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SHMINISTIM, La Voce Israeliana per la Pace e l’Obiezione di Coscienza


di Antonietta Chiodo e.V. Promosaik
Italia.

In questi tempi
all’insegna della guerra, del conflitto aperto e del razzismo sionista, ci sono
ancora giovani israeliani germogli di pace che aspettano solo che venga loro
permesso di costruire questa pace fragile. Attengono un briciolo di quella
fiducia che spesso non siamo in grado di dare loro. Infatti, pensando ad
Israele al momento, quasi nessuno pensa al movimento Shministim che ha una
lunga tradizione nel paese. Con Israele si associa piuttosto la violazione di
qualsiasi accordo internazionale, gli abusi sui minori a cielo aperto e l’appropriazione
di case, acqua e terreni da parte dei coloni che compiono atti di vandalismo
infame persino contro gli ulivi.
Qui a mio
avviso si pone la domanda: siamo certi che spesso la lotta per un’ideale non ci
trascini in una direzione asettica? Per continuare a costruire questo famoso
ponte di pace tra israeliani e palestinesi dobbiamo voltarci e non
sottovalutare mai nulla, perché il ponte in realtà è già in costruzione da
parecchio tempo e sta a noi continuare ad aggiungere i suoi mattoncini, ben
saldi, con la colla dell’imparzialità e dell’obbiettività. Ed è proprio questo
che al momento sembra quasi impossibile. Il bene ed il male non vanno mai in
un’unica direzione. Con questo voglio dire che questi ragazzi israeliani chiamati
alle armi che rifiutano di entrare in conflitto e diventare complici nei
confronti della popolazione colpita, soprattutto nei confronti dei bambini, non
vanno dimenticati.
Omer Goldman divenne famosa nel 2008 per essere
incarcerata dopo aver rifiutato di servire militarmente il suo paese,
dichiarando insieme ad altri ragazzi tra i 18 e 19 anni di opporsi ad ogni
forma di violenza. E pensare che Omer ha un padre che per parecchi anni fu il
vice responsabile dell’Intelligence del Mossad. Durante uno dei suoi arresti il
giudice cercò di convincere la ragazza a ripensare il tutto, proponendole persino
la possibilità di distribuire caramelle ai Check Point per i piccoli
palestinesi durante il servizio di leva. Ma convinta delle sue idee e senza
alcuna intenzione di tornare sui suoi passi, la giovane Shministim rispose: “Che senso ha dare loro delle caramelle, se
sono lì illegalmente?”. E quest’affermazione coraggiosa le costò ben ventuno
giorni di arresti.
Nel 2014 un altro episodio importante da non
dimenticare per chi ancora crede nella pace e nella lotta contro l’apartheid: Durante
l’Operazione Margine Protettivo contro Gaza il giovane israeliano Udi Segal,
diciannove anni, gridò “basta” ed annunciò lo sciopero della fame.
“Ho deciso di entrare in sciopero della fame
perché credo che la mia carcerazione sia illegittima”, spiegò a Haaretz.
“Il mio rifiuto di fare la recluta è basato su motivi ideologici,
soprattutto per via dell’occupazione. Ho deciso di non fare il servizio
militare perché non voglio far parte di nessun apparato militare. Ho
frequentato una scuola ebreo-araba, e prima di essere chiamato alle armi ho
realizzato che unendomi all’esercito avrei buttato al vento tutto ciò che avevo
imparato, visto che la coesistenza e l’occupazione non possono andare di pari
passo e né io né i palestinesi abbiamo scelto il controllo dei territori da
parte di Israele. Per i palestinesi vivere sotto questa occupazione significa
vivere senza libertà”.
Come per gli altri Shministim, il
carcere non rimane un’esperienza unica nell’arco della loro vita. Infatti
questi ragazzi vengono spesso rinchiusi in un carcere militare. Solitamente le
detenzioni durano dai 10 ai 20 giorni. Per Udi quello fu il periodo più duro e
la detenzione più lunga. La sua famiglia è divisa e tutti sono seriamente
preoccupati per la sua salute psicofisica. Lui invece non vorrebbe che tornare
alla sua vita, avere un’esistenza normale ed essere libero, null’altro.
“Sono
preoccupati soprattutto per le implicazioni future di questa mia decisione di
vivere in Israele senza fare il servizio
militare”.
Udi ha due fratelli più grandi, entrambi sono arruolati nelle forze della
difesa.
Ogni anno 800-1000 ragazze/i straniere/i si arruolano
nell’esercito israeliano. Circa 4.600 soldati stranieri sarebbero oggi presenti
nell’IDF, tra cui 2mila provenienti dagli Stati Uniti. Gli ebrei che non hanno
la cittadinanza israeliana e decidono di arruolarsi comunque nell’esercito di
Israele possono partecipare a diversi programmi di volontariato chiamati Mahal
di una durata tra i 18 e i 21 mesi. Questi programmi preparano i volontari a
entrare nelle unità di combattimento dell’IDF attraverso un lungo addestramento
militare.
Gli ultimi due anni di liceo è il periodo in cui
questi ragazzi ricevono il telegramma per entrare nell’esercito. Quasi cento
ragazzi di diverse scuole hanno risposto con una lettera indirizzata al premier
Benjamin Netanyahu, in cui spiegano i motivi per cui si rifiutano di prestare il
servizio militare. In questo contesto è importante chiarire che in Israele è
illegale rifiutare il richiamo alle armi. Inoltre partecipare in tutto e per
tutto alla protezione di questo paese è una fondamentale questione di orgoglio.
Da questo si deduce la gravità della diserzione che non va affatto
sottovalutata. Ma le obiezioni di coscienza e le pene carcerarie per gli
obiettori in Israele oramai hanno una tradizione lunga quanto la storia del
paese. Gli Shministim vengono isolati, allo stesso modo in cui Israele
abbandona a se stesse le popolazioni occupate che questi ragazzi di Shministim
non vogliono bombardare ed uccidere. Questi liceali dal coraggio da leoni sanno
benissimo a cosa vanno incontro, ma non si fermano e non cambiano idea.
Pubblicano anche vari appelli video su internet per cercare sostenitori che
accettino la loro libera scelta di non servire nell’esercito israeliano. L’incarcerazione
non è l’unico danno che viene arrecato alla loro psiche. Infatti dopo il
rifiuto al sostegno israeliano a livello militare vengono obbligati ad
abbandonare i loro licei ed allontanarsi definitivamente dalle loro famiglie.