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Cop21: clima, la consapevolezza c’è e la volontà?

di Dario Lo Scalzo, Pressenza, 27.11.2015.

Cop21: clima, la consapevolezza c’è e la volontà?
(Foto di newsroom.unfccc.int)

Dal 30 novembre all’11 dicembre si terrà a Parigi la XXI conferenza internazionale sul cambio climatico (International Conference on Climate Change). Si tratta di un evento di enorme importanza per le sorti del pianeta e degli esseri viventi che per la prima volta riunisce non solo diplomatici e rappresentanti di Stato ma anche una buona fetta delle realtà sociali ed economiche.
Si conta la presenza di 195 paesi, 40mila delegati, 2000 organizzazioni rappresentanti il mondo delle imprese, quello industriale, quello sindacale, quello dell’associazionismo; saranno presenti amministratori locali, ONG, rappresentanze dei popoli autoctoni e della società civile. Una prima assoluta sia in termini numerici che di partecipazione che, proprio per questo, fa della COP21 un appuntamento vitale per il nostro pianeta e per chi lo abita. La coscienza e la sensibilità dell’umanità al riguardo dell’ambiente e del clima sono senz’altro cresciute rispetto a altri momenti storici e conducono dritto verso uno stato d’urgenza e di priorità d’azione. La consapevolezza c’è e la volontà?
Cosa ci racconta la storia recente in materia di clima e ambiente?
Correva l’anno 1972 quando alla conferenza di Stoccolma per la prima volta l’Ambiente fu ufficialmente riconosciuto come un problema di carattere internazionale meritorio del più alto interesse e di azioni collettive di protezione e salvaguardia. Nel 1980 l’IUCN elaborò il documento Strategia mondiale per la Conservazione con il quale introdusse il concetto di ecosistema e della sua sostenibilità oltre ai primi obiettivi in tema di conservazione della diversità nel mondo animale e vegetale. Tre anni più tardi, nel 1983, fu istituita dalle Nazioni Unite la Commissione Mondiale su Sviluppo e Ambiente che poi nel 1987 presentò il Rapporto Brundtland noto per la definizione di sviluppo sostenibile.
Dopo un ventennio da Stoccolma, nel 1992, è la volta del Summit della Terra di Rio De Janeiro nel quale si riconobbe ufficialmente che il riscaldamento climatico è causato dall’uomo. Gli esperti e gli studiosi concordano sul fatto che, a partire dalla metà del XX secolo, le attività umane (con un grado di certezza pari al 95%) impattano sui cambiamenti climatici e sul riscaldamento del globo.
Forti di questa spiacevole certezza, tre anni più tardi, nel 1995, si diede vita alla prima Conferences of the Parties(COP), tenutasi a Berlino durante la quale furono fissati gli obiettivi non vincolanti per le singole nazioni al fine di ridurre le concentrazioni atmosferiche dei gas serra; allo stesso tempo, nelle successive conferenze, si decise di adottare dei protocolli che avrebbero permesso alle parti firmatarie di determinare dei obiettivi obbligatori e vincolanti. Il più importante fu il Protocollo di Kyoto del 1997 che non fu certo un successo, ma che si concluse comunque con l’impegno sottoscritto da 37 paesi di ridurre di almeno il 5% la propria emissione di gas serra.
Ma bisogna giungere al 2009 e alla COP15 di Copenaghen perché si riuscisse a creare un Fondo verde per il clima (Gcf) a favore dei paesi emergenti. Una sorta di strumento d’investimento con il quale cooperare finanziariamente alle loro politiche energetiche. In realtà solamente dal 2014 i 32 paesi contribuenti hanno cominciato a approvvigionarlo per un importo pari a 10,2 miliardi di dollari, ben lungi dall’iniziale impegno di 100 miliardi annuali per singolo paese sino al 2020.
Sono 43 anni. Sono 43 gli anni di attesa da parte del pianeta di un reale cambio di paradigma da parte dell’uomo. Lunghi anni vissuti tra giochi diplomatici e di giochi di potere, tra rifiuti e fallimenti, tra denunce, promesse e reali impegni dei governi, tra interessi privati e pubblici, tra congetture e azioni. Di certo, a oggi, è stato già percorso un lungo cammino e la sensibilizzazione verso l’ambiente è giunta nella nostra quotidianità e dentro le nostre case.
