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Gli attivisti del web presi di mira da Israele


by Antonietta
Chiodo ProMosaik e.V. Italia
Un blog israeliano
negli ultimi giorni si è visto pubblicare un importante articolo con la firma
di John Brown in cui viene dichiarato l’intervento dello Shin Bet in piena
notte a Lakia, Township in cui le autorità israeliane hanno relegato centinaia
di famiglie beduine durante la ricerca di R., attivista del Negev Coexistence
Forum for Civil Equality, tra gli organizzatori delle proteste dello scorso
anno contro il Piano Prawer, progetto di trasferimento forzato dei beduini
residenti in villaggi non riconosciuti da Israele e di confisca delle terre.
L’attivista venne poi trovato e portato in caserma e minacciato. Brown
chiarisce anche che dopo parecchie ore all’attivista venne offerto del denaro
per interrompere le sue attività in favore delle popolazioni del deserto. Da
ultime notizie divulgate da varie agenzie di stampa, sia israeliane che estere,
si evince che i raid notturni nei confronti di attivisti sia israeliani che
palestinesi, accusati di arrecare un danno all’immagine dello Stato di Israele,
sono vertiginosamente aumentati.
Non servono
manifestazioni con la presenza fisica di persona, ma bastano un sms od un post
su Facebook intercettati dai servizi segreti che nell’ultimo periodo sembra
abbiano intensificato la caccia di attivisti e blogger.
Agli interrogatori
di attivisti beduini ha risposto la stessa associazione Negev Coexistence Forum
for Civil Equality, definendo tali azioni “vessazioni contro la popolazione
beduina”. Gli fa eco Acri, Association for Civil Rights in Israel, la quale
scrive: “Lo Shin Bet agisce illegalmente e approfitta del suo potere per
interrogare persone senza alcuna autorità. È importante sottolineare che non
c’è alcun obbligo a farsi interrogare e chi lo fa non è tenuto a rispondere o a
cooperare in alcun modo. L’obiettivo di queste ‘conversazioni’ è illegittimo:
dissuadere le persone a prendere parte a proteste politiche legittime e cercare
di reclutarle”.
Negli ultimi anni
dopo che internet ha preso piede, riuscendo a legare le persone da una
estremità del mondo all’altra, è anche cambiato il mondo dell’attivismo sociale
e politico. Grazie ad internet blogger e BDS sono nel mirino dei governi
occidentali e anche di quello israeliano. Ricorderete ciò che accadde nel mese
di Giugno 2015, ancora prima dell’inizio delle ultime escalation in suolo
palestinese. La ministra della giustizia israeliana Avelet Shaked, militante
della estrema destra, definì il movimento BDS come  “movimento antisemita in abiti nuovi”. La
giovane ministra non è nuova ad asserzioni forti tipo questa. Infatti si
conoscono le sue “opinioni” nei confronti del martirio di madri e bambini. Ma
vista la reazione israeliana, si capisce che il boicottaggio dei prodotti
israeliani di tutti i tipi sta ottenendo un successo non indifferente. E questo
successo va ricondotto in gran parte anche all’attivismo web. 
L’economia
israeliana ha subito dei contraccolpi non indifferenti, in quanto la gente
comune sta iniziando a prestare attenzione alle iniziative degli attivisti. Questo
avviene in gran parte all’interno di supermercati e megastore, grazie ai codici
identificativi dei prodotti che permettono di verificare immediatamente da
parte del compratore la provenienza di tale prodotto.
Ma queste estesissime
possibilità e soprattutto la velocità con la quale si viaggia nel mondo di
internet possibili per il movimento BDS e le altre forme di attivismo sociale e
politico esiste anche per chi si oppone a tali movimenti e all’attivismo per l’eguaglianza
e la giustizia. Dunque il web rappresenta anche una piattaforma di controllo
sulle attività e la vita privata degli attivisti. Infatti esso offre la
possibilità di controllare il percorso degli attivisti. I governi grazie alle
nuove leggi antiterrorismo si avvalgono spesso del diritto di controllo sulle
attività di divulgazione, dettato dalla loro attenzione per il cosiddetto “bene
comune della popolazione”. Significa quindi che un attivista spesso è cosciente
di non possedere una vera e propria privacy come teoricamente ne sarebbe
privilegiato un qualsiasi altro cittadino “normale” che vive nel suo piccolo
senza impegnarsi nel settore socio-politico.
Questa foto ad
esempio ha causato l’arresto dell’attivista italiano Giorgio Fera, 31 anni,
nell’ estate del 2015. La foto era stata diffusa nel web, facendo il giro per i
social media, mostrando il metodo di arresto violento praticato dagli
israeliani nei confronti dei minori palestinesi. Il giovane attivista italiano
si era recato in Cisgiordania a Nabi Saleh in collaborazione con il Movimento
internazionale di solidarietà (Ism).
Nel video dell’attivista
si nota la durezza con cui viene fermato il bambino per essere arrestato con
l’accusa di avere lanciato pietre conto i militari israeliani. Intervengono
subito delle donne tra cui una ragazzina di 15 anni che morde il soldato
israeliano. Alla fine l’arresto che sarebbe avvenuto sotto gli occhi di troppi
spettatori viene revocato. Giorgio Fera viene rimpatriato pochi giorni dopo.