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Etnicizzazione del diritto – una riflessione

di RosemarieWeibel, in Voce Libertaria, no. 24, maggio-agosto 2013, un articolo molto importante concernente una riflessione utilissima soprattutto per quanto riguarda le mutilazioni genitali femminili, un problema che non si ha solo nei paesi d’origine delle vittime, ma anche in Europa in seguito alla migrazione.



In questo articolo voglio tentare di indagare alcune proposte e
novità legislative degli ultimi tempi che introducono delle norme nel
diritto chiaramente tese a disciplinare rispettivamente vietare dei
comportamenti di persone con una determinata origine.


Che il diritto non fosse neutro, è stato ampiamente indagato e
dimostrato: viene formato da una determinata classe sociale e su un
determinato modello (la persona – l’uomo – “medio” quale metro di
paragone); è tendenzialmente classista (formato sugli interessi e le
condizioni di vita della classe medio-alta) e maschilista (formato sul
curriculum vitae degli uomini, lo si vede bene, nonostante i
correttivi,ancora nell’ambito delle assicurazioni sociali). Generalmente
si tratta di caratteristiche implicite, di cui né i rappresentanti, né i
rappresentati sono veramente consapevoli, rispettivamente che sono
considerate giuste o inevitabili.



Il fatto di riconoscere delle differenze e di trattare i soggetti di
diritto diversamente a dipendenza di determinate loro caratteristiche
non è di per sé negativo. L’uguaglianza, la parità di diritto, ha in
effetti due facce: che non vengano fatte distinzioni insostenibili
(discriminazioni), ma d’altra parte anche che vengano fatte distinzioni
laddove il rifiuto di farle significherebbe assimilazione o renderebbe
impossibile accedere a questi diritti – le famose “pari opportunità”.


L’aspetto che ultimamente mi colpisce è che si legifera in chiave
etnica: a partire cioè dalla percezione secondo cui delle persone di
aspetto diverso, o con abitudini diverse rispetto alla maggioranza
costituiscono un gruppo omogeneo e ascrivendo a questi gruppi precise
caratteristiche.


Un esempio per esplicitare questo concetto è la votazione sui
minareti del 2010, con cui è stato introdotto nella costituzione il
divieto di costruire minareti. Questa norma è stata votata chiaramente
in ottica anti-stranieri. Ma hanno sostenuto il sì anche certe cerchie
femministe perché l’islam sarebbe particolarmente sessista. Il sessismo
viene quindi etnicizzato: la discriminazione delle donne è pensata
essere una caratteristica dell’islam[i], e siccome si è contro la discriminazione delle donne si è contro l’islam (e quindi contro i minareti).


Un altro esempio è la prevista normativa cantonale sul divieto di
dissimulare il viso, il cui obiettivo principale è vietare dei copricapi
che esulano dalla “tradizione locale”. Ma su questo tema magari tornerò
in un’altra occasione.


Particolarmente significativa è la nuova norma penale contro le
mutilazioni genitali femminili in vigore dal 1.7.2012 su iniziativa
della socialista Maria Roth-Bernasconi: rende punibile “chiunque mutila
gli organi genitali di una persona di sesso femminile, pregiudica
considerevolmente e in modo permanente la loro funzione naturale o li
danneggia in altro modo” (art. 124 CPS[ii]).



La norma, introdotta per proteggere le donne immigrate e le loro
figlie da questa pratica orribile, dimostra bene da un lato il
condizionamento culturale del nostro diritto, dall’altro l’ascrizione di
determinate caratteristiche a persone provenienti da paesi africani e
arabi dove questi interventi vengono praticati.