Su scala mondiale si possono certificare dei grandi passi avanti nelle politiche energetiche sia nell’ambito pubblico che nel settore privato. Di recente, gli Stati Uniti, secondo paese inquinante al mondo e storicamente contrari e forti oppositori di ogni tipo di accordo sul clima, hanno presentato il “Clean Power”, un piano ambientale, con orizzonte temporale 2030, attraverso il quale intendono impegnarsi per ridurre del 32% (rispetto al 2005) l’emissione di CO2 delle centrali elettriche. Contestualmente, s’impegnano a produrre il 28% dell’elettricità tramite le energie rinnovabili. E anche la Cina, dal 2007 balzata al primo posto tra i paesi del pianeta produttori di CO2, comincia a fare i primissimi passi per lottare l’inquinamento atmosferico. Differente invece la posizione dell’India, altro grande paese inquinante, che non intende allo stato attuale sacrificare la sua crescita economica a vantaggio dell’ambiente rivendicando il suo diritto a svilupparsi.
Il mondo si è svegliato negli ultimi decenni, e tutto ciò è molto positivo, ma sembrerebbe che quanto messo in moto sinora non sia ancora sufficiente per tirare un respiro di sollievo. Adesso è iniziato un nuovo conto alla rovescia, forse decisivo. Inquinamento ambientale, estinzione di specie animali e vegetali, rifugiati climatici, innalzamento del livello del mare, scioglimento dei ghiacciai, aridità, uragani sono ormai parte della nostra realtà quotidiana. Gli specialisti delle questioni ambientali e climatiche disegnano scenari pessimisti nell’ipotesi di una perseveranza nelle nostre attitudini odierne.
Di conseguenza, il quadro sembra essere molto palese: gli Stati devono assolutamente impegnarsi a ridurre le emissioni di gas serra affinché le temperature non s’innalzino al di sopra di 2°C da qui alla fine del secolo. Tra il 1870 e il 2000 il mare si è levato di 18cm (fonte Ministero Ecologia francese). Se, al contrario, le emissioni dovessero continuare al ritmo attuale, allora le temperature potrebbero innalzarsi sino a 4,8°C, nell’ipotesi più catastrofica; potenzialmente ciò implicherebbe un innalzamento degli oceani di 82cm nel 2100.
Le consegne sono chiare dunque per la COP21 e l’obiettivo deve essere quello di conseguire una riduzione da 40 a 70% delle emissioni di gas a effetto serra entro il 2050.
Secondo le stime effettuate, tutto ciò per l’UE si tradurrebbe in una diminuzione di almeno il 40% delle emissioni entro il 2030 e inoltre comporterebbe un passaggio a 27% di produzione energetica rinnovabile contro il 14% del 2012.
Infine, dato per nulla meno importante, entro il 2020, i paesi sviluppati dovrebbero versare all’incirca 78 miliardi di euro ogni anno per aiutare i paesi in via di sviluppo ad attivarsi concretamente nei confronti dell’ambiente e del clima. Tanto? Beh, bruscolini di fronte agli investimenti annuali in armi, guerre, politiche del terrore e della morte che moltissimi paesi (gli stessi che vogliono il pianeta più pulito) hanno fatto negli ultimi 43 anni.
La storia di quei 43 anni ha insegnato tanto e oggi la strada di Parigi sembra tortuosa e difficile e non sarà scontato convergere verso un consenso, verso quell’unanimità collettiva dei partecipanti necessaria a disegnare e mettere in campo concretamente e in maniera definitiva delle risoluzioni efficaci a beneficio della salute del pianeta. Questa volta però, bisogna sperare anche in altro, non solo nella maggiore consapevolezza acquisita trasversalmente su scala mondiale ma, più fattivamente, bisogna credere nella presenza delle diverse piattaforme di dialogo che sono state dapprima fortemente volute e poi realmente organizzate per il vertice COP21 e che coinvolgono i principali attori della società e quindi non solamente dei diplomatici servitori.
Che non si commetta l’errore però di pensare che le questioni ambientali, climatiche, energetiche siano l’affare esclusivo dei grandi del mondo o di associazioni, o d’imprese o delle istituzioni. Ci siamo dentro sino al collo, sì, ciascuno di noi, perché il nostro vivere, il nostro modo di consumare, di muoverci e di alimentarci e quindi tutte le scelte giornaliere che compiamo in quanto consumatori hanno un’incidenza considerevole al riguardo della custodia della terra, dell’ambiente e quindi per la nostra stessa esistenza e per quella delle future generazioni.
Impariamo a rettificare i nostri comportamenti e il nostro agire quotidiano, a contribuire in prima persona sincronizzandoci con una visione olistica del vivere.
Il 29 novembre 2015 in contemporanea in tante città del mondo sono previsti eventi e marce in difesa del pianeta. Se sei interessato unisciti a milioni di persone che vogliono custodire il pianeta