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ProMosaik intervista Samantha Comizzoli


Carissime
lettrici, carissimi lettori,
come avrete
visto sul blog, alcuni giorni fa abbiamo pubblicato la recensione del film di
Simonetta Comizzoli “Israele il cancro”, redatta dalla collega Antionetta
Chiodo.
Siamo
lietissimi di presentarvi oggi l’intervista con l’attivista Simonetta Comizzoli
su Palestina, sulla tragedia palestinese e sul regime israeliano.

Una donna coraggiosa e vera. Grazie di esserci, Samantha!!

Dr. phil.
Milena Rampoldi di ProMosaik e.V. 
Dr. phil.
Milena Rampoldi: Samantha, come hai trovato la tua strada verso Palestina? Come
hai iniziato a capire la tragedia palestinese?
Samantha
Comizzoli: Quando è morto Vittorio Arrigoni mi sono avvicinata alla Palestina.
Sapevo già dell’occupazione israeliana, ma mi sono stupita che in quel momento
non ci fosse una reazione così come mi aspettavo. Ho contattato Paolo Barnard
poco tempo dopo e ho organizzato una conferenza a Ravenna, città dove vivevo. Dopodiché
ho iniziato a pensare di venire qui. Capire la tragedia non è difficile: ci
sono gli oppressori e gli oppressi.
Dr. phil.
Milena Rampoldi: Quali sono state le persone e i libri che ti hanno fatto
capire l’importanza della ricerca e della messa a nudo la verità sul Regime
israeliano?
Samantha
Comizzoli: “Perché ci odiano” di Paolo Barnard; “la pulizia
etnica della Palestina” di Ilan Pappè.

Dr. phil.
Milena Rampoldi: Che Cosa si può fare oggi in un paese senza speranza,
lavorando per la speranza e per la pace?
Samantha
Comizzoli: Israele ha già chiuso il cerchio e fatto il giro due volte, ma non
posso sopportarlo, non posso stare inerme davanti al genocidio. Quindi, senza
speranza, lotto fino alla fine. Non chiedo di fermare il nazismo, ho perso le
speranze che i popoli privilegiati ed occidentali lo facciano, non lo fanno
nemmeno per i diritti che li riguardano direttamente.
Dr. phil.
Milena Rampoldi: Quale è il messaggio principale del tuo film documentario?
Samantha
Comizzoli: Il danno mentale e la voglia di libertà dalla sofferenza.

Dr. phil.
Milena Rampoldi: Che cosa vorresti dire ai lettori di ProMosaik e.V. nel mondo
tedesco?
Samantha
Comizzoli: Salvateci.

Dr. phil.
Milena Rampoldi: Come distinguere tra antisemitismo e antisionismo per impegnarsi
per i diritti umani in Palestina oggi?
Samantha
Comizzoli: Il popolo palestinese è semita così come il popolo ebraico. Il
sionismo è stato fondato da socialisti laici con soldi della Russia. Non ha
nulla a che vedere con la religione. Ma aldilà della ricostruzione storica e
della realtà oggettiva, è semplice non cadere nel tranello inventato dai
sionisti dell’antisemitismo: “la pietà non è selettiva, chi ha compassione
ce l’ha per tutti”.
Dr. phil.
Milena Rampoldi: Raccontaci la giornata di una famiglia palestinese in
Cisgiordania.
Samantha
Comizzoli: La giornata di una famiglia palestinese varia a seconda del
“ghetto” della quale fa parte quella famiglia. Qui, le divisioni, non
sono solo per partiti politici, ma ci sono anche fra villaggi/campi
profughi/città; poi ci sono fra famiglie (occupazione patriarcale). In queste
divisioni cambia enormemente lo stato sociale.
In linea di
massima chi non lavora nell’Autorità Palestinese, è povero. Questo non
significa che chi lavora nell’autorità palestinese non viva sotto occupazione
israeliana e non debba passare dai checkpoint, ci passa uguale..ma passa..a differenza
degli abitanti dei campi profughi che non passano e vengono sparati senza fare
domande. Quest’ultimi sono la grande fetta della popolazione palestinese. La
giornata, per chi ha un lavoro qui, inizia presto (verso le 5) perché per
raggiungere le città vicine ci si mette ore fra strade allucinanti che si
sviluppano a serpentina nelle colline perché la strada principale è stata presa
da Israele, e tutti i checkpoint da passare. I mariti passano la giornata al
lavoro, le mogli passano la giornata nelle case fra lavori di casa e accudire i
figli. Quando cala il sole, la giornata è finita e non si esce di casa perché è
pericoloso, ci sono in giro i soldati e i coloni israeliani. Poi arriva la
notte.. dove i soldati attaccano le città entrando nelle case facendo esplodere
le porte. A volte entrano, distruggono tutto, rubano i soldi e poi se ne vanno.
Altre volte rapiscono qualcuno. Discorso diverso è invece per chi va a lavorare
nei territori del ’48 (cioè presi da Israele con la Nakba). Queste persone
arrivano verso le 3 di notte al checkpoint per accedere nei territori rubati.
Rimangono i fila per ore, fino circa alle 6 del mattino. Passano la giornata lì
e quando sono le 4 rientrano qui, da questa parte del muro. impiegano un paio
d’ore per arrivare a casa, mangiano e dormono qualche ora. Tutto questo per
avere soldi per poter vivere e far vivere la propria famiglia. Chi fa questa
trafila ha il permesso da Israele per andare a lavorare nel ’48, se un figlio
ti viene arrestato il permesso viene ritirato. Sono 200 mila i lavoratori
ufficiali nelle zone del ’48. Il numero 
quadruplica per quelli senza permesso che saltano il muro
dell’apartheid. Le donne hanno una non-vita che passano nelle case ad
“aspettare” e temendo la notizia che sia ammazzato il proprio figlio
o marito. Per quanto riguarda, invece, le famiglie che lavorano per l’autorità
palestinese il discorso cambia: la maggior parte di loro ha lavoro a Ramallah,
il mezzo di trasporto pagato e hanno un po’ più di possibilità di uscire dalla
Palestina per andare in Giordania, Egitto, Arabia Saudita, etc.etc. I loro
figli normalmente studiano per qualche anno all’estero e poi vanno a servire i
corpi di polizia palestinese.
io non sono
per la Pace, sono per la Giustizia.
La pace al
massimo la posso fare con il vicino di casa perchè ha buttato le briciole sul
pianerottolo, qui stiamo parlando di mostri nazisti.