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Ahmed Saleh Manasra il bambino del video, Israele lo lincia, lo umilia e lo incarcera


di Antonietta Chiodo, ProMosaik e.V. Italia.

“Muori,
figlio di puttana, muori!” queste sono state le parole che il piccolo Ahmed
Saleh Manasra sentiva gridare dopo il linciaggio subito da alcuni coloni. I
militari presenti sul posto non lo hanno soccorso. Anzi: sono intervenuti,
ributtando il ragazzino a terra ogni volta che tentava di rialzarsi! La folla
sollecitava gli agenti a sparargli in testa. I militari comunque non hanno
seguito il consiglio, ma hanno lasciato il ragazzo a terra con la testa
sanguinate, le gambe rotte ed altre fratture.
Il
fatto è avvenuto nei pressi dell’insediamento israeliano di Pisgat Zeev, nella
Gerusalemme occupata.
Ahmed
e suo cugino sono stati accusati di avere accoltellato due coloni ferendoli.
Senza alcuna prova a loro carico, i due ragazzini sono semplicemente stati accusati. Inoltre uno dei due
coloni è salito sulla sua automobile, ferendo gravemente il ragazzino.
Il
cugino ucciso da colpi d’arma da fuoco da parte degli agenti venne poi
identificato con il nome di Hasan Khaled Manasra. Il Palestinian Center for
Human Rights (PCHR) condanna con forza il crimine commesso dalle forze
israeliane, parlando anche di ritardo doloso dei soccorsi.  
La
faccenda comunque non finisce qui: Ahmed viene interrogato in modo
eccessivamente aggressivo da parte delle forze dell’ordine israeliane. Lo prova
il video dell’interrogatorio visionato dal suo avvocato. L’agente grida con il
ragazzino, rinfacciandogli di stare dalla parte del nemico in guerra e di aver
cercato di accoltellare due coetanei. Non comprendendo l’accusa, il bambino
esasperato piange e si colpisce al capo. 
Gli agenti si scambiano dei sorrisini.
Ad oggi il minore è detenuto in attesa del processo e dunque anche della sua condanna.
Vorrei precisare che non vi sono stati feriti tra i civili ebrei e che il cugino quindicenne di
Ahmed è morto dopo essere stato investito volontariamente da un colono sotto
gli occhi della polizia che non è intervenuta. L’omicida non ha neppure visto il portone di un carcere. Dunque si trova in libertà e può ripetere la
sua azione violenta in ogni momento.
Questo mese le aggressioni, i rapimenti e gli arresti dei bambini e ragazzi palestinesi
hanno raggiunto un numero esorbitante per cui come suggerisce Miko Peled si può
parlare della guerra israeliana contro i bambini. Numerose associazioni per i diritti
umani, con diversi documenti presentati anche alle Nazioni Unite, hanno
mostrato con che violenza gli ufficiali dell’esercito sionista conducono gli interrogatori dei minori. I ragazzi vengono minacciati, messi sotto
pressione. Vengono loro estorte confessioni scritte in lingua ebraica che
ovviamente non sono in grado di comprendere. Le violazioni dei diritti
umani continuano senza sosta, sotto gli sguardi perplessi del mondo intero e dell’ONU
che non interviene con sanzioni contro lo Stato di Israele.
Palestina
Rossa – News agency on Palestine –
mette in evidenza
ciò che accade, facendo riferimento alla documentazione di un avvocato che
difende i diritti dei piccoli palestinesi. Il numero di minori detenuti nella
prigione israeliana di Jafon è salito a 62 prigionieri. I ragazzini subiscono
umiliazioni e torture, metodi ormai diventati usuali ed applicati a tutti i
detenuti, senza tener conto della loro età.
L’avvocato
della Palestinian Prisoner Society, Fawaz Alshalodi, dopo aver visitato la
prigione questo martedì, ha riferito che i detenuti marciscono in quel luogo di
tortura, venendo costantemente picchiati con violenza e subendo insulti
osceni ed altre torture.
La
dichiarazione della PPS aggiunge che la prigione di Jalon, aperta lo scorso
ottobre in seguito all’aumento dei casi di arresto di minori, non è ancora
pronta ad accogliere i prigionieri in tutta sicurezza. Infatti l’amministrazione
della prigione tratta i ragazzini come se fossero dei criminali e non permette
ai prigionieri adulti di rappresentarli, come avviene nelle altre prigioni
israeliane.
I
minori hanno confermato che l’amministrazione della prigione irrompe nelle
celle per perquisirle, picchiarli e metterli in cella di
isolamento, legandoli al letto e castigandoli.
Il
rapporto inoltre mette in rilievo la scarsa quantità e qualità di cibo fornito
ai ragazzi che spesso si rifiutano di mangiare. Inoltre mancano gli abiti
invernali e l’acqua calda. L’amministrazione della prigione si rifiuta di
trasferire i prigionieri malati in clinica affinché ricevano i dovuti controlli
o impedisce loro di ricevere un trattamento medico. Inoltre, ad alcuni di loro
viene impedito di ricevere visite o comunicazioni telefoniche con i loro
familiari.