il giudizio non fosse stato conforme alla volontà del Legislatore, il
Presidente del Tribunale di secondo grado di Tidjikja, liberò
SuilmeminteMamoudou dal giogo della schiavitù e, poco tempo dopo, anche i suoi
genitori.
 

«Giustizia
era stata fatta e, una volta che il giudizio del tribunale acquisì valenza
definitiva, nulla poteva annullarlo senza minare il tribunale coloniale
d’omologazione, dove le vittime avevano anche il diritto d’inviare una memoria
difensiva. Ma come ci si poteva aspettare in questo Paese dove la giustizia
diviene un mito al lato dei regali, i padroni di Suilme e dei suoi genitori si
misero d’accordo con il Presidente del Tribunale di secondo grado per accusarmi
di voler minare la sicurezza del Paese attraverso la liberazione delle loro
vittime, sulle quali essi proclamavano il loro diritto di vita e di morte.   
«Il
Governatore, prendendo in considerazione questa diffamazione – poiché “ciò che
si assomiglia si unisce” – e senza chiedermi alcuna spiegazione, mi allontanò
da Tidjikja per accontentare i boia schiavisti. Alla mia partenza questi poveri
sofferenti che non hanno commesso alcun crimine se non quello di avere la pelle
nera e che non chiedono altro che vivere in pace all’ombra della bandiera
francese, furono catturati, legati e martirizzati per aver voluto la libertà;
quale civiltà!
«Due tra
loro, Suilme e suo fratello Bilal, per scappare alle catene della schiavitù,
erano riusciti a raggiungermi a Tamchakett, mia nuova residenza. Qui, per
ordine del Presidente di secondo grado di Tidjikja, furono arrestati sotto ai
miei stessi occhi, gettati in prigione e poi portati a Tidjikja, dove furono
consegnati ai loro carnefici dopo una permanenza di 15 giorni in prigione. 
«Il miglio
e i fagioli, prodotti delle terre dette lougan
e seminati a mie spese, furono raccolti con l’accondiscendenza del Presidente
del tribunale di secondo grado, per i sedicenti padroni di Suilme, dietro il
pretesto che gli schiavi non hanno alcun diritto al benessere.
È in
seguito a questi fatti ignominiosi, scandalosi e che non reggono sotto il colpo
delle leggi penali, che le istruzioni del Governatore Choteau, che mi aveva
accordato la libertà di corrispondenza, furono annullate e fu dato ordine di
esercitare un’attività tutta particolare nei confronti delle mie lettere.
«Nuova
denuncia tramite costituzione di parte civile.

«Da quanto
si deduce dalle linee seguenti, dai fatti e dalle prove, il mio allontanamento
da Tidjikja non ha altro obiettivo che quello di lasciare libero corso alle bizzarrie
dei mercanti di schiavi, ossia di favorire dei crimini, della atrocità a
discapito degli schiavi, che come ogni altro abitante della Mauritania sono
sottomessi alla fedeltà della Francia.
«Questo trasferimento
non ha alcuna base legale e, essendo frutto di un’odiosa diffamazione, di una
denuncia calunniosa, sporgo io denuncia contro il torto subito e richiedo
risarcimento per i pregiudizi materiali e morali che ne sono risultati.
«A nome mio
e dei martiri per i quali sono stato trasferito, sporgo denuncia contro il
lavoro non remunerato, le sevizie disumane, le violazioni delle leggi di cui sono
vittime, e prego il Signor Procuratore della Repubblica, colui incaricato di
far regnare l’ordine e di assicurare la sicurezza delle persone indipendentemente
dalla loro razza, di voler ben prendere delle misure per far rispettare la
legge nei nostri confronti.    
Tamchakett, 10 aprile
1931.
Louis HUNKANRIN
P.S. – Affinché la verità si manifesti e per impedire
qualunque macchinazione, è indispensabile che la libera informazione non sia
unilaterale o solo parziale. È indispensabile che abbiano luogo degli
interrogatori documentati, firmati e vidimati. Venite voi steso a rendervi conto
della veridicità dei fatti rivelati, a consegnare ai documenti la verità, affinché
possiate mettervi mano decentemente, con cognizione di causa».
Louis HUNKANRIN
Sarebbe
doloroso che le denuncie appena sottoposte ai nostri lettori e che chiamano al
risveglio gli schiavi della Mauritania, restassero per sempre lettera morta.
Le rette
coscienze di quel bel Paese che è la Francia, insieme a tutte quelle che nel
mondo reclamano la civiltà, non lo permetteranno. Bisogna sostenere le giuste
rivendicazioni dei martiri, di quei poveri sofferenti figli della Francia
sacrificati agli appetiti malsani. Bisogna anche scagliarsi contro i loro
carnefici coalizzati, che si sostengono perché “asinus asinum fricat” e che non lasceranno la presa che con la
forza, poiché il loro ragliare di sempre consiste nel legare gli schiavi alle
loro catene ingannando l’opinione pubblica.
Mentre in
Mali, in Senegal e nelle altre Colonie sorelle del Gruppo dell’A.O.F., senza
venire severamente punito dalla legge, nessun nero può alienare la libertà di
qualsiasi altro figlio del deserto, seppur facile da imprigionare, è ingiusto ed
illogico che li stessi tribunali tollerino la cattura e l’asservimento di neri
cittadini francesi in Mauritania ad opera dei Mauri.
Quest’ingiustizia,
questa violazione sistematica della legge, un tale attentato alla vita umana è
indegno della Francia.
Non si può
trovare, nel Paese della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, nessuno di questi
figli della Rivoluzione che presterebbe la propria mano ai mercanti di schiavi,
ai parassiti che qui flagelliamo.
Per levarsi
dal giogo che li opprime, gli schiavi della Mauritania devono ormai contare
sull’aiuto e l’assistenza di tutti gli Schœlcher del Paese della chiarezza e
della luce, che ha per motto “Liberté,
Egalité, Fraternité”
.
Louis HUNKANRIN