General

Il problema dei profughi nel Mediterraneo: necessità di una percezione etico-umanistica


Il problema
dei profughi nel Mediterraneo: ecco la questione alla quale i politici
rispondono con i cosiddetti “pacchetti di provvedimenti”, contenenti le
cosiddette soluzioni matematiche ed economiche del problema che sembra essere
un problema solo europeo. Migliaia di persone disperate ogni giorno cercano di
attraversare il Mediterraneo per raggiungere l’Europa e in particolare il
nostro paese. Per centinaia di loro il sogno di una vita migliore finisce nella
tomba del Mediterraneo. Dopo l’ultima catastrofe davanti a Lampedusa continuiamo
a chiederci le cause della tragedia. La mafia libica sfrutta queste persone
senza speranza. La guardia costiera italiana non riesce a salvarle tutte.
L’Italia si rivolge ai suoi vicini europei per chiedere il loro sostegno nel
salvataggio dei profughi. Allo stesso tempo si sviluppano dei progetti di
distribuzione per riuscire a piazzare “correttamente” il numero di profughi per
paese. Ma in tutto questo dimentichiamo che l’approccio di fondo è del tutto
errato, visto che già la designazione semantica del problema non focalizza
sulla vera questione. Infatti qui si tratta di persone e di essere umani come
noi e con-noi.  
Fonte: simone-peters.eu
Trovo che
innanzitutto si debba iniziare a rinominare il cosiddetto problema. Non si deve
parlare più di un “problema di profughi” per noi europei – che alla fine non
siamo altro che gli ex-colonizzatori di tutta l’Africa e del Medio Oriente – nel
Mar Mediterraneo, ma della fuga di migliaia di persone (che rappresentano il
nostro prossimo) disperate, provenienti soprattutto dai paesi subsahariani più
poveri del mondo. Queste persone lasciano il loro paese, sperando di iniziare
una nuova vita migliore in un paese lontano che ritengono sia democratico e
tollerante.
Fonte: taz.de
Per me il
primo passo nella direzione giusta consiste nell’informazione su questi paesi e
sulle loro condizioni, caratterizzate da guerre civili, povertà, malnutrizione,
dittatura, schiavitù, malattie, mancanza di acqua, assenza di prospettive. Numerosi
tra questi paesi poverissimi da cui provengono questi disperati sono paesi
islamici. E qui soprattutto in Germania è fondamentale che i musulmani
residenti nel paese si occupino dei profughi, assumendosi la responsabilità di
fungere da ponte. Vivere la funzione da ponte oggi in Germania per i musulmani
acquista una valenza importantissima per vincere l’islamofobia imperante. Il
movimento islamofobo di PEGIDA visto che numerosi profughi disperati provengono
dal mondo musulmano cerca di fomentare l’odio contro i musulmani e i profughi
allo stesso tempo, costruendo degli stereotipi negativi. Smontare le tesi di
PEGIDA mi sembra comunque non essere un compito difficile, se puntiamo su
un’informazione impegnata e vera sui paesi da cui provengono queste persone.
Infatti in Germania dobbiamo assolutamente prevenire altri incendi appiccati a
future case di accoglienza per profughi. PEGIDA parla dell’Islam imperialista
che vorrebbe conquistare l’Occidente. Ma se ci guardiamo le foto dei bambini
malnutriti in Mali o Niger che si ammalano di noma, si fa fatica a credere alla
tesi della conquista dell’Occidente da parte dell’Islam imperialista del
petrolio, che si appropria dell’Occidente, lo islamizza, de-cristianizza e trasforma
in una dittatura islamica.