Il nuovo articolo di legge comporta infatti “dei problemi di
delimitazione” particolari rispetto alle cosiddette operazioni genitali
cosmetiche, operazioni che negli ultimi anni sono considerevolmente
aumentate: in pratica, come espone Terre des femmes nella sua presa di
posizione sulle operazioni genitali cosmetiche[iii],
“Questi divieti, pensati per proteggere l’integrità fisica delle
migranti, pongono dei problemi alla luce del numero crescente di “donne
occidentali” che si sottopongono ad operazioni nella zona genitale per
motivi puramente estetici o per aumentare le sensazioni di piacere”.
(traduzione RW). Infatti, la norma non prevede la possibilità per le
donne di acconsentire ad un intervento sui propri organi genitali che
non sia medicalmente indicata, neppure se maggiorenni. Secondo la
dottrina[iv],
è vero che anche interventi quali piercing, tatuaggi e operazioni
estetiche di per sé cadono sotto l’art. 124 CPS, che non distingue tra
lesioni gravi e lesioni semplici. Risolve tuttavia il “problema”
mediante un’interpretazione teleologica secondo cui il legislatore non
voleva far cadere queste pratiche sotto il divieto delle mutilazioni
genitali femminili. Affermazione probabilmente vera, ma è proprio qui il
punto: per le donne vittime di mutilazioni genitali nel senso
attribuito generalmente a questo concetto, si parte dal presupposto che
anche da adulte avrebbero difficoltà di opporvisi a causa della
tradizione, della pressione sociale, del grado di integrazione ridotto,
della dipendenza finanziaria e dello statuto precario in relazione al
titolo di soggiorno[v].
Dall’altra parte, per quanto riguarda piercing, tatuaggi o operazioni
di chirurgia estetica (si parla sempre in relazione ad interventi sugli
organi genitali femminili), si considera che riguardino unicamente
l’integrità fisica e non tocchino la altri beni giuridici protetti quali
l’integrità sessuale, la dignità e l’autodeterminazione della donna o
la protezione di una vita non ancora nata[vi].
La conclusione è che trattandosi di lesioni semplici e siccome i motivi
sono considerati rispettabili, una donna adulta (che in questo caso è
europea), può ed è in grado di acconsentirvi liberamente (o – in altre
parole – di opporsi ad un intervento del genere se non lo desidera).
Eventuali pressioni culturali e da parte di partner, coniugi, ecc., non
vengono neppure discusse.



E naturalmente, per quanto riguarda la circoncisione maschile,
nessuno mette in dubbio che un uomo adulto possa acconsentirvi
liberamente, neppure chi mette in discussione la legittimità di questi
interventi sui minorenni.


Un altro aspetto dell’intera faccenda che mostra bene quanto
etnocentrico sia il nostro diritto, è quello legato agli interventi di
chirurgia plastica genitale su bambini con caratteri sessuali ambigui: “Tra
il 2006 e il 2010, l’assicurazione invalidità (AI) ha rimborsato i
costi dei provvedimenti medici previsti in caso di “intersessualità” in
media per trenta bambini l’anno. Non è noto il numero di interventi
chirurgici effettuati, poiché la statistica non riporta il tipo di
prestazioni mediche rimborsate dall’AI.”[vii]
Ora, si tratta di interventi su minorenni alfine di stabilire
chiaramente il sesso, a livello di organi genitali, che possono avere
conseguenze gravi per tutta la vita e che finora venivano eseguiti
nell’interesse del bambino che nella nostra società sarebbe preferibile
crescesse con un sesso ben definito. Pochi mettono in discussione la
possibilità per i genitori di acconsentire ad interventi del genere,
considerati medicalmente e socialmente indicati nell’interesse del
bambino[viii].


Mi chiedo: dove esattamente sta la differenza tra l’intervento
chiamato mutilazione genitale sui genitali femminili “per fare una vera
donna”, e l’intervento su genitali di un bambino chiamato provvedimento
medico in caso di intersessualità per farlo diventare “una vera donna”
rispettivamente “un vero uomo”?


A me paiono altrettanto dolorosi, gravidi di conseguenze e menefreghisti dell’autodeterminazione della vittima.


[i] e quindi degli aderenti a questa religione, e
quindi degli stranieri in generale provenienti da paesi in cui l’islam è
la religione maggioritaria


[ii] Codice penale svizzero, RS 311.0

[iii] Terre des femmes suisse, Papier de positions sur les Mutilations Génitales Féminines (MGF)

[iv]Daniel JOSITSCH e Angelika MURER MIKOLÄSER, Der Straftatbestand der weiblichen Genitalverstümmelung, in AJP/PJA 10/2011, p. 1281

[v] Interpreto quest’ultima preoccupazione nel
senso che se a causa della sua opposizione ad una mutilazione genitale
la donna si dovesse separare dal marito dopo pochi anni di matrimonio,
il suo permesso di soggiorno potrebbe essere messo in discussione se
giunta in Svizzera attraverso il ricongiungimento familiare. Allora,
piuttosto che garantire dei permessi stabili si preferisce intervenire
col diritto penale.


[vi] Protezione di futuri bambini, dato che in
particolare le mutilazioni più gravi comportano rischi maggiori di
infezioni e complicazioni durante il parto


[vii] Risposta all’interpellanza di Jacqueline Fehr del 28.09.2012, 12.3920, Tutela dell’integrità fisica dei fanciulli. Operazioni genitali cosmetiche e circoncisioni

[viii] Cfr. Mirjam WERLEN, Kindesschutz für
Kinder mit bei der Geburt nicht klar zuweisbarem Geschlecht in AJP/PJA
11/2004 p. 1319 ss.; Andrea BÜCHLER, Michelle COTTIER, Legal Gender
Studies, Rechtliche Geschlechterstudien – Eine kommentierte
Qeullensammlung, Zurigo/S. Gallo 2012, p. 395 ss.