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Velo islamico e pari opportunita’

di Milena Rampoldi, ProMosaik e.V. – Qui di seguito vorrei presentare la
mia relazione, tenuta a Bolzano, il 09.10.2015 per la Fondazione Forense.
ProMosaik che persegue lo scopo di dare impulsi per un mondo all’insegna della diversità
culturale e religiosa come fondamento per un mondo che riesca a superare la
violenza e ogni forma di discriminazione, sia religiosa, che sociale, etnica e
culturale, ovviamente lotta per il diritto della donna musulmana di portare il
velo islamico in tutte le occasioni e dunque anche nel contesto della carriera
forense in Italia. Nel mio intervento ho cercato di mettere in rilievo
l’importanza dei diritti personali delle donne musulmane anche nel contesto di
una carriera ufficiale per lo Stato Italiano che protegge i diritti di
espressione religiosa personale. Un mondo al plurale – il mondo del futuro che
credo non sia un’utopia se musulmani e italiani lavorano insieme.

Per introdurre il tutto
vorrei citare Albert Einstein il quale sulle pari opportunita‘ diceva:

Everybody is a genius. 

But
if you judge a fish by its ability to climb a tree, it will live its whole life
believing that it is stupid. 

(Albert Einstein)


Prima
di passare alla dottrina islamica del velo vorrei mostrarvi una breve
presentazione sulla diversità culturale del velo islamico a seconda dei paesi musulmani,
dal Marocco all’Uiguristan. 

 




Ora
vediamo i due versetti coranici principali che prescrivono il velo per la
donna.

Il
velo, chiamato hijab in arabo, è imposto a tutte le donne musulmane. I versi
principali sono due.

Il
verso 24:31 recita quanto segue:

E
di’ alle donne credenti di abbassare e custodire il loro pudore; e di non
mostrare i loro ornamenti, se non quello che appare; di lasciar scendere il
loro velo fin sul petto e non mostrare i loro ornamenti ad altri che ai loro
mariti, ai loro padri, ai padri dei loro mariti…

Qui
si elencano le categorie di persone che possono invece vedere la donna senza il
velo.

Il
fatto che il velo non sia una regola misogina, lo dimostra il collegamento con
il versetto precedente, riferito agli uomini musulmani. 24:30

Di
‘ agli uomini credenti di abbassare lo sguardo e custodire il loro pudore; ciò
è più puro per loro, e Allah conosce bene quello che fanno.

Il secondo verso coranico fondamentale sul velo, il 33:58-59:

Coloro che perseguitano i credenti e le credenti ingiustamente, attirano
(su se stessi) una calunnia e un peccato grave. O Profeta! Imponi alle tue
mogli, alle tue figlie e alle mogli dei veri credenti di drappeggiare le loro
vesti sopra le loro persone (quando si è all’esterno) come è più conveniente,
in modo che esse possono essere distinte e non essere molestate. […]


Secondo
me l’enfasi sul velo islamico, tipica del discorso dei nostri giorni sull’Islam come la religione apparente del velo femminile, ha a che
vedere con l’islamofobia imperante. In uno dei miei libri infatti ho scritto:

Il
velo nell’Islam è come una goccia d’acqua nell’oceano del sapere teologico
islamico. 

Alla domanda sull’eccessiva importanza data oggi al velo islamico in Occidente, risponde Shirin Ebadi, avvocatessa e attivista iraniana per i diritti umani, premio
Nobel  per la pace del 2003, la quale parla
del nemico Islam creato dall’occidente all’indomani del crollo del comunismo… L’islamofobia
aumenta poi dopo l’11 settembre. Il velo viene manipolato per opporsi all’Islam
come religione e cultura e per violare i diritti della donna musulmana.

Il
politico del PVV olandese, Geert Wilders, propone una legge di tassare 1.000
EURO all’anno per il velo islamico di ogni donna musulmana presente nel paese. Nel video qui di seguito il discorso di Wilders
davanti al parlamento olandese sul tema. La tassa sul velo il politico razzista
la ricollega alle tasse dei rifiuti: visto che chi sporca le strade paga la
tassa dei rifiuti, le donne musulmane che sporcano le strade olandesi, devono
pagare anche loro la loro tassa. Ecco l’analogia islamofoba.

Per
sapere quanto riguarda la discriminazione della donna musulmana in Olanda
vorrei consigliare il testo della Dr. Ineke van der Valk Islamofobie en
Discriminatie,
disponibile anche nella traduzione italiana di ProMosaik
e.V.

Una
recensione si ritrova qui:

http://www.promosaik.com/ineke-van-der-valk-tradotto-da-dr-phil-milena-rampoldi-islamofobia-e-discriminazione/ 

Un
altro esempio di islamofobia, sempre rimanendo in Olanda: il film girato da
Theo van Gogh, ma scritto dall’atea di origine somala e compagna di partito di
Geert Wilders, ora espatriata negli Stati Uniti, Ayaan Hirsi Ali che vorrei
mostrare integralmente per mostrare gli aspetti blasfemici del discorso
islamofobo. Eccovi il video di “Submission”.