Fonte: blog.zeit.de
Un altro
aspetto per me essenziale nel discorso sulla politica dei profughi oltre
all’informazione sui paesi di provenienza dei profughi, per smontare le tesi
della destra e dei suoi movimenti di cittadini che hanno subito il lavaggio del
cervello e allo stesso tempo rimangono impauriti, è la rappresentazione dei
profughi quale specchio della loro società di provenienza. Questo sembra un
concetto ovvio, ma per molti rimane estraneo: i profughi rispecchiano la varietà
sociale, economica ed etnica della loro società di provenienza. Non sono parte
di una società monolitica da stereotipare, ma come noi sono parte di una
società variegata e differenziata. Questa tesi serve a controbattere alle tesi
della destra neonazista che disumanizzano il profugo. Il profugo non è un
numero iscritto su una tomba di massa a Malta, non è un numero di una casa di
accoglienza per profughi a Lampedusa e neppure un numero sulla lista degli
espulsi delle autorità tedesca, ma un essere umano o ancora meglio il nostro
prossimo. Infatti io stesso posso definirmi solo come essere umano, mettendomi
in relazione con l’altro e agendo e vivendo nella società. La relazione tra
l’io e il tuo si applica anche a tutti i profughi africani. Io mi definisco,
relazionandomi con il tu e viceversa. Ovviamente in questo caso si tratta di un
tu straniero, sconosciuto, nei confronti del quale spesso ho anche i miei
pregiudizi che devo ancora superare. Ma anche per il profugo, il tu sconosciuto
che ho di fronte, io sono uno straniero, ovvero l’altro. Ma egli rimane il mio
prossimo, come io sono il prossimo per lui. Il problema del razzismo e della
discriminazione consiste proprio nel fatto che si prende all’altro il suo stato
di prossimo, disumanizzandolo o insultando la sua dignità umana. I pregiudizi
si possono solo combattere, mettendosi in relazione con questo prossimo,
entrando in contatto con lui. A differenza dei pregiudizi facili da smontare,
la disumanizzazione dell’altro è un processo difficile da interrompere perché
la disumanizzazione elimina il tu, annullando dunque la relazione. 
Che cosa si
può fare concretamente per sensibilizzare la popolazione nei confronti dei
profughi? Direi innanzitutto di organizzare giornate aperte nelle case di
accoglienza per profughi, di far raccontare ai profughi la loro storia e i loro
problemi, di organizzare corsi di lingue, incontri culinari, musicali e
sportivi. Tutto ciò permette di incontrarsi a livello umano e di superare i
propri pregiudizi. Solo con un approccio umanista radicale e con valori etici
solidi si riesce a combattere il razzismo e la discriminazione dei profughi. Lo
stesso approccio all’insegna di un umanesimo radicale va applicato in parallelo
nel contesto della cooperazione internazionale per lo sviluppo da programmare
nei paesi di origine dei profughi. In particolare nei paesi musulmani anche la
cooperazione internazionale deve ispirarsi ai valori etici e religiosi
dell’Islam affinché le persone siano in grado di identificarsi e non
percepiscano la cooperazione internazionale come un tentativo occidentale di
appropriarsi della loro cultura e dunque di colonizzarli. La cooperazione
internazionale per me esprime una solidarietà che rispetta in modo fondamentale
la cultura e la religione del paese da cui provengono i disperati che si
imbarcano per raggiungere le coste italiane, che garantisce la dignità di
queste persone senza volerle assimilare. Innanzitutto la cooperazione allo
sviluppo deve fungere da supporto per riuscire svilupparsi in modo indipendente
ed autonomo. La cooperazione allo sviluppo comprende la pedagogia, la presa di
coscienza e l’educazione. Infatti le culture e le civiltà diverse non fanno che
arricchire la nostra società e ampliare le nostre vedute. Dobbiamo far sì che
le persone che ospitiamo mantengano la propria identità e conoscano la nostra diversità.
Infatti è proprio nel rapporto dialettico tra identità e diversità che dobbiamo
vivere ed agire all’interno di una società multiculturale e multireligiosa. La
Germania spesso non comprende di essere un paese caratterizzato
dall’immigrazione. 
Forse l’umanesimo radicale può anche contribuire a concepire
questo mosaico dell’immigrazione come positivo e quale fonte di arricchimento.
Se i politici della destra estrema in Germania continuano a dire, che gli
immigrati non arricchiscono il paese, noi invece diciamo che il nostro prossimo
per noi rappresenta un arricchimento, permette di sviluppare l’io a livello
sociale e culturale. Si costruisce una società basata sul noi e sulla varietà.
Chi riesce a costruire una società di questo tipo, poi perde del tutto l’interesse
alla monotonia neonazista. Ecco la mia speranza. Ma una cosa lo stato la deve
fare con forza: deve combattere le bande della mafia libica che sfrutta questi
disperati e li fa imbarcare. Credo che allora la cooperazione internazionale
nei paesi di origine, insieme ad una politica umanista per i profughi in Europa,
possa costruire l’Europa di domani, multiculturale e multireligiosa come lo
erano la Sicilia e l’Andalusia di allora. 
Dr. phil. Milena Rampoldi di ProMosaik e.V.