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Intervista ad Alina una donna e la sua rinascita dopo il ricordo del manicomio


By Antonietta Chiodo e.V. Promosaik
Italia: una bellissima intervista, vera, che parla della “follia”, della segretezza e della discriminazione di persone che hanno sofferto a livello psichico.
Alina è una
donna bella, attraente, impegnata su molti fronti e riesce a compensare il
tempo con l’amore dei suoi bambini. Lavora, viaggia e sogna, pur avendo un
segreto che porta dentro da quindici anni. Da giovane, poco più che ventenne la
sua famiglia decise di aiutarla sotto consiglio di un medico di famiglia. Fu
ricoverata in un Centro per la riabilitazione mentale, il nome che dopo il
duemila venne dato ai vecchi manicomi in Italia. Le strutture vennero
modificate dopo varie notizie divulgate anche dai media per la loro fatiscenza
e gli abusi che venivano consumati tra quelle mura. Inoltre vennero modificati anche
a livello gestionale, dandole in carico al Servizio Sanitario Nazionale. Alina
venne inserita in un centro di recente costruzione, in cui stette per circa un
anno, un luogo esteticamente piacevole, camere doppie e medici a disposizione
ventiquattro ore su ventiquattro.
Antonietta Chiodo:
Per quale motivo la tua famiglia decise di portarti in quella struttura?
Alina: Ero una ragazza controcorrente,
ribelle, avevo ventitré anni, ma da bambina soffrivo di depressione. I miei
genitori si odiavano ed io non riuscivo a sentirmi amata. Ero molto attiva, tra
l’altro nel volontariato, lavoravo e studiavo la sera, andai a vivere da solo
dopo i diciotto anni, molto presto. Sentivo però sempre questo bisogno di
isolarmi che alla lunga mi portò a fare uso di sostanze. Chiesi aiuto a mia
mamma, non riuscivo ad uscirne da sola ed ero stanca. Ero brava a nasconderlo,
non ci credette nessuno quando mi confidai con gli amici e la mia famiglia.
AC: Perché non
ti mandarono in una comunità di recupero?
A: Mia mamma chiese ai servizi
sociali, ma ci sarebbero voluti mesi, io non ce la facevo più, non andava più
bene niente e tutto, anche il controllo che ero sempre riuscita ad avere nella
mia vita privata mi stava sfuggendo di mano. Questo sentirmi sola sempre e non
sentire l’amore che mi veniva donato mi logorava. Ero molto bella. Gli uomini
non mi sono mai mancati, ma non sono mai riuscita a creare un legame.
AC: Qual è il
ricordo che ti porti dentro di questa esperienza?
A: Il mio primo giorno li,
arrivai con il mio borsone e tutti erano gentili, poi mi guardai intorno e
notai che i pazienti erano come addormentati, sguardo basso e blateravano, mi
venne voglia di scappare. Ma restai per mia mamma. Ricordo che in fondo al
corridoio c’era un ragazzo della mia età, eravamo i più giovani lì e facemmo
amicizia. Pochi giorni dopo cercò di impiccarsi in camera, io chiamai aiuto, lo
salvarono e ci legarono nei nostri letti per non farci parlare con gli altri
riempendoci di psicofarmaci.
AC: Cosa accadde
poi?
A: Accadde che ogni volta che
cercavo di parlare con il dottore mi facevano delle punture. Mio fratello un
giorno mi fece notare che sembravo una drogata, non riuscivo a tenere gli occhi
aperti e parlavo blaterando. Non ero io, io ero un uragano. Allora una sera un
infermiere che distribuiva le terapie mi disse che si sarebbe rifiutato di
darmele, anche a costo di farsi licenziare, che dovevo andare via. Non ero in prigione
ed il prima possibile dovevo firmare e sparire, prima di lasciarmi inghiottire
da quel posto. Ricordo che c’era gente da più di dieci anni lì dentro, abbandonata
dalla famiglia.
AC: Come sei
riuscita ad andare via?
A: Ti dico la verità, non lo so
nemmeno io, le parole di quell’infermiere mi rimbombavano in testa ogni giorno,
mi diedero la forza poco alla volta, quando un giorno in un momento di rabbia e
lucidità entrai nell’ufficio del primario e firmai. Lui cercò di convincermi,
ma io chiamai a casa e dissi che stavo tornando, non dissero nulla e mi
accolsero a braccia aperte.
AC: Tu sei una
bellissima donna, una donna in carriera, chi potrebbe immaginare tutto questo?
A: Ovviamente nessuno non ne sa
niente. L’ho detto solo a pochi intimi, la gente non capirebbe e ci mette un
secondo ad etichettarti, puoi dare il mondo ma basta una parola sbagliata per dimenticare
chi eri. Ma io sono una guerriera ed ora ho la mia famiglia, sono felice, anche
se non tutto va sempre come vorrei. Cerco di dare ai miei bambini quegli
abbracci e quelle risate che non ho avuto io. Col tempo grazie alle terapie
naturali, le erbe, la medicina olistica ho ritrovato me stessa e poi… bisogna
parlare, ridere, è quella la vera cura per tutto.