Un
altro esempio islamofobo, mascherato da femminismo soccorritore delle donne
musulmane “oppresse” che vorrei citare in questo contesto si riferisce al
movimento FEMEN di cui ho la seguente opinione:

FEMEN
si rende la vita facile, identificando l’ISLAM con il discorso islamofobo (e
misogino) sull’Islam e mettendo dunque completamente tra parentesi l’Islam e le
donne. Le donne sono viste come segregate, come vittime della violenza maschile
e come vittime dell’esclusione, ma allo stesso tempo nel discorso
femminista-estremista dell’Occidente non sono che un oggetto di segregazione e
dunque prive di voce e invisibili. In questo modo il femminismo occidentale si
oppone al vero femminismo che vede la donna come soggetto e come creatura autocosciente
e non come oggetto dell’immagine orientalista e islamofoba dell’Oriente nella
visione occidentale. 

Eccovi due video che mostrano il metodo di lavoro di FEMEN:
https://www.youtube.com/watch?v=wM-wxU86v8g
https://www.youtube.com/watch?v=8I9eMNs1p_c 



Ora
vorrei passare donna velata in tribunale. Ovviamente come donna musulmana
sostengo il diritto al velo in tutti gli spazi pubblici e privati. Vorrei in
questo breve intervento cercare comunque di presentare un dibattito. Albert
Einstein direbbe:

Che
cosa sono le pari opportunità, se faccio arrampicare un pesce sull’albero per
dargli le stesse possibilità che do alla scimmia? Dunque non ci sono pari opportunità
senza il rispetto della diversità dell’altra/o.

La
domanda che mi pongo è la seguente:

Come
facciamo a misconoscere l’importanza della religione nello spazio pubblico?

Mi
chiedo come si possa eliminare la religiosità e l’espressione religiosa dalla società,
anche se si parte dal presupposto di una separazione tra stato e religione.
Come si fa a mettere completamente tra parentesi un qualsiasi comportamento
motivato dalla religione dalla vita pubblica da parte delle persone che fanno
parte di una società? Il tribunale è uno spazio pubblico, in cui la donna
esprime la sua personalità fatta anche di religiosità …. Siamo sicuri che in
questo modo, eliminando la personalità‘ e identità femminili garantiamo
veramente la neutralità dello spazio pubblico e dunque dello Stato? Questa
stessa donna, alla quale viene preso il diritto di velarsi, rimane una donna
musulmana, con o senza il velo. Dunque non credo che eliminare il velo cambi la
situazione.

E perché
discriminare una donna di una sola religione presa in questo modo di mira da un
discorso di segregazione della religione dallo spazio pubblico proprio in uno
stato come quello italiano, in cui si parla della giustizia e della legge
eguale per tutti?


Credo
si debba innanzitutto chiarire la seguente questione:

Nel
contesto di un ufficio pubblico come si gestisce l’attribuzione dello sviluppo
della personalità di una persona, ufficiale dello stato, a questo stato?

Infatti
abbiamo a che vedere con uno stato che afferma il concetto della neutralità. Ma
allo stesso tempo questo stato si basa su tre pilastri fondamentali:

        
Sulla prescrizione
della tolleranza,
        
del pari trattamento
e
        
del divieto
dell’identificazione.

Secondo
molti da questo divieto dell’identificazione deriva allo stesso tempo la
prescrizione della neutralità distanziante che mira alla creazione di uno spazio
privo di espressione religiosa. Questo discorso si giustifica con la
conseguenza dell’accettazione e dell’indipendenza.

Secondo
me invece non ci vuole la neutralità distanziante, ma quella aperta e
comprensiva… che significa accettazione della personalità, dell’identità e
dunque anche della diversità…

La
prima posizione è quella del laicismo, la seconda quella della tolleranza
religiosa che secondo me va privilegiata, e non solo per i musulmani, ma anche
per tutte le altre religioni. Anche se al momento, visti i movimenti di
migrazione, in Europa si parla spesso quasi esclusivamente di migrazione
islamica, uno stato basato sulla libertà religiosa non vieta nessun tipo di
abbigliamento avente una connotazione religiosa. 


E
qui giungiamo ad un problema di base: i gruppi religiosi devono avere dei
concordati ben precisi con lo stato. Secondo me il concetto di accettazione e
tolleranza religiosa è quello giusto per vivere in una società multietnica,
multiculturale e multi-religiosa come la nostra.

Il
pluralismo infatti presuppone che l’essere umano possa esprimersi liberamente e
sviluppare la sua personalità culturale e religiosa.

E
come fa dunque uno stato pluralista a discriminare esclusivamente la donna
musulmana vietandole una carriera forense solo perché‘ velata? Mi sembra
misogino agire in questo modo…

Vorrei
giungere ora ad uno dei miei pensieri guida essenziali quando si parla di pari opportunità
anche per la donna musulmana: a mio avviso è proprio l’apertura a garantire la neutralità
religiosa ed ideologica di uno stato.

Ovviamente
chi non sposa questa mia tesi mi controbatte che il velo islamico contraddice
alla neutralità dello stato e la mette in pericolo.


Per
spiegare il tema credo che sia opportuno concentrarsi sulle donne giudice
musulmane che in futuro senza dubbio ci saranno anche in Europa visti gli
sviluppi demografici e migratori in atto.

Chi
desidera vietare il velo islamico alla donna giudice afferma che il suo aspetto
metterebbe a repentaglio la sua imparzialità.

Il
problema non è però di carattere oggettivo, ma soggettivo. Infatti i nemici del
velo all’interno dei tribunali affermano che a causa del punto di vista degli
spettatori il velo islamico metta a repentaglio quello che per loro a livello
soggettivo combacia con il simbolo dell’imparzialità.

Il
velo turberebbe dunque l’imparzialità che soggettivamente ci si aspetta… in quanto
italiani. … in un tribunale italiano…

Infatti non si tratta solo di vedere se una donna giudice musulmana sia
veramente capace di giudicare in modo imparziale, perché‘ la sua imparzialità
viene già intravvista da coloro che la giudicano dal punto di vista del suo
apparire esterno… che in loro suscita sfiducia e interpretazioni negative. 

Ma
questo ha a che vedere con la concezione sociale dell’Islam… di come l’islam e
la donna musulmana vengono visti dal pubblico italiano. Ed qui si commette un
grave errore ideologico. La donna velata viene paragonata con un oggetto
religioso, quale potrebbe ad esempio essere una stella di Davide o un
crocifisso…

Il
velo ha a che vedere infatti con la vita privata della giudice, della sua
espressione personale che non può essere attribuita alla sfera dello stato, perché‘
altrimenti di avrebbe la de-personalizzazione della giudice stessa…

La
giudice è una persona, una donna con la sua personalità … non è un arredamento della
sala del tribunale come lo sarebbe un crocefisso…

La
giudice non è solo rappresentante dello stato ma anche persona… se invece la
riduciamo ad un simbolo religioso come il crocefisso appeso al muro di una sala
del tribunale non comprendiamo che la giudice come donna non si definisce solo
nel contesto della sua funzione ufficiale come rappresentante dello stato.
Altrimenti abbiamo una reificazione della femminilità islamica… una concezione
che non è capace di differenziare… e di accettare la diversità dell’essere
umano… la ricchezza della sua espressione culturale, etnica, religiosa e anche
sessuale.

La funzione imparziale del tribunale e dunque la fiducia
del pubblico nella persona della giudice materialmente vengono prodotte dalla
correttezza contenutistica dei suoi giudici e/o delle sue sentenze e a livello
formale sono simboleggiati dalla toga. giudice. E il velo aggiuntivo non turba
questa imparzialità e neutralità visto che una parte della giudice va
attribuita alla sua sfera privata che si materializza nella sua apparizione in
pubblico. Se attribuisco tutto allo stato, si depersonalizza la donna giudice.
 
Si tratta dunque di promuovere la libertà dell’individuo
che non può essere completamente attribuito allo stato solo perché‘ rappresenta
lo stato. Vietando il velo alla donna musulmana, limitiamo la sua libertà
individuale.
Ma il problema come visto sopra non è il concetto, ma la
mancanza di tolleranza all’interno della società nei confronti della donna
musulmana.  La tolleranza infatti lo stato non la può ne‘ creare ne‘
ordinare.
E se in Italia non abbiamo ancora raggiunto questo
livello di tolleranza, le donne musulmane continueranno ad essere discriminate
proprio da una società che si dichiara femminista. 
Vietando il velo, discrimino la donna musulmana e nego le
sue pari opportunità.
Il velo è l’espressione soggettiva di una religione. Non
ha un carattere appellativo, ma solo descrittivo- soggettivo. La toga esprime
una neutralità statale che il velo non mette affatto a repentaglio. Se la società
si basa sulla tolleranza nei confronti della diversità, anche il pubblico in
aula non vede alcuno pericolo e si fida dell’imparzialità del giudizio di
questa donna velata.
La mia conclusione:
E‘ inaccettabile che una percezione soggettiva errata ed
islamofoba della donna velata e il pregiudizio nei suoi confronti giustifichino
una violazione del diritto fondamentale della libertà personale di questa donna
giudice musulmana. La neutralità deve infatti proteggere dalla discriminazione
statale e non simboleggia la discriminazione e la riduzione / limitazione, ma
la libertà e l’espressione individuali